...Maurizio Carugno

Autore:
Corbetta, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it

Intervista

Maurizio, cosa rappresenta per te il jazz?

Quando penso a come mi sono ritrovato dentro questa grande avventura del jazz, o meglio dentro questo immenso "groove" (solco) del jazz, non posso non pensare agli incontri imprevisti con alcuni "grandi" di questa musica che hanno segnato la mia vita come Paul Jeffrey, Joe Diorio, Jerry Bergonzi e Hal Crook, persone eccezionali che hanno generato intorno a loro un'incredibile ricchezza. Quello che continua a stupirmi ancora adesso a distanza di tanti anni è proprio questa loro "grandezza" che non è data dal fatto di essere più o meno famosi, ma dalla bellezza e profondità presenti in loro e nella loro musica, dalla coscienza di appartenere alla storia viva del jazz e di essere testimoni, attraverso la loro dedizione e creatività, di qualcosa di più grande di loro e che in loro rivive attraverso uno spirito musicale innovativo. Hanno tutto quello che anch'io desidero avere come uomo e come musicista: creatività e rigore, cuore e mente, capacità di sacrificio e desiderio di libertà.

Amo questi musicisti e dall'amicizia con loro ho imparato che ogni nota ha il suo peso, un suo impatto, porta con sé la tradizione appresa con sacrificio e dedizione, il proprio contenuto di personale originalità esprimibile solo dentro una compagnia, dentro l'essere insieme in ogni attimo della musica e che la musica funziona se la si fa insieme. Ho imparato che siamo noi stessi lo strumento al servizio della musica perché essa possa accadere, comunicarsi in tutta la sua bellezza.

Per me il jazz è sempre stato la possibilità di vivere un' esperienza comune, di guardare insieme alla stessa cosa, di condividere una memoria comune ed un amore per la tradizione viva e, "last but not least", di avere una stessa passione che cementa un'amicizia ed un gusto nel far musica insieme.

Il jazz è musica d'arte nel senso che esprime il cuore di chi la suona, aiuta l'essere umano a confrontarsi con se stesso, si rivolge a tutti nello stesso modo autenticamente umano in cui lo fanno i quadri di Van Gogh e quindi va incontrato e non consumato in modo indolore proprio perché contiene un grido, una domanda di significato che costituisce il vero nervo scoperto di tutti gli uomini, il punto più profondo di ogni persona, il motore primo dell'arte. Suono jazz perché questa musica mi ha preso totalmente e suonare per me è diventato un gesto d'amore (e quindi un atto di libertà) verso il mondo per comunicare a tutti la commozione del dono ricevuto. Continuerò a suonare per difendere l'opera di tutti quei musicisti che hanno dato la vita per testimoniare al mondo la bellezza che hanno incontrato nel jazz, bellezza che parla del desiderio di felicità che alberga in ciascuno di noi.

Acquistare un disco è un atto di libertà perché presuppone che si esca di casa, si vada in un negozio, si spendano dei soldi (non pochi con i prezzi attuali dei cd) e si decida di comprare quel particolare disco, a volte atteso per molto tempo, e poi si torni a casa e si dedichi del tempo per ascoltarlo, possibilmente non facendo altro nel frattempo. Che fatica, che dispendio di energie, di soldi, ma ne vale proprio la pena? Chi ce lo fa fare? Ma perché ascoltare musica? Che cosa desideriamo dall'ascolto della musica? Che ci dia qualcosa che ancora non abbiamo, che ci "soddisfi" o che ci metta in "stand-by" rispetto alla vita, come spesso accade quando siamo sull'autobus, in metropolitana o in automobile? Perché penso che desiderare di ascoltare della musica sia desiderare qualcosa di più grande, una "soddisfazione" che non si fermi all'ascolto, ma in qualche modo vada oltre, che permanga e che ha a che fare con il desiderio di incontrare un po' di bellezza nella vita, o per lo meno la nostalgia di essa. Quando ascoltiamo un disco vogliamo che qualcosa accada, desideriamo stupirci come ci stupiamo davanti alla vista di una vetta alpina o di un tramonto sul mare, davanti ad un'architettura monastica o a un grattacielo di New York per esempio. Questo tipo di stupore genera la volontà di conoscere più a fondo l'oggetto del desiderio fino a un abbraccio che in alcuni casi diventa totale, come per il grande compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein, che affermava: «La vita senza musica è impensabile, la musica senza vita è accademia... ecco perché il mio contatto con la musica è un abbraccio totale».

Chi è Maurizio Carugno

Maurizio Carugno è uno strumentista dalla personalità vivace e dalla musicalità a largo spettro, i cui intensi studi negli Stati Uniti (è stato allievo, tra gli altri di Jerry Bergonzi, Gary Burton e Hal Crook) gli hanno permesso di raggiungere nuovi ed ancora più articolati obiettivi artistici, portandolo a collaborare con musicisti del calibro di Cameron Brown, Billy Hart, Joe Dorio, Paul Jeffrey, Victor Lewis, Joe Calderazzo, Dave Santoro, George Garzone, Pete Malinverni e Tullio de Piscopo. Nel 2002 è stato scelto dalla rivista di settore "Amadeus" come miglior jazzista dell'anno per una tournee nei Caraibi in collaborazione con "Costa crociere" e nel 2003 ha effettuato una tournee negli Stati Uniti con il sassofonista Paul Jeffrey e comunque molteplici sono negli anni le tournèe effettuate in Italia e all'estero. Non è certamente un caso che egli goda della stima di alcuni dei più significativi artisti americani, come Joe Diorio e Jerry Bergonzi, che lo hanno affiancato anche in sala di incisione del suo primo disco da leader "Gratitude"" prodotto dalla RAM Records nel 1996. E' docente di jazz al conservatorio di Fermo (AP) ed è attivo anche nella musica classica in duo col M° Adriano Bassi.