Trasfigurazione della cultura (Cap. 4)

In questo quarto capitolo Florenskij “esce allo scoperto” e, dopo aver messo a fuoco le riduzioni a cui si è prestata la cultura che si è separata da Dio, colloca senza mezze misure l’esperienza della fede in Cristo al centro di una vera dimensione culturale, alternativa alla sotto-cultura mondana.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Trasfigurazione della cultura
«Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6, 24). La fede in Dio non ammette la fede in un mondo a sé stante e non considera il «mondo» un’essenza ma solo uno stato. Se in noi resta anche soltanto una scintilla della fede in Cristo, non potremo non riconoscere che “passa la figura di questo mondo” e che in virtù della forza del Cristo essa viene trasfigurata nella figura di Cristo. Questa figura di Cristo è innanzitutto il principio della religione cristiana preso in tutta la sua efficacia, è poi la cultura cristiana e, da ultimo, la consacrazione della natura. Nessuno dei vari ambiti dell’esistenza -l’arte, la filosofia, la scienza, la politica, l’economia, ecc.- può essere considerato un’essenza a sé stante, si tratta soltanto di figure che assumono sì, veramente, le forme dettate dalle leggi di questo mondo, ma solo in certi momenti e in certe condizioni, e cioè solo quando e solo nella misura in cui la cultura, complessivamente presa, rifiuta di strutturarsi secondo la figura del Cristo. Nell’ambito della cultura se non si è con Cristo si è inevitabilmente contro il Cristo, perché nella vita non v’è e non può esservi alcuna neutralità in rapporto a Dio.
Il cristianesimo non può essere passivo di fronte al mondo e non può assumerne indifferentemente qualsiasi elemento, come se fosse qualcosa che va comunque bene di per sé. Lo spirito non può essere passivo: può accogliere ogni cosa e di ogni cosa servirsi ma solo dopo averla trasfigurata secondo la figura del Cristo. Il cristianesimo occidentale dell’età barocca commise un errore fondamentale quando cercò di assimilare alcuni frammenti grezzi della cultura anticristiana e, senza spiritualizzarli dall’interno, cercò di dar loro una patina esteriore di devozione o di imbellettarli con una vaga tinta ecclesiale. L’azione scientifica e culturale dei gesuiti può essere degna di grande rispetto per la sua intenzione di dare al cristianesimo una cultura cristiana. Ma è profondamente sbagliata perché non dà costruzioni solide e autentiche ma solo una serie di scenografie d’apparato e di montagne di cartapesta: una simile pseudocultura può essere edificata solo per stupire degli ingenui scolaretti, ma non certo per essere effettivamente messa in pratica.
L’umanità contemporanea ha bisogno di una cultura cristiana, non posticcia ma seria, realmente di Cristo e realmente cultura. Comunque sia, ciascuno di noi non può più fare a meno di decidere una volta per tutte se davvero vuole e ritiene possibile una cultura di questo tipo. Se la risposta è negativa, non vi sarà più alcuna ragione di parlare del cristianesimo e di ingannare se stessi e gli altri con oscure speranze in qualcosa che è del tutto inattuabile. E allora avrà ragione chi esige che ci si sforzi per costruire qualcosa di diverso. E allora saranno sciocche e inutili tutte le proteste contro la negazione degli ideali della morale cristiana, perché senza la fede cristiana questi ideali sono soltanto delle vane fantasie che, in quanto tali, possono solo essere d’ostacolo alla vita autentica: «Se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede ... mangiamo e beviamo, perché domani moriremo» (1 Cor 15,17.32).
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