Concerto per violino e orchestra (1935) - Genesi del Concerto
Alban Berg - Concerto per violino e orchestra (1935)"In memoria di un angelo"
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Come primo elemento per accostarsi ad un brano musicale tanto grandioso ed impegnativo, risulta certamente illuminante la conoscenza dei due stimoli esteriori che spinsero Berg ad iniziare la composizione.
Innanzitutto la richiesta, ricevuta dall'allora celebre violinista americano Louis Krasner, di scrivere un nuovo Concerto per violino e orchestra a lui dedicato. Nonostante la lusinghiera proposta, Berg dapprima non si sentì per nulla attratto dall'idea di scrivere un brano dal carattere necessariamente virtuosistico e, quindi, un po' esteriore. Con il passare del tempo, tuttavia, l'invito alla scrittura venne per lui ad assumere il sapore di una sfida: riuscire a dimostrare che anche utilizzando un linguaggio ritenuto allora cerebrale e inespressivo, era possibile creare un'opera di immediata comunicativa e di intenso lirismo. Decise quindi – così si esprime in una lettera – di scrivere un brano di "musica pura" senza un'idea già definita del carattere che avrebbe dovuto avere. Ci penseranno, poi, le circostanze a dettare il contenuto definitivo del brano.
Il fatto decisivo, che fece finalmente scattare la decisione di iniziare la composizione, fu tuttavia la morte per poliomielite di Manon Gropius, figlia diciottenne di Alma Mahler e dell'architetto Walter Gropius (ideatore e fondatore di quella fucina di idee e di talenti che fu - nella breve stagione della Repubblica di Weimar - il Bauhaus).
Quanto Berg – legato da profonda amicizia ad Alma e Manon - dovette sentirsi ferito da quella morte prematura, ce lo fa capire la repentina messa in pausa del lavoro di scrittura dell'opera Lulu che rimarrà, così, incompiuta a causa della morte dell'Autore avvenuta a pochi mesi dalla stesura del Concerto.
La scrittura avviene, inoltre, ad un ritmo per lui forsennato: in soli quattro mesi il brano assumerà la sua veste definitiva. Sarà, inoltre, lui stesso a comunicare a Krasner che la scrittura lo ha interessato "come poche altre cose nella sua vita".
Berg fu evidentemente e profondamente scosso dalla morte di Manon, da lui percepita come un evento tragicamente privo di senso; un fatto che interrogava in modo imprevisto e brutale il ben oliato svolgimento di una elegante vita borghese.
Sarebbe, tuttavia, altamente riduttivo considerare il Concerto come l'istintivo sfogo di un'acuta sensibilità messa sotto pressione. Al contrario, tutto il brano è pervaso da un forte simbolismo strutturale, sostenuto in alcune occasioni da fattori di immediata evidenza, altre volte da procedimenti profondamente nascosti e che - certamente - hanno assunto un significato determinante solamente per l'Autore.
Valga come esempio il valore che assume nella composizione il numero 23, che Berg riteneva essere un "numero fatale" (diversi avvenimenti, particolarmente rilevanti, della sua vita sono legati a date contenenti il numero 23).
230 battute (= 23 x 10) è la durata totale della seconda - e conclusiva - parte del Concerto.
Sempre in questa Parte, la prima apparizione del ritmo principale (Hauptrythmus) – una sorta di grottesco andamento di Tango - avviene alla battuta n. 23 e la rivelatrice reminiscenza spettrale di un canto popolare della Carinzia - di cui si dirà più avanti - cade alla battuta n.207 (= 23 x 9).
Da questo punto di vista, il grande Johann Sebastian Bach - con il suo insistito interesse per la numerologia - costituisce certamente il nume tutelare della composizione che non tarderà ad essere esplicitamente evocato da Berg.
Un secondo elemento simbolico è costituito dall'ampio utilizzo, nel tessuto contrappuntistico, delle forme a canone e delle inversioni melodiche. In verità, esse costituiscono normalmente uno dei principali elementi formali del linguaggio dodecafonico; in questo contesto, però, esse assumono piuttosto la valenza di un implicito richiamo alla musica religiosa e reservata della tradizione rinascimentale e barocca (che solamente ai veri intenditori svelava le sue segrete meraviglie costruttive), sentita quale portatrice di una capacità di espressione del sacro ormai inattingibile dalla mentalità sofisticata e scettica dell'uomo moderno.
Ci troviamo così di fronte ad un organismo musicale altamente organizzato, che non lascia spazio alla semplice istintività, ma che risponde alla domanda sul senso dell'esistere (e, quindi, del morire) con una esibita capacità di costruzione; un edificio dalla statica apparentemente incrollabile, nei cui anfratti si nasconde però un gelido, quasi schubertiano sgomento.