Concerto per violino e orchestra (1935) - Prima Parte

Alban Berg - Concerto per violino e orchestra (1935)

"In memoria di un angelo"
Autore:
Bombardelli, Umberto
Fonte:
CulturaCattolica.it - © Umberto Bombardelli - 2005

Sol, Re, La, Mi – Mi, La Re, Sol… Il solista trascina lentamente l'arco attraverso le quattro corde "a vuoto" del violino, senza utilizzare la mano sinistra per premerle sulla tastiera. Quasi uno svogliato procedimento di accordatura, prima di iniziare veramente la propria esibizione. L'orchestra risponde lontana al suo arpeggio, che si ripete più volte su gradi sempre rinnovati della serie dodecafonica fondamentale.
Uno degli inizi di concerto tra i più clamorosi della storia musicale che lascia, volutamente, sconcertato l'ascoltatore; soprattutto quello abituato alle consuetudini della grande letteratura violinistica classica, che volevano la comparsa del solista sulla scena musicale segnata da un esibito virtuosismo.
Quale più espressiva immagine sonora dello scoraggiamento, della delusione, della volontà fiaccata da un evento tanto misteriosamente spaventoso quale la morte? E l'Autore sottolinea ulteriormente questo clima espressivo, facendo seguire agli arpeggi del violino una figurazione di accompagnamento affidata al timbro opaco di viole, fagotti e un contrabbasso, che realizzano un andamento ansioso e ansimante.

Il primo quarto della composizione è caratterizzato, in modo estremamente evidente, dall'alternarsi di momenti di slancio (a volte lirico, a volte rabbioso) e di ripiegamento sulla figurazione iniziale, con il suo palese senso di inutilità dell'umana iniziativa. E' l'avvio di un misterioso e accidentato percorso espressivo, alla ricerca di una luce – se non intravista, desiderata - che rischiari il buio tunnel di una vita che non sembra avere altro orizzonte che il Nulla.
Tenere costantemente presenti questi punti di partenza e di arrivo, ci aiuta a rendere ragione di quello stridente contrasto - tra linguaggio musicale aggressivo e dissonante, e necessità di espressione quasi romantica - accennato in precedenza. Un ascolto senza preconcetti - e naturalmente l'analisi del brano – coglie immediatamente che l'antinomia è solo apparente.
Berg, fedele alle tecniche compositive apprese dal maestro della dodecafonia Arnold Schönberg, va in realtà alla ricerca - nella varietà in fondo omogenea delle serie dodecafoniche e delle loro trasformazioni - degli elementi che appartengono tradizionalmente al mondo della tonalità classica, della musica così come la intendevano Bach, Mozart, Beethoven, Schubert e tutti i compositori fino ai primi anni del XX secolo. Sotto questo riguardo, possiamo affermare - in accordo con alcuni lavori critici - che il Concerto costituisce una sintesi perfetta tra il sistema musicale del passato (tonalità) e ciò che molti pensavano sarebbe stata la musica del futuro (dodecafonia).

Così, la serie fondamentale - che sta alla base di tutta la composizione - è organizzata in intervalli musicali di terza (la distanza sonora tra Do e Mi, ad esempio) che succedendosi meccanicamente delineano una serie di accordi maggiori e minori. Ecco, per gli appassionati, le note che formano – in senso ascendente - la serie:

SOL SI bemolle RE LA DO MI SI DO diesis RE diesis FA
RE FA diesis LA MI SOL diesis SI


Come si può vedere, il procedimento crea quattro accordi (SOL minore, RE maggiore, LA minore, MI maggiore) le cui note fondamentali corrispondono alle corde ''a vuoto'' del violino. Gli accordi sono in relazione tra loro da molteplici punti di vista: 1. accordi di modo minore e maggiore si alternano regolarmente; 2. ogni accordo è costruito sulla dominante dell'accordo che lo precede; 3. se prendiamo come base degli accordi successivamente ogni nota della serie, otteniamo tutte le forme fondamentali che una triade può assumere, nella disposizione seguente: minore ­­→ eccedentemaggiorediminuito | minoreeccedentemaggiore = ABCD | ABC...; 4. le quattro note finali della serie, infine, sono tutte a distanza di un tono tra loro (l'intervallo sonoro tra due tasti bianchi del pianoforte): questo breve frammento di scala, compreso nell'ambito di tre toni (tritono), - intervallo fin dal Medioevo connotato, in senso sonoro e simbolico, quale diabolus in musica - darà l'avvio ad una fase radicalmente nuova della composizione; fase finalmente conclusiva, in senso sostanziale ancor prima che strutturale. Queste quattro note (Si, Do diesis, Re diesis, Fa) costituiscono infatti l'inizio della melodia di un celebre corale luterano, che conferirà significato a tutta la parte finale del Concerto.
E' interessante notare che l'idea di utilizzare il corale fu successiva alla strutturazione della serie dodecafonica, e venne al compositore in una fase avanzata della scrittura del brano: possiamo tranquillamente ritenere un dato tipico dell'atteggiamento compositivo novecentesco, quello di far derivare importanti dati strutturali della composizione dalle caratteristiche morfologiche del ''materiale'' sonoro utilizzato (un po' come un bravo scultore che, prima di iniziare il proprio lavoro, esamina il blocco di pietra alla ricerca di vene e irregolarità che potranno ostacolare o favorire il concretizzarsi della sua visione plastica).

Tornando all'esordio del violino solista, l'ascolto ci fa immediatamente comprendere che l'arpeggio neutrale che lo caratterizza è costantemente utilizzato dall'Autore come una pietra d'inciampo, una trappola paurosa nascosta lungo un cammino che vorrebbe essere rievocazione nostalgica del fascino giovanile di Manon. Il secondo quarto del Concerto, infatti, porta indicazioni del tipo "Scherzando", "Viennese", "Rustico", evocatrici di un mondo rurale e sorridente, reso concretamente presente alla coscienza dell'ascoltatore da movimenti arpeggiati molto "tirolesi", e dall'incastro molto evidente - nel denso tessuto melodico e armonico - di una melodia tradizionale della Carinzia (da una raccolta pubblicata a Vienna nel 1892) che vuole simboleggiare la freschezza giovanile della fanciulla scomparsa. A rimarcare il senso popolareggiante della citazione, l'Autore sospende brevemente la complessità ritmica e metrica, che costituisce uno dei dati tecnici e stilistici fondamentali del Concerto, per attenersi ad una successione di frasi musicali assolutamente regolari, in tempo in 2/4: quasi l'immagine sonora del candore infantile e della naturale spontaneità, insidiati tuttavia da un destino ineluttabile e crudele. In questo contesto, il ricorrere dell'arpeggio iniziale (anche se trasposto su altri gradi della scala, o articolato secondo diversi intervalli musicali) segna inesorabilmente la ricaduta in un mondo di angoscia, carico della spossatezza di chi si sente impotente a misurarsi con qualcosa di incomprensibile e sovrumano.
La prima parte del Concerto si conclude, così, in modo sostanzialmente interrogativo: il violino solista enuncia un'ultima volta, in un modo estremamente languido, la melodia della Carinzia; quasi un sospiro di abbandono, dopo un lungo pianto. Ma l'abbandono lascia ben presto il posto ad un nuovo, rabbioso scatto della volontà (temperato, negli ultimi istanti, dall'accompagnamento ansimante che aveva caratterizzato l'esordio della composizione) che trova una enigmatica conclusione sull'accordo finale, luminoso e stridente, formato dalle prime quattro note (Sol, Si bemolle, Re, Fa diesis) della serie dodecafonica iniziale.