Riduzione filosofica (Cap. 3)
In questo terzo capitolo Florenskij continua nella disamina delle riduzioni in cui incorre una cultura che si sviluppi a prescindere da un rapporto con l’Assoluto; vengono trattate la riduzione filosofica e storicista; notiamo solo velocemente come la separazione tra filosofia e teologia si sia verificata molto più drammaticamente nel mondo occidentale che nemmeno nella tradizione orientale, dove l’unità tra queste due “direttrici” della coscienza appare evidente in filosofi come Florenskij, Solov’ev e Berdiajev- Curatore:
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Riduzione filosofica
La struttura della cultura è determinata dalla legge spirituale proclamata da Nostro Signore: «Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12, 34). Il tesoro è il bene spirituale, ciò che noi poniamo come significato oggettivo e giustificazione della nostra vita. Il cuore, nel linguaggio biblico, indica il centro in cui si raccolgono tutte le nostre forze e facoltà spirituali, il nodo che dà connessione e unità alla nostra persona. Il Salvatore dice che la nostra persona, e quindi tutte le sue manifestazioni, sono interamente determinate dal nostro tesoro. Così, la nostra conoscenza è determinata da ciò che affermiamo essere la Verità, a dispetto di quello che sostiene la filosofia kantiana centro della modernità, per la quale non è la Verità che determina la nostra coscienza, ma è anzi la nostra coscienza che determina la Verità. Le culture dei tempi moderni, con la loro proclamazione dell’autonomia dell’uomo, hanno posto come «tesoro», come oggetto di fede insindacabile, noi stessi. Al posto di Dio venne eretto un idolo, l’uomo che si auto-divinizza; a quel punto divenne inevitabile anche tutta l’evoluzione successiva della cultura, che cominciò a giustificare indiscriminatamente ogni auto-divinizzazione umana.
Riduzione storicista
Ci siamo così abituati a credere nella cultura invece che a Dio, che la maggioranza della gente non è più capace di distinguere tra il concetto di «cultura» e quello di «cultura del nostro tempo», così che l’accenno alla necessità di mutare il corso della cultura viene preso come un’esaltazione della vita dei trogloditi. Storicamente questa confusione è profondamente errata perché la cultura ha avuto e può avere delle forme assolutamente diverse. La maggior parte delle culture, per esempio, conformemente alla etimologia di questo termine (cultura è ciò che si sviluppa a partire dal cultus), fu proprio la maturazione del seme della religione, l’albero di senape nato dal seme della fede. Questo fatto storico viene tranquillamente accettato da quasi tutti gli studiosi e la sua validità viene estesa a tutte le religioni e, bontà loro, anche al cristianesimo, nella misura però in cui viene considerato esclusivamente come un fatto storico. Il cristianesimo attuale, invece, per i nostri contemporanei è privo di una forza genetica anche solo in parte uguale a quella delle altre religioni.
Ed è ben difficile non sentirsi profondamente pervasi da un oscuro senso d’angoscia quando si sente una così gran massa di dottrine contemporanee atteggiarsi favorevolmente nei confronti del cristianesimo, e poi però proclamare senza mezzi termini l’impotenza del cristianesimo, la sua incapacità di divenire l’albero della vita, e la necessità in cui esso si troverebbe di lasciare che tutti gli ambiti della vita, tranne quello della coscienza intima, siano interamente dominati da un modo d’agire a sé, determinato dagli elementi di questo mondo (Col2, 8). Sono atteggiamenti questi ben più desolanti di una franca professione di ateismo che per lo meno è un’espressione d’odio e riconosce dunque una certa forza. Dottrine teologiche di questo tipo non sono altro che commemorazioni funebri del cristianesimo, pronunciate quando ormai s’è completamente sedato il fragore della battaglia e quando, dunque, non costa più nulla pronunciare una parola d’encomio anche per l’avversario sbaragliato. Queste dottrine, che lodano il cristianesimo e nello stesso tempo gli sottraggono tutti i settori dell’ esistenza, finiscono per annullarlo anche come nostra dimensione interiore: infatti se il cristianesimo viene espulso da tutti gli ambiti della vita in base al fatto che ciascuno di questi ambiti è regolato dalla propria autonomia e cioè dalle leggi di questo mondo che sono estranee alla spiritualità, è evidente che lo stesso principio dovrà valere anche per la vita della nostra anima, che è anch’essa soggetta alle proprie leggi, che è anch’essa autonoma e non può concedere dunque alcuno spazio alla grazia. Se il mondo è in tutto e per tutto autonomo ciò significa che è in se stesso assolutamente incrollabile, cioè che è lui stesso Dio.
(3 Continua)