La riduzione moralista e scientista (Cap. 2)
Dopo aver evidenziato, nel primo capitolo, l’inevitabile decadimento di una cultura che (magari inconsapevolmente) erige un muro tra l’uomo e l’Assoluto, Florenskij inizia una serie di riflessioni sulle progressive riduzioni a cui la cultura stessa si è consegnata partendo da questa esclusione. In questo secondo capitolo vengono descritte la riduzione moralista e scientista- Autore:
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La riduzione moralista
Si può avere il caso di una rivolta contro Dio, diretta e palese, il tentativo di proclamarsi indipendenti da Dio e di considerarsi quindi suoi nemici. Si ha allora una sorta di infezione spirituale acuta che conduce o a una rapida catastrofe o, al contrario, a una altrettanto rapida guarigione che lascia però un senso di profondo imbarazzo nell’anima, che si chiede come sia stata possibile questa rivolta. Ma si dà anche il caso in cui il contagio dello stesso veleno produce una sorta di infezione cronica e allora l’uomo, che pure non si considera ancora separato da Dio e che anzi, da un punto di vista formale, continua ancora a difendere la religione, comincia di fatto, passo dopo passo, a cercare di strappare alla religione degli ambiti in cui far valere la propria autonomia, e finisce quindi col sottrarre alla religione stessa le corrispondenti sfere dell’esistenza, come se fossero degli aspetti inessenziali, capitati nella sfera d’influenza della religione in maniera storicamente casuale. Uno dopo l’altro, la religione si vede sottrarre i più diversi settori dell’attività umana finché da ultimo non si arriva alle verità fondamentali dell’ontologia religiosa sulle quali si regge la morale cristiana. Quando nella coscienza comincia a venir meno anche questo fondamento e la religione viene ridotta alla morale, la morale stessa cessa di essere qualcosa di vivo e di vitalmente ispirato dal bene per diventare invece una serie di regole esteriori di comportamento, prive di qualsiasi nesso e perciò del tutto casuali. Non si può parlare qui di un’autodeterminazione morale ma solo di una morale farisaica, il cui destino è evidentemente segnato. La logica della storia ci ha posti di fronte a un dilemma ineludibile: o rinunciare a quell’ultimo residuo di cristianesimo che è «la morale cristiana», o rinunciare a tutto il corso della precedente cultura anticristiana e riconoscere francamente che un Dio, al quale siamo disposti a concedere in noi stessi e nella nostra vita solo un angolino, per lasciare poi che tutto il resto se ne vada per «la sua strada» (At 14, 16), non è già più nella nostra coscienza Dio.
La riduzione scientista
Gli errori della recente evoluzione culturale non dipendono dai peccati degli esponenti della cultura. Ben sappiamo infatti che «l’uomo non può essere vivo e non peccare» (3Esd 8,35). E già in partenza sappiamo che, quale che sia l’evoluzione futura della cultura, ciascuno di noi continuerà a peccare e a cadere, e anche, in certi periodi, a cadere fino a staccarsi da Dio. E sappiamo pure che la peccaminosa affermazione della nostra autonomia pervade tutto il nostro essere e rischia di essere il motore nascosto di ogni nostra azione. Ma l’errore fondamentale della recente evoluzione culturale consiste appunto nell’aver considerato naturale, e perciò giusto, questo stato della nostra natura. In tal modo, la cultura non solo non si oppose al peccato, ma arrivò addirittura a far impazzire la bussola della coscienza, giustificando l’autonomia. Come è noto, a Napoleone che gli chiedeva perché nei Principia di Newton si incontrasse il Nome di Dio e nella Mécanique Celeste no, Laplace rispose: «Non avevo bisogno di questa ipotesi», esprimendo così, nella maniera più esatta possibile, lo spirito stesso della cultura europea moderna. Per questa cultura, in effetti, Dio non è quella Persona viva senza la quale «niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1, 3), non è quella Verità al di fuori della quale non v’è alcuna verità, ma solo un’ipotesi, l’ipotesi con la quale si rattoppano i buchi del nostro sapere e in generale della nostra cultura. Quanto più alta sarà la cultura, tanto meno vi sarà posto in essa per questa ipotesi. Una cultura giunta al suo pieno compimento deve essere del tutto priva di Dio. Per la cultura della modernità, la Persona cui l’anima mia anela, «come la cerva anela ai corsi d’acqua» (80142, 2), lo Sposo dell’anima umana, è soltanto un insopportabile concetto astratto, l’altro nome per dire l’imperfezione della nostra cultura.
(2. Continua)