...Andrea Pellegrini (Prima Parte)

Intervista ad Andrea Pellegrini
Autore:
Corbetta, Stefano
Fonte:
CultruraCattolica.it



Da tempo stavo cercando qualcosa su "A Love Supreme" di John Coltrane, un disco essenziale, un omaggio del grande sassofonista americano a quel Dio dal volto misterioso ma al quale sembra impossibile sottrarsi.
Improvvisamente, tra un link e l'altro, m'imbatto in qualcosa che attrae la mia attenzione: Andrea Pellegrini, musicista (piano, arrangiamento, composizione), analizza uno dei capisaldi della discografia jazz: A Love Supreme del celeberrimo John Coltrane". Ci siamo. Lo leggo: bellissimo. C'è tutto: note, accordi, analisi dei singoli strumenti, relazione con il divino, preghiera, spirituale, universale. Mi dico: grazie, Andrea.

Beh, ma perché non farlo personalmente? C'è l'indirizzo di posta elettronica… in un attimo entro in casa sua.
"(…) Ho sempre avuto il desiderio di risalire sempre più alle origini delle cose che mi appassionano (faccio lo stesso con la letteratura... e mi sono ritrovato a leggere Dante...)".
Con queste parole mi presento, chiedo consigli e, soprattutto, lo ringrazio.
Il giorno dopo apro la posta; guardo il monitor in basso, a destra: ricezione in corso…mi ha risposto.
Sono 5 pagine, non chiedevo tanto.

Così ho incontrato Andrea Pellegrini (*). E mi è sembrato subito straordinario per passione e intelligenza, "due doti queste che raramente viaggiano a braccetto, purtroppo", gli scrivo. Condividiamo alcuni giudizi, letture… e lui è davvero libero; tocchiamo temi delicati…che richiederebbero tempo; da quanto ci conosciamo? Tre giorni, per posta (!) e non ci siamo mai visti!
Così nasce l'idea di un'intervista, scrivo per un sito ed un quotidiano e l'esperienza di un musicista mi sembra un contributo importante per poter guardare al fenomeno musicale con la dovuta misura.
E' un contributo personale questo, certamente, quindi soggettivo e per questo da valorizzare.
Ad un certo punto, nel corso dell'intervista, mi dice: "(…) Il mio caminetto in-cantato è l'accesso alla parte di verità che mi è spettata", e così, come accade in altri momenti della nostra lunga chiacchierata, emerge qualcosa che mi tocca, "m'incanta"… note di un assolo che legano il flusso in qualcosa che, alla fine, un pochino ha cambiato il mio modo di ascoltare.
Grazie, Andrea.

Intervista ad Andrea Pellegrini

Come accade che Andrea Pellegrini si ritrova ad essere 'artista' con le mani su un pianoforte?
Per motivi 'storici' e... 'fisici'.
La mia famiglia fa musica da 150 anni a vari livelli. Giulio Pellegrini (1850-1923), amico di Mascagni, dedicatario di tante sue opere di cui ho i manoscritti (uno dei quali inedito) fu organista, timpanista e, direi, 'arrangiatore'; suo zio, Augusto Vianesi, grande Direttore (diresse tra l'altro la prima americana di "Cavalleria" al Metropolitan di New York); mio padre Gianfranco chitarrista, pianista, jazzista dei primordi. Mio fratello Nino è il noto bassista; le mie sorelle Paola e Carlotta sono rispettivamente Docente di Propedeutica al 'Mascagni' di Livorno, esperta di Didattica, e corista a Livorno e con la Toscanini a Parma. Mio figlio Francesco è chitarrista... post-grunge e bassista jazz; mia figlia Chiara studia flauto e canto. Il piccolo Marco dice che da grande sarà Direttore e Batterista! La musica è per noi 'lessico famigliare'.
La nostra prima formazione musicale, la migliore per iniziare, è stata la 'musica in casa'. Si tratta davvero di formazione musicale. Alla mia storia personale si aggiunge un qualcosa di fisico che ancora non ho saputo ben definire.
Una specie di orecchio interno pazzesco, un dono che ho sempre sentito la responsabilità di sviluppare e offrire agli altri; una spaventosa aderenza alla musica, come un caminetto da cui non riesco a staccarmi, una specie di crema solare che mi permette di stare davanti all'infinito senza bruciarmi e di goderne l'energia, e di poter così passare a chiunque mi circondi un po' della goduria che ho ricevuto - tenendone parecchia per me, però.
C'è una cosa che troppi musicisti hanno dimenticato: l'incanto. Quando ascolto la buona musica, mi incanto. Chi ascolta davvero, quando ascolta sta immobile. Non potrei mai, per nessuna ragione, allontanarmi dal mio caminetto in-cantato, ci rimetterei la pelle, e non, ancora, metaforicamente. Niente a che fare con la fuga. Il mio caminetto in-cantato è l'accesso alla parte di verità che mi è spettata.

Affascinante. Sai trasmettere immagini di grande intensità... e mi costringi a farti una domanda: parli di infinito, verità. C'è quindi qualcosa di oggettivo, direi immortale, con cui fare i conti? Mi viene in mente il 'Doctor Faustus' di Thomas Mann. Adrian Leverkühn, compositore e protagonista del racconto, desidera l'immortalità per la sua opera, ma ad un prezzo altissimo…
Mi chiedi di parlare di cose enormi. Mi spaventa, sebbene creda che tante cose piccole sono ben più pericolose di quelle grandi.
Mi trovo a non credere in alcun Dio. Il suono (molto di Dio, in ogni religione, riguarda il suono), sì, ci sono poche cose oggettive che lo riguardano, e molte assolutamente soggettive legate a questioni culturali, storiche, personali, tecniche, psicologiche. Quando ero credente ho avuto occasione di accostarmi a realtà immani, di cui conservo un gran bel ricordo: persone, luoghi, libri, canti. La nostra cultura è cristiana, per la maggioranza, e la propria cultura va intanto conosciuta, rispettata e amata; poi aggiornata e criticata secondo le proprie convinzioni. Le mie la pongono come un terreno, non come un cielo. Non la rinnego assolutamente e preferisco una buona serata passata a chiacchierare con un Gesuita colto che una tribuna politica di regime.
Certamente ho un paio di riferimenti assoluti. Una è la netta sensazione che si nasce per essere felici e non benestanti. Un'altra è la mia completa, anarchica insofferenza per qualsiasi tipo di dominio di uomini su uomini, che, per me, non nascono con nessun peccato originale, né in senso personale né filosofico. Ma amo chi crede in ciò che fa, fa ciò che sa, sa quel che fa e fa quel che crede, sia esso un Domenicano, un anarchico, un guru o un... venditore di almanacchi.

Nessun prezzo da pagare quindi; e l'artista cosa esprime?
Il poeta non racconta che se stesso, gran parte dei significati che attribuiamo alla musica stessa sono in realtà ombre che lei non possiede e che stanno dentro di noi: e qualsiasi esperienza, percezione, immagine in fondo non è che in gran parte proiezione di altrettante realtà interne. I credenti credono in questa stessa cosa, in fondo, semplicemente rovesciata: l'uomo immagine di Dio, un Dio poeta che raccontando se stesso dette il "la" alla creazione, che altro non è che esplicitazione del mistero della sua esistenza, una creazione visibile e sperimentabile, eppure misteriosa. Idea stupenda… mette in crisi.
Mi permetto di godere di questa suggestione con grande rispetto, ma senza cascarci dentro; amo più la riva del mare che il mare e non amo, da bravo genovese trapiantato a Livorno, né i fiumi né i laghi, da cui puoi vedere troppe rive e nessun infinito. Dalla riva puoi vedere il mare, dal mare vedi la riva, sensazione che non sopporto.
C'è, nel mio non credere, una pace e un'attesa, una tensione, di cui sono geloso, e un sentirmi incompleto che amo. Mi dà un senso di movimento. Io posso pensare che il vero Dio l'uomo possa in fondo ancora non averlo incontrato, i credenti forse no.
Spero tu capisca lo spirito con cui sto parlando, sono cose che potremmo approfondire per giorni interi.

Sì, capisco; credo che l'attesa consapevole sia qualcosa di straordinario… c'è bisogno di incontrarsi su queste cose, magari davanti ad un buon bicchiere di vinsanto. E la musica?
Credo nella musica principalmente come forma d'arte, estranea a queste funzioni. La musica in Italia è stata catturata, addomesticata. Mi spiego. Sempre meno persone ascoltano la musica di per sè (non è male: è un gran male se è solo questo).
Ho preso una cassetta a caso per ascoltarla in macchina. Ho provato un brivido ascoltando "The Long And Winding Road" dei Beatles. Poi, nel mio cervello è iniziata la battaglia delle evocazioni, dei significati: i Beatles, pensavo; quant'era che non li ascoltavo! Quanti anni ho? Ho pensato a un quartetto d'archi, alla mia compagna, al suo violoncello, ai diritti d'autore, alla tristezza, alla macchina di mio padre che ha sempre e solo posseduto R4, all'autunno sulle colline vicino Livorno, i pochi momenti che ho passato con lui. Capita. E' bello. Poi ho pensato: no, cavolo, da capo. E ho ascoltato "The Long And Winding Road" e la musica mi incantava: non pensavo a niente, neanche a guidare! Non c'erano violini, testo, immagini, nè i Beatles. C'era la musica, serie di forme. E ho pensato, bravi, hanno fatto un po' di musica. Qual era l'ascolto migliore?
Il fondatore del movimento Scout, Baden Powell, diceva: Dio ci ha dato due orecchie e una bocca perché ascoltassimo due volte in più di quanto vorremmo parlare.
La musica va ascoltata con due orecchie. Un orecchio, comune, le attribuisce il potere di suscitare emozioni. Ma hai ascoltato Nino Rota (1)?

Poco, ho presente qualche colonna sonora ma so che ha scritto anche balletti, musica sacra, opere.
Non c'è forse dentro magia, gioia, strazio, ironia, caso, nella stessa frase, nella stessa battuta contemporaneamente? Direbbe l'altro orecchio: non c'è niente. Le note non hanno potere 'reale' di rappresentare, o di comunicare. Ci sono convenzioni nella testa di chi ascolta, non nelle note. La musica vista come 'non linguaggio' privo di significati, perché il codice in musica coincide con la sostanza, è concetto ostico alla cultura italiana da parecchio. L'ascolto 'delle emozioni' e 'dei significati' non è sbagliato! Ma questo ascolto è diffuso, mentre l'altro, quello incantato, è raro.

Tornando alla musica che 'significa' e 'non significa'… può essere indicatore di consapevolezza o coscienza di sé?
Nella misura in cui la musica significa qualcosa, sì, può essere indicatore di mancanza di coscienza. Moltissimi autori della musica commerciale non sono coscienti (e un grande musicista può essere cresciuto nella consapevolezza grazie alla musica). Ma per quell'aspetto della musica che la vuole insignificante, no, non può essere indicatore di alcunché; molti autori commerciali sono grandi artisti senza che questo tolga o aggiunga niente alla loro 'coscienza'.
"My Favorite Things" riletta da Coltrane come 'critica alla società benpensante bianca americana degli anni '50'? Anche. Ma "My Favorite Things" è prima di tutto il mi minore che fa da supporto a deliri interminabili di chiunque osi avvicinarlo. Non significa niente.
Alcuni autori 'commerciali' sono incoscienti, stanno male. Ma questo spesso non è scritto nella musica, semmai nella loro folle adulazione del denaro, del potere, dell'apparire, del massacro di sè. Non nelle note. In alcune note di Gino Paoli c'è arte e incantamento, musica. E non so quanto Paoli sia stato, in quel momento, cosciente... di sé, o di questa cosa.
Smettiamola di pensare all'inizio della "Quinta" di Beethoven solo e sempre come 'il destino che bussa alla porta'! Oltre un certo limite sono chiacchiere da fotoromanzo. E' musica, timbri, frequenze, ritmo: destino?!
Anzi, guarda le altre forme d'arte, quelle soprattutto che hanno significati. Oltre il loro 'significato' c'è la loro 'musicalità'! Ci tocca ricordare che anche la musica ha una sua musicalità! Paradossi italiani. Il problema principale è la tragica riduzionedella cultura musicale diffusa.

Se ho capito bene, semplificando: esiste buona musica, che 'incanta' e musica che passa senza lasciare traccia in noi; e questo indipendentemente da chi la concepisce. La musica trasmette spesso solo quello che noi gli attribuiamo…
Per me, la musica migliore incanta. In ogni caso la musica non si esaurisce nel foglio del compositore, nello strumento dell'esecutore: la sua creazione continua nella testa dell'ascoltatore, il che rende maledettamente difficile stabilire quale musica sia buona e quale cattiva! Una maggiore cultura musicale diffusa aiuterebbe a comprenderlo: oggi, ai più, capisco che sembri incomprensibile: la musica si ascolta, si gode mediata da una sensibilità 'dedicata'. Questo, ricordiamocelo, è ovvio in culture dove la musica è diffusa; pare strano agli italiani, diretti verso l'ignoranza musicale.
Per me la musica è buona se incanta, come l'Ottetto di Dave Holland, "Punctus" di Tino Tracanna, "Secret Marriage" di Sting, "Zephir" di Ralph Towner in "Ecotopia", tutto "Speak No Evil" di Wayne Shorter, i sestetti d'archi di Brahms (amo il N° 1 op. 18 in SI B Maggiore) e Bach (le incisioni di Glenn Gould sono immani). La musica classica è in generale meglio della pop solo perché c'è più percentuale di musica che incanta, e ci sono più ciambelle col buco che nel pop, non certo per lo stile o le forme in sé! "Secret Marriage" di Sting è 'pop' ed è grande musica; l'"Ave Maria" di Gounod, scritta sopra Bach, è 'classica', eseguita da secoli, ed è bruttina. Le Suite di Bach per violoncello sono stilemi di danze popolari astratti, preceduti da un preludio di riscaldamento basato sull'improvvisazione: se vengono propinate agli allievi come oggetti sacri, gli allievi scappano, purtroppo verso Nek. Ma sono una delle cose più belle mai pensate da un musicista.

E la bellezza in musica?
La bellezza nella musica è trasversale; è un po' più presente nella musica complessa che in quella semplice; indipendentemente dal fatto che sia scritta o improvvisata, o miscela delle due cose, vecchia o nuova, commerciale o scritta con altri intenti. Ma non può essere goduta fino in fondo se non si ha una minima cultura musicale, etnica, moderna, accademica che sia. Gould (2) cambiava un sacco di cose della roba che suonava, ma lo faceva in modo convincente, ed è stato grandissimo.

So che una volta Leonard Bernstein si 'dissociò' da un'esecuzione di Glenn Gould…
Sì, durante un'esecuzione dal vivo, con una dichiarazione al pubblico prima del concerto, dall'esecuzione, eccentrica e poco rispettosa dell'originale. Un bell'esempio di musica che incanta: diversa da come doveva essere eppure bellissima (checché ne dicesse Bernstein), quindi priva di significati. Un altro esempio è la voce stonata di Battisti. Qualsiasi canzone è più bella intonata che stonata. Ma quel carattere può essere reinterpretato nella testa di chi ascolta, e gli può essere attribuita una sua musicalità. Diverso da dire che se Battisti fosse stato perfettamente intonato sarebbe stato peggio! Il fatto è che come diceva Cage la composizione continua in colui che la percepisce: e "La musica non esiste finché non esiste una mente atta a riceverla", diceva Hindemith (3).

Note

1. Nino Rota (Milano 1911 - Roma 1979) è conosciuto in tutto il mondo come uno dei più importanti compositori di musica per il cinema (basti pensare ai film di Federico Fellini "La Dolce Vita", "Otto e Mezzo", "Amarcord", a Luchino Visconti e alla saga de "Il Padrino"), ma la sua fortuna come musicista classico ha avuto negli ultimi anni un notevole incremento, tanto da portare una sua opera - Il Cappello di paglia di Firenze (1955) - ad essere inclusa con notevole successo nei programmi concertistici e discografici di artisti quali Riccardo Muti e Gidon Kremer.

2. Glenn Gould, pianista canadese dalla multiforme personalità, grande interprete in particolare delle composizioni bachiane (delle quali ci ha lasciato un ineguagliabile patrimonio di registrazioni), e controverso personaggio assurto all'alveo della mitizzazione, è scomparso a soli cinquant'anni nel 1982, dopo aver rivoluzionato l'approccio al suo strumento.

3. Compositore, violista e direttore d'orchestra, Paul Hindemith nasce nel 1895. La sua peculiare vocazione polifonico-contrappuntistica costituisce quasi una sorta di neoclassico "ritorno a Bach".
Attorno al 1926, poi, si manifesta l'interesse per la Jugendbewegung, un movimento nato allo scopo di promuovere la pratica musicale con finalità educative etiche.

(*) Autodidatta. Borsa di Studio Corso 'post-diplomam', per meriti artistici, di Alta Qualificazione Prof.le per Musicisti di Jazz e Derivazioni Contemporanee, Unione Europea, Siena Jazz, 1997.
Alcune collaborazioni: Bruno Tommaso, Paul MCCandless, Tino Tracanna, Massimo Manzi, Pino Minafra, Nino Pellegrini, Piero Bronzi, Paolo Fresu, Paolino Dalla Porta, Stefano Franceschini.

Discografia selezionata (Jazz):
COLLABORAZIONI:
- 'The Kid', QUARTETTO OKAPIA, Oscar Records, '93;
- 'Palermo Città d'Arte', Quartetto Brunelleschi, ob, vl, vla, vc, Extramedia '97, www.extra-media.it/cdrom.htm;
- 'Things Left Behind' - C. Riggio Iridescente Ensemble + Paolo Fresu, Symphonia Bluesmiles '98, www.symphoniarecords.it/bluesmiles.html;
- 'Sorvoli' - M.Cattani - Lapsus 2001;
COME LEADER:
- 'Middle Earth' - Ainulindale with Paul McCandless, Symphonia Bluesmiles 2000, www.symphoniarecords.it/bluesmiles.html;
- 'Il suono della macchia', quintetto di Livorno, in pubblicazione;
- 'Disordini al Confine', Orchestra Atipica Jazz Bonamici 'Group-One', NJI 2002, Materiali Sonori - www.matson.it
- 'Interferenze', Orchestra Atipica Jazz Bonamici 'Group-One', NJI 2003, www.ravingrecords.com, presentato al 7°Festival Internazionale Instabile 2003.

Collaborazioni didattiche:
- Scuola di Musica G. Bonamici, Pisa

Sito ufficiale: www.andreapellegrini.it