8 gennaio - Percorso n.2: CHE COS'È SCIENZA?

Autore: Restelli Silvio. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.

Oggi 8 gennaio facciamo partire il NUOVO PERCORSO dedicato alla scienza che comprende sette passi:

1) 8 gennaio: la nascita della scienza moderna (GALILEO GALILEI 1642);

2) 17 settembre: stare per comprendere o conoscere per fare? (BELLARMINO e POPPER).

3) 17 giugno: ma come si realizza la conoscenza scientifica? THOMAS KUHN e ISAAC NEWTON ci aiutano a dare una risposta.

4) 19 Aprile: evoluzionismo o disegno intelligente? (CHARLES DARWIN 1882);

5) 28 Novembre: nuova scienza e nuova epistemologia (ENRICO FERMI 1954);

6) 18 aprile: il miracolo della comprensibilità dell’universo. (ALBERT EINSTEIN 1955).

7) 20 giugno: un sacerdote cattolico, fisico e astronomo è autore della "teoria del Big Bang" (GEORGES LEMAITRE 1966)

Il tema della scienza è fondamentale per capire e contestare il PENSIERO DIFFUSO DOMINANTE: PROPRIO L'APPROCCIO SCIENTIFICO ALLA RISOLUZIONE DEI PROBLEMI UMANI, affermato come l’unica forma di conoscenza che porta alla verità e alla soluzione dei problemi (scientismo) ne è infatti IL PILASTRO (a volte non proclamato come tale).
Tale approccio, in quanto esclude la validità degli altri, è PRINCIPIO DI VIOLENZA.


Chiediamoci in primo luogo quale sia il dogma che il pensiero diffuso dominante usa nel caso del tema scienza.
Esso è formulabile in questi termini.
- La Scienza e la Tecnologia sono gli unici strumenti per la risoluzione dei problemi in quanto si muovono nella dimensione pratica e misurabile. Ciò che decide della verità o della falsità di qualcosa è solo la Scienza. Tutto ciò che è definito da un'autorità diversa dalla scienza e dal suo metodo è falso e da rifiutare o da considerare come un'opinione soggettiva senza alcuna pretesa di verità.

Cerchiamo di sviluppare il nostro percorso servendoci dell'Almanacco.

1) Il PRIMO PASSO riguarda la nascita della scienza moderna. La figura di GALILEO GALILEI 1642 rimane il punto di partenza imprescindibile.
Infatti tra Cinquecento e Seicento si assiste in Europa a un rapido progresso delle scienze, che investe non soltanto l'acquisizione di singole conoscenze, ma soprattutto il metodo scientifico adottato.
Da una scienza fortemente asservita alla tradizione filosofica aristotelico-scolastica si passa alla formazione della scienza moderna, la quale progressivamente afferma la propria autonomia dalla filosofia e dalla teologia ed elabora procedure metodologiche che la caratterizzano in maniera specifica.

A questa grande trasformazione, principiata essenzialmente nel campo dell’astrologia, si dà il nome di “rivoluzione scientifica”.
È proprio in riferimento a questo fenomeno che Galileo si pone come un padre fondatore.
Il suo scontro con la Chiesa e con la comunità degli scienziati del suo tempo è una conseguenza non voluta della sua profonda attività innovativa (in quanto la sua fede cristiana rimase costante nella sua vita).

Sullo scontro tra Galileo e la Chiesa (cardinal Bellarmino) siamo ormai ad un chiarimento quasi definitivo.
Vedi - in questo senso - il magistrale intervento di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla sessione plenaria dell'Accademia delle Scienza (31 ottobre 1992) dopo l'esposizione del cardinale Poupard a conclusione dei lavori della Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, istituita il 3 luglio 1981 da san Giovanni Paolo II

Per una presentazione storica completa della questione Galileo (con relativa falsificazione dei luoghi comuni della “Leggenda nera” vedi poi il seguente link ad un articolo di Vittorio Messori

oppure anche l’articolo di sintesi di Luciano Benassi in “Galileo Galilei. La leggenda del «martire» della scienza moderna”, tratto da: Franco CARDINI (a cura di), Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 329-352.

2) Il SECONDO PASSO consiste nell’affrontare la questione epistemologica: CHE COS’È LA SCIENZA?

«Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere.» (Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico.)

BELLARMINO 1621 E POPPER 1994 rappresentano una consapevolezza acuta della natura della ricerca scientifica.
Entrambi, infatti, vivono in un momento importante della scienza moderna: il primo quello della prima grande rottura epistemologica (Galileo), il secondo sta di fronte alla svolta più significativa del Novecento (quella della relatività di Einstein).
Il primo, autorevole esponente della scuola dei gesuiti, sostiene, di fronte a Galileo, la necessità di considerare la teoria eliocentrica copernicana come una autorevole congettura di natura matematica, in grado di spiegare meglio delle altre teorie i movimenti degli astri, ma ancora priva di quelle conferme capaci di far sostenere che essa descrive la realtà delle cose in modo incontrovertibile. Vedi qui.

Il secondo è uno dei più grandi pensatori del novecento, padre del razionalismo critico contemporaneo e sostenitore di una visione della ricerca scientifica per la quale ESSA ABBANDONA LA SUA PRESUNZIONE DI SAPERE INCONTROVERTIBILE E SI LIMITA A TENDERE (UNICO AMBITO CUI LA VERITÀ È AFFIDATA) VERSO TEORIE SEMPRE PIÙ CAPACI DI SPIEGARE SETTORI SEMPRE PIÙ AMPI DI REALTÀ.
Popper ha coniato l'espressione razionalismo critico per descrivere il proprio approccio filosofico alla scienza.
L'espressione implica il rifiuto dell'empirismo logico, dell'induttivismo e del verificazionismo. Popper afferma che le teorie scientifiche sono proposizioni universali, espresse al modo indicativo, la cui verosimiglianza può essere controllata solo indirettamente a partire dalle loro conseguenze.

La conoscenza umana (scienza) è di natura congetturale e ipotetica, e trae origine dall'attitudine dell'uomo a risolvere i problemi in cui si imbatte, intendendo per problema la contraddizione tra quanto previsto da una teoria e i fatti osservati.

Popper pone al centro dell'epistemologia la fondamentale asimmetria tra verificazione e falsificazione di una teoria scientifica: infatti, per quanto numerose possano essere, le osservazioni sperimentali a favore di una teoria non possono mai provarla definitivamente e basta anche solo una smentita sperimentale per confutarla. La falsificabilità è anche il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza: una teoria è scientifica se e solo se essa è falsificabile. Ciò conduce Popper ad attaccare le pretese di scientificità della psicoanalisi e del materialismo dialettico del marxismo, dal momento che queste teorie non possono essere falsificate a contestare anche lo storicismo il determinismo come visioni filosofiche che stanno alla base della pretesa infallibilità della scienza. Vedi qui la sua famosa intervista concessa a David Miller.

Ne “Il realismo e lo scopo della scienza” (1983), Popper sviluppa poi la sua concezione della metafisica introducendo il concetto di programma di ricerca metafisico. Queste sono le sue parole:

«l’atomismo è un eccellente esempio di teoria metafisica non controllabile la cui influenza sulla scienza è stata superiore a quella di molte altre teorie scientifiche controllabili». Dopo aver presentato altri esempi di teorie metafisiche che hanno influenzato la scienza, continua:
«Ognuna di queste teorie servì, prima di diventare controllabile, come un programma di ricerca per la scienza. Indicò la direzione della ricerca, e il tipo di spiegazione che poteva soddisfarci, e rese possibile una sorta di valutazione della profondità di una teoria».

Questo passaggio è importante perché mostra il ruolo euristico della metafisica nel guidare la costruzione di ipotesi scientifiche, le quali nella maggior parte dei casi emergono nel corso dell’attività di uno scienziato o di un gruppo di scienziati al lavoro su un programma di ricerca.
Tale programma è solitamente articolato alla luce di alcuni principi generali (o metafisici) e di idee che indicano la natura delle ipotesi specifiche che dovrebbero essere escogitate per interpretare fatti esistenti e per essere sottoposte a controllo sulla base di ulteriori osservazioni o esperimenti. Così le intuizioni generali sull’atomismo orientarono Dalton nell’elaborare un’ipotesi che spiegasse alcuni fatti della combinazione chimica, e Maxwell nel tentare di rendere conto delle relazioni osservate tra pressione, volume e temperatura dei gas. Senza le idee metafisiche dell’atomismo che guidassero i loro programmi di ricerca, è lecito dubitare che Maxwell e Dalton sarebbero arrivati a formulare le loro specifiche ipotesi scientifiche.

Quello che è avvenuto nei quattro secoli intermedi tra Bellarmino e Popper è l’affermarsi di un orizzonte teoretico per il quale la verità delle cose è affidata non all’essere ma al fare (dall’ens est verum di san Roberto Bellarmino al verum quia faciendum di Popper).
Lo scontro è tra due concezioni della realtà: nella prima lo “stare per comprendere” è necessaria premessa al “conoscere per fare” e individua le direzioni e i limiti della scienza stessa; nella seconda la scienza non ha al di fuori di sé alcun ambito conoscitivo capace di orientarla e determina con le sue procedure interne le modalità di trasformazione del mondo.

Qui abbiamo fatto passi in avanti sulla concezione della scienza e sul fatto che il sapere scientifico non è assoluto, ma abbiamo lasciato aperto il discorso sulla relatività e sul prassismo. Rimane aperto cioè il discorso epistemologico.
Vedi anche la riflessione sulla figura di ISAAC NEWTON e l'intervista sul determinismo scientifico

3) Il TERZO PASSO è quello offertoci da THOMAS KUHN 1996: storico della scienza e filosofo statunitense, fu un epistemologo che scrisse vari saggi di storia della scienza, sviluppando alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza.
Formulò un'epistemologia alternativa a quella dell'empirismo logico e di Karl Popper, suoi principali bersagli polemici.

Dopo le sue autorevoli riflessioni diventa impossibile sostenere che la SCIENZA (con la S maiuscola) sia l'unica forma di conoscenza che attinge alla verità delle cose come il pensiero diffuso dominante ha sostenuto negli ultimi secoli.

Pensiero
In "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" (1962), la sua opera più celebre e conosciuta,Thomas Kuhn sostiene che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama slittamenti di paradigma.

Il modo migliore di valutare l'impatto del pensiero di Kuhn consiste nel misurare l'effetto che la sua opera ha avuto sul vocabolario della storia della scienza: accanto agli "slittamenti di paradigma", Kuhn impone l'uso del termine "paradigma" per indicare l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente, conia l'espressione “scienza normale” per riferirsi al lavoro di routine degli scienziati che seguono un determinato paradigma, ed è largamente responsabile dell'uso dell'espressione "rivoluzioni scientifiche", declinata al plurale per poter essere distinta dalla "rivoluzione scientifica" sviluppatasi intorno alla fine del Rinascimento e nel seicento.

A seguito di una di queste rivoluzioni scientifiche cambia il paradigma di riferimento. Il criterio con cui un paradigma risulta vincitore sugli altri consiste nella sua forza persuasiva e nel grado di consenso all'interno della comunità scientifica.

Le "Fasi" della Scienza per Kuhn
Kuhn ci dice che la scienza attraversa ciclicamente alcune fasi che sono indicative di come essa operi. Per Kuhn la scienza è paradigmatica, e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza è riconducibile all'esistenza di un paradigma.

La Fase 0 è dunque il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall'esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro e l'assenza di un sistema di principi condivisi.
In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti ed è presente molta confusione.
A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma, l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all'interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori.

Questa adesione sancisce la Fase 1, ovvero, l'accettazione del paradigma.
Una volta definito il paradigma ha inizio la Fase 2, ovvero, quella che Kuhn chiama la scienza normale.

Nel periodo di scienza normale gli scienziati sono visti come risolutori di rompicapi, che lavorano per migliorare l'accordo tra il paradigma e la natura. Questa fase, infatti, è basata sull'insieme dei principi di fondo dettati dal paradigma, che non vengono messi in discussione, ma ai quali, anzi, è affidato il compito di indicare le coordinate dei lavori successivi.
In tale fase vengono sviluppati gli strumenti di misura con cui si svolge l'attività sperimentale, vengono prodotti la maggior parte degli articoli scientifici, ed i suoi risultati costituiscono la maggior parte della crescita della conoscenza scientifica.
Durante la fase di scienza normale si otterranno successi, ma anche insuccessi; tali insuccessi, per Kuhn, prendono il nome di anomalie, ovvero eventi che vanno contro il paradigma. Lo scienziato normale, da buon risolutore di rompicapo quale è, tenta di risolvere tali anomalie.

Si passa così alla Fase 3, nella quale il ricercatore si scontra con le anomalie. Quando il fallimento è particolarmente ostinato o evidente, può avvenire che l'anomalia metta in dubbio tecniche e credenze consolidate con il paradigma, aprendo così la
Fase 4, ovvero la crisi del paradigma.
Come conseguenza della crisi, in tale periodo si creeranno paradigmi diversi. Tali nuovi paradigmi non nasceranno quindi dai risultati raggiunti dalla teoria precedente ma, piuttosto, dall'abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante.

Si entra così nella Fase 5, la rivoluzione (scientifica).
Nel periodo di scienza straordinaria, si aprirà una discussione all'interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare.
Però non sarà necessariamente il paradigma più "vero" o il più efficiente ad imporsi, ma quello in grado di catturare l'interesse di un numero sufficiente di scienziati, e di guadagnarsi la fiducia della comunità scientifica.
I paradigmi che partecipano a tale scontro, secondo Kuhn, non condividono nulla, neanche le basi e quindi non sono paragonabili. La scelta del paradigma avviene, come detto, per basi socio-psicologiche oppure biologiche (giovani scienziati sostituiscono quelli anziani).
La battaglia tra paradigmi risolverà la crisi, sarà nominato il nuovo paradigma e la scienza sarà riportata a una Fase 1.

Critiche
Il pensiero di Kuhn è stato contestato su due punti:
- da una parte il fatto che la scienza sia il risultato di un consenso, piuttosto che di criteri oggettivi, fa nascere sospetti di relativismo;
- dall'altra parte, la storia delle scienze naturali mostra che per lunghi periodi molti paradigmi hanno coabitato in maniera conflittuale senza che uno di essi si imponesse come "scienza normale". In particolare, quest'aspetto è emerso dalle ricerche di Lakatos, esposte nel suo testo "Critica e crescita della conoscenza".

La conquista fatta con questo passo riguarda ancora lo scientismo, battuto in modo definitivo.

4) Il QUARTO PASSO è quello dell’evoluzionismo di CHARLES DARWIN 1882.
La sua importanza nel dibattito moderno e contemporaneo va al di là dei suoi effettivi meriti scientifici. La sua teoria dell’evoluzione, infatti, nei termini in cui è stata affermata dai suoi sostenitori, si presenta come ancora bisognosa di conferme empiriche e sperimentali e per nulla acquisita dal senso scientifico comune.

Eppure, la divulgazione scientifica dei mass media non accetta che la teoria sia messa in dubbio da domande critiche. FORSE PERCHÉ LA TEORIA EVOLUZIONISTA SERVE A METTERE IN CRISI LA CONCEZIONE DELL'UOMO COME PERSONA, COME IO IN RELAZIONE (CON IL CREATORE, CON LA NATURA CREATA CON GLI ALTRI UOMINI).

Ecco una presentazione documentata delle contro argomentazioni dei sostenitori della teoria del "progetto intelligente" apparsa su “Il Domenicale” N.36 di Sabato 3 settembre 2005, intitolata:
"Finalmente una sfida seria alla religione evoluzionista." per opera di di G.Piombini.

La tesi centrale del “disegno intelligente” è che il caso e la selezione naturale, le forze che per i darwinisti spingono l’evoluzione, non sono sufficienti a spiegare le caratteristiche degli esseri viventi, la cui complessità si comprende meglio postulando una causa intelligente piuttosto che un processo senza direzione.

EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UN'IPOTESI: IL VERO OBIETTIVO DI CHI DIFENDE DARWIN E' CRITICARE LA CHIESA di Roberto De Mattei

L’ultimo numero della rivista "MicroMega" ha come bersaglio, in copertina e in numerosi articoli, Benedetto XVI e il suo Magistero.
Ma uno degli articoli è una violenta requisitoria contro un convegno da me promosso al Consiglio nazionale delle ricerche lo scorso 23 febbraio sull’evoluzionismo. Per l’autore, Telmo Pievani, non solo è inconcepibile che qualcuno critichi l’evoluzionismo, ma è persino «mirabolante» che la critica sia promossa dal vicepresidente del Cnr.

Ciò che più colpisce non è la prevalenza degli aggettivi sui sostantivi e degli umori sulle ragioni, né le espressioni insultanti tipo «siamo il paese delle trasmissioni paranormali alla Voyager», ma la capacità di parlare di ciò che non si conosce.
Pievani tenta per sette pagine di ridicolizzare un convegno internazionale senza peritarsi di leggerne gli atti, recentemente pubblicati da Cantagalli con il titolo: "L’evoluzionismo: tramonto di un’ipotesi".
Dopo aver visto su un quotidiano un’ottima recensione di questo volume, è andato fuori dai gangheri e non ha fatto ciò che sarebbe stato ragionevole: acquistare una copia del libro e redigere una risposta argomentata. Avrebbe così scoperto che il libro collaziona non esternazioni fideistiche, bensì critiche di carattere scientifico, alle quali avrebbe così potuto provare a replicare in modo meno approssimativo e manicheo.

La principale caratteristica dei fanatici dell’evoluzionismo è parlare di ciò che non conoscono, a cominciare dalla stessa teoria dell’evoluzione che, 150 anni dopo l’apparizione dell’Origine della specie di Darwin, continua a essere una sorta di «oggetto scientifico non identificato». Così facendo, però, egli contraddice due volte il metodo scientifico.

Prima di tutto perché la scienza non afferma verità ma vi si approssima per prove ed errori: epistemologicamente, qualunque tesi verrà tendenzialmente confutata o almeno corretta. E poi la modalità d’indagine con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza oggettiva e affidabile si basa sull’osservazione della realtà e sulla formulazione di un’ipotesi, verificata sperimentalmente. Ciò che non è il caso dell’evoluzionismo.

La legge della gravitazione universale di Newton può essere sperimentata ogni giorno. Gli esperimenti di Pasteur sui micro-organismi possono essere ripetuti ogni giorno. Per poter trarre leggi generali da un esperimento, esso deve poter essere realizzato, nelle stesse condizioni, da chiunque, in qualunque tempo e luogo. Quando un’ipotesi scientifica è inverificabile non può assumere la dignità di teoria. Ma quali esperimenti provano ciò che accadde nel passato: la pretesa evoluzione dalla materia alla vita, dal semplice al complesso? Il fatto che la materia complessa sia costituita da elementi più semplici non prova l’esistenza di un passaggio, nel tempo, dai secondi alla prima.

Per ovviare alla mancanza di una dimostrazione scientifica, l’evoluzionismo pretende di sostituire alla causalità, la casualità. Il «caso» diviene la «spiegazione» dell’inspiegabile.

In questa prospettiva Pievani teorizza «che un evento altamente improbabile può realizzarsi in seguito a un’enorme quantità di tentativi nel corso di milioni o di miliardi di anni» (Creazione senza Dio, Einaudi, 2006).

Ma il tempo non produce differenza: ciò che è impossibile sotto l’aspetto dei rapporti causa-effetto rimane tale per sempre. Anche le fantasie del caso hanno limiti invalicabili, che nella teoria della probabilità si chiamano «soglie di impossibilità» e rappresentano quei valori di probabilità al di sotto dei quali vi è la certezza che un evento casuale non si è mai verificato, né mai si verificherà.

IL FATTO CHE UN EVENTO MOLTO IMPROBABILE POSSA TEORICAMENTE ACCADERE NON SIGNIFICA CHE SIA ACCADUTO. Né ha valore immaginare lunghissimi tempi in cui «l’impossibile diviene possibile, il possibile probabile e il probabile virtualmente certo. Basta aspettare: il tempo compirà da solo il miracolo» (George Wald, L’origine della vita).

L’evoluzionismo, insomma, è una fantasiosa «storia» che presuppone a sua volta come verità indiscussa un principio filosofico, l’idea che TUTTO SIA MATERIA IN CONTINUO SVILUPPO. La teoria scientifica non si regge da sola: ha bisogno di quella filosofica per sopravvivere, e viceversa.

In questi giorni (2009 ndr) celebriamo i 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e con esso di tanti miti: il «socialismo scientifico», la «dittatura del proletariato», il «progresso» indefinito della storia.
Un solo totem sopravvive ancora: QUELLO DELL’EVOLUZIONISMO, UN DOGMA CHE AL SOCIALISMO DI ENGELS E DI MARX È, COME NOTO, STRETTAMENTE LEGATO.
Qual è la ragione per cui una teoria scientifica nata nell’Ottocento, come è quella darwiniana, è sopravvissuta al crollo dei miti ottocenteschi? Perché non possiamo non dirci darwinisti? come recita un altro curioso titolo diffuso in questi giorni in libreria. La ragione è semplice. Il relativismo contemporaneo, secondo cui non esistono valori assoluti, ma tutto si trasforma, e nulla è stabile e permanente, ha il suo fondamento nella teoria evoluzionista.

E oggi siamo passati DALLA DITTATURA DEL PROLETARIATO ALLA DITTATURA DEL RELATIVISMO. Un esempio di questo totalitarismo scientista è proprio la pretesa di Pievani di tappare la bocca ai propri avversari, imponendo loro la «verità scientifica» per autorità, prassi di cui, anche nel fascicolo di Micromega, viene accusata la Chiesa.

COSÌ FACENDO, PIEVANI DIMOSTRA L’UTILITÀ DEL LIBRO E CONFERMA LA RAGIONE PER CUI ESSO È NATO, CIOÈ EVITARE CHE L’EVOLUZIONISMO CONTINUI A ESSERE IMPOSTO COME DOGMA DI FEDE, BOLLANDO I CRITICI CON EPITETI SPREGIATIVI E, SE NECESSARIO, COLPENDOLI CON L’EPURAZIONE. È QUESTA INFATTI LA NEMMENO TROPPO LARVATA RICHIESTA NEI MIEI CONFRONTI DI PIEVANI, SCANDALIZZATO CHE IO RICOPRA «LA CARICA DI VICEPRESIDENTE DEL CNR». IL MONDO SCIENTIFICO NEL XX SECOLO HA GIÀ CONOSCIUTO REGIMI IN CUI SI È ADOTTATO QUESTO SISTEMA. MA UN PENSATORE LAICO E DEMOCRATICO NON DOVREBBE ABORRIRE SIMILI ATTEGGIAMENTI?
Fonte: Corrispondenza Romana, 30 Novembre 2009
Pubblicato su BastaBugie n. 121

Questo passo ci fa capire che la forma prevalente di scientismo oggi è proprio l'evoluzionismo e con esso si vuole raggiungere l'obiettivo di negare la concezione dell'uomo come "IO IN RELAZIONE" (PERSONA) che la grande tradizione cristiana ha costruito in Occidente.

5) Il QUINTO PASSO lo facciamo con l’aiuto di ENRICO FERMI 1954 il 28 novembre.
La sua attività di grande scienziato si sviluppa in un periodo di fondamentale importanza per la riflessione della scienza su se stessa. Possiamo parlare del SUPERAMENTO DEL PARADIGMA SCIENTIFICO NEWTONIANO-GALILEIANO E DI UNA NUOVA EPISTEMOLOGIA SCIENTIFICA, che va nella direzione di rinunciare al valore assoluto delle teorie scientifiche.

Anche Benedetto XVI aveva rievocato la necessità di un nuovo dialogo tra scienza, filosofia e teologia.
“Anche oggi l'universo continua a suscitare interrogativi a cui la semplice osservazione, però, non riesce a dare una risposta soddisfacente: le sole scienze naturali e fisiche non bastano. L'analisi dei fenomeni, infatti, se rimane rinchiusa in se stessa rischia di far apparire il cosmo come un enigma insolubile: la materia possiede un'intelligibilità in grado di parlare all'intelligenza dell'uomo e indicare una strada che va al di là del semplice fenomeno. ….
Le domande sull'immensità dell'universo, sulla sua origine e sulla sua fine, come pure sulla sua comprensione, non ammettono una sola risposta di carattere scientifico.

Chi guarda al cosmo, seguendo la lezione di Galileo, non potrà fermarsi solo a ciò che osserva con il telescopio, dovrà procedere oltre per interrogarsi circa il senso e il fine a cui tutto il creato orienta. La filosofia e la teologia, in questa fase, rivestono un ruolo importante, per spianare il cammino verso ulteriori conoscenze. La filosofia davanti ai fenomeni e alla bellezza del creato cerca, con il suo ragionamento, di capire la natura e la finalità ultima del cosmo. La teologia, fondata sulla Parola rivelata, scruta la bellezza e la saggezza dell'amore di Dio, il quale ha lasciato le Sue tracce nella natura creata (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, ia. q. 45, a. 6).

In questo movimento gnoseologico sono coinvolte sia la ragione che la fede; entrambe offrono la loro luce. Più la conoscenza della complessità del cosmo aumenta, maggiormente richiede una pluralità di strumenti in grado di poterla soddisfare; nessun conflitto all'orizzonte tra le varie conoscenze scientifiche e quelle filosofiche e teologiche; al contrario, solo nella misura in cui esse riusciranno ad entrare in dialogo e a scambiarsi le rispettive competenze saranno in grado di presentare agli uomini di oggi risultati veramente efficaci."


Possiamo seguire la chiara presentazione della nuova epistemologia fatta da Enrico Rubetti su Filosofico.net

1. Dall’empirismo logico alla nuova epistemologia.
Prendere atto dell’avvento di una “nuova epistemologia scientifica” significa ripensare la Scienza e le sue rivoluzioni.
Oltre al superamento di una visione puramente logico-formale delle teorie scientifiche – gli empiristi logici si sono dimostrati troppo “razionalisti” e poco attenti ai “fatti” della scienza – e a una revisione del rapporto fra teoria ed esperienza, nella quale si tende ad affermare un primato della teoria – cioè il ragionamento ipotetico-deduttivo rispetto ai dati forniti dall’esperienza –, la nuova epistemologia si caratterizza soprattutto per la grande rilevanza assegnata alla dimensione storica che coinvolge le teorie scientifiche, le concezioni culturali e filosofiche di un’epoca, i contesti storico-sociali e culturali in cui quelle teorie vengono alla luce. Si fa più vivo, dunque, l’interesse per il mutamento delle teorie scientifiche e l’attenzione rivolta alla storia della scienza, alla storia delle teorie, soprattutto ai momenti di rottura epistemologica, di transizione e di passaggio da una teoria all’altra, cioè le cosiddette “rivoluzioni scientifiche”.
L’idea di una più stretta connessione fra saperi scientifici e saperi extra scientifici (etici, estetici, metafisici, etc.) assume un ruolo fondamentale nella tendenza a delineare una visione pluralistica del sapere.

L’attacco all’ortodossia che la nuova epistemologia muove intorno alla questione delle rivoluzioni scientifiche, consiste nella critica della convinzione che la storia della scienza si sviluppi con continuità e che le teorie precedenti confluiscano in quelle successive. I neopositivisti, attenti quasi esclusivamente alla logica della scienza, sembravano avere tacitamente accolto il modello “evolutivo” e “continuistico” (di ispirazione illuminista e positivista) di un avanzamento graduale, progressivo e lineare delle conoscenze, come se queste costituissero un patrimonio che si accresce per accumulazione, secondo una concezione appunto cumulativa della scienza.

A tale modello, pertanto, viene a contrapporsi quello della competizione fra le teorie, da cui deriva la convinzione che la sostituzione di una teoria con l’altra avvenga attraverso passaggi “rivoluzionari”, veri e propri momenti di “rottura”.

Inoltre, grazie anche al nuovo scenario teorico rappresentato dall’elaborazione di Popper, è radicalmente messa in discussione la tesi neopositivista dell’indipendenza degli enunciati osservativi, dei quali sarebbe stato immediatamente possibile accertare la verità. Si afferma, invece, la tesi secondo cui «l’interpretazione di un linguaggio osservativo è determinata dalle teorie che usiamo per spiegare ciò che osserviamo e cambia non appena cambiamo quelle teorie» (Paul Feyerabend).

2. Pluralità e incommensurabilità delle teorie.
Il primato della teoria sull’esperienza significa anche che il modo con cui guardiamo alle cose, le osserviamo e le descriviamo, dipende dai nostri modelli di “lettura” del mondo e dai problemi di cui cerchiamo la soluzione. In questo senso la nuova epistemologia mette in discussione un altro presupposto fondamentale del neopositivismo e cioè la fiducia in un “modello” di scienza e di metodo scientifico, generale ed univoco.
Viene così esplicitamente negata l’unità della scienza: si afferma che del mondo si possono dare una pluralità di rappresentazioni diverse e incommensurabili. Ma se si ammette una pluralità di concezioni scientifiche, come è possibile stabilire quale delle teorie a confronto sia più valida e accettabile? Sembra molto difficile, se non impossibile, stabilirlo, dato il fatto che esse rispondono a problemi diversi e hanno molti altri elementi non confrontabili. Pertanto, al contrasto e alla controversia viene attribuita molta importanza, perché ad essere riconosciuto come valido, “vero”, è ciò che vince nella controversia.
In tal modo una nozione assoluta di verità viene esclusa dal campo scientifico, sostituita dal confronto e dalla competizione fra teorie diverse.

La nuova epistemologia abbatte definitivamente - come si vede - la barriera che si è voluta costruire tra pensiero moderno e radici cristiane dell'Occidente.

6) Il SESTO PASSO ce lo fa fare ALBERT EINSTEIN 1955 (Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955), fisico tedesco naturalizzato svizzero, divenuto in seguito cittadino statunitense.

La grandezza di Einstein è consistita nell'aver mutato per sempre il modello istituzionale di interpretazione del mondo fisico: nel 1905, l'anno ricordato come annus mirabilis, Einstein pubblica tre articoli a contenuto fortemente innovativo, riguardanti tre aree differenti della fisica:
- dimostra la validità della teoria dei quanti di Planck tramite l'effetto fotoelettrico dei metalli;
- fornisce una valutazione quantitativa del moto browniano e l'ipotesi di aleatorietà dello stesso;
- espone la teoria della relatività ristretta, che precede di circa un decennio quella della relatività generale.

Nel 1921 ricevette il Premio Nobel per la Fisica per i suoi contributi alla fisica teorica e specialmente per la sua scoperta della legge dell'effetto fotoelettrico" e la sua fama dilagò in tutto il mondo: era un successo insolito per uno scienziato e, durante gli ultimi anni della sua vita, la fama di Einstein non fece che aumentare, superando quella di qualunque altro scienziato della storia. Nella cultura popolare, il suo nome divenne ben presto sinonimo di intelligenza e di grande genio.

Oltre a essere uno dei più celebri fisici della storia della scienza, fu un grande pensatore e attivista in molti altri ambiti (dalla filosofia alla politica). Per il suo complesso apporto alle scienze e alla fisica in particolare è indicato come uno dei più importanti studiosi e pensatori del XX secolo.
La sua immagine rimane a tutt'oggi una delle più conosciute al mondo. Questa popolarità ha inoltre portato ad un uso molto diffuso della sua immagine nel mondo della pubblicità, giungendo persino alla registrazione di "Albert Einstein" come marchio.

Einstein filosofo
Alla figura dello scienziato si affianca quella di pensatore e filosofo, che muove da una profonda ammirazione per i sistemi di Spinoza e Schopenhauer. Del primo era particolarmente affascinato dalla concezione olistica, cioè dall'idea del cosmo come di un tutto ordinato secondo le leggi di un'entità panica impersonale, mentre del secondo condivideva la visione disincantata dell'umanità; inoltre, in tutta la produzione saggistica si può notare come lo stile einsteniano, lineare ed al contempo vibrante e ricco di passi altamente suggestivi, sia avvicinabile a quello di alcuni testi del filosofo tedesco (come dimostrano i caustici aforismi).

La visione religiosa
La religiosità di Einstein era molto complessa, certamente non di tipo comune e non definibile precisamente, e subì alcune variazioni nel corso degli anni. Benché di famiglia ebraica, Einstein non credeva negli aspetti strettamente religiosi dell'ebraismo ma considerava se stesso ebreo da un punto di vista culturale. Einstein fu socio onorario della Rationalist Press Association sin dal 1934.
Egli non fu sempre coerente e quindi non è facile afferrare precisamente cosa intendesse dire. Einstein non si dichiarava ateo, e nemmeno deista (e non può essere nemmeno definito agnostico, in quanto credeva in una qualche concezione, sebbene per nulla comune, di Dio).
Rifiutava nel complesso l'idea di un Dio personale (ritenendola una forma di antropomorfismo) tipica della concezione ebraico-cristiana, come testimonia una lettera personale nel 1954, dove scriveva:
«Io non credo in un Dio personale e non l'ho mai negato, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare.»

E ancora, sulla morte:
«Non riesco a concepire un Dio che premi e castighi le sue creature o che sia dotato di una volontà simile alla nostra. E neppure riesco né voglio concepire un individuo che sopravviva alla propria morte fisica; lasciamo ai deboli di spirito, animati dal timore o da un assurdo egocentrismo, il conforto di simili pensieri. Sono appagato dal mistero dell'eternità della vita e dal barlume della meravigliosa struttura del mondo esistente, insieme al tentativo ostinato di comprendere una parte, sia pur minuscola, della Ragione che si manifesta nella Natura.»

Einstein in una sua lettera manoscritta datata 3 gennaio 1954 (quindici mesi prima della morte) indirizzata al filosofo Eric Kudkind, che gli aveva inviato una copia di un suo libro sulla Bibbia, ribadisce ancora una volta le sue concezioni:
«… Per me, la parola Dio non è niente di più che un'espressione e un prodotto dell'umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, che a dire il vero sono piuttosto infantili. Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile, può farmi cambiare idea su questo. Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un'incarnazione delle superstizioni più infantili …»

Questa importante missiva, acquistata all'asta nel 1955 da un privato e rimasta finora sconosciuta, è stata venduta a Londra il 15 maggio 2008 per 214.000 Euro dalla casa d'aste 'Bloomsbury'.
Einstein era affascinato dal panteismo di Spinoza («Io credo nel Dio di Spinoza che si rivela nella ordinaria armonia di ciò che esiste, non in un Dio che si preoccupa del fato e delle azioni degli esseri umani.»), ma rifiutava l'etichetta di panteista. A differenza di Spinoza, Einstein conservava infatti anche una concezione trascendente di Dio, oltre ad una concezione puramente immanente del divino in quanto presenza misteriosa nella natura stessa.

«Una volta in risposta alla domanda: «Lei crede nel Dio di Spinoza?», Einstein rispose così: «Non posso rispondere con un semplice sì o no. Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse.
Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni. Mi affascina il panteismo di Spinoza, ma ammiro ben di più il suo contributo al pensiero moderno, perché egli è il primo filosofo che tratta il corpo e l'anima come un'unità e non come due cose separate.»
Brian, Einstein a life, 1996, p. 127)

Nel complesso Einstein credeva in un Dio "oltre-personale" («außerpersönlich» è il termine da lui stesso impiegato, in netta contrapposizione con la tradizionale concezione ebraico-cristiana), presente nella natura (pur senza identificarsi con essa) in modo misterioso. Fu accusato anche per questo di ateismo dal vescovo di Boston O'Connell e ne soffrì molto.
D'altra parte Einstein non aveva nemmeno una grande opinione dell'ateismo militante:
«Gli atei fanatici sono come schiavi che ancora sentono il peso delle catene dalle quali si sono liberati dopo una lunga lotta. Essi sono creature che - nel loro rancore contro le religioni tradizionali come "oppio delle masse" - non possono sentire la musica delle sfere.»

E ancora:
«Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo (nella misura in cui ci sia lecito parlarne) come a un miracolo o a un eterno mistero. A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe (forse addirittura si dovrebbe) attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all'ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d'ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall'uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d'ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del "miracoloso", che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli. La cosa curiosa, certo, è che dobbiamo accontentarci di riconoscere il "miracolo", senza poter individuare una via legittima per andar oltre. Capisco che devo ben esplicitare quest'ultima considerazione in modo che non ti venga in mente che, indebolito dall'età, io sia divenuto vittima dei preti.»
Nel complesso la sua posizione su Dio è stata largamente strumentalizzata dagli opposti partiti della disputa teismo/ateismo: ma è certo che Einstein rifuggisse da qualunque facile definizione. Etichettare il suo libero pensiero risulta pertanto poco sensato. Senz'altro espresse rispetto per i valori religiosi adottati dalle tradizioni ebraiche e cristiane, pur non condividendone la concezione del divino. Sebbene ebreo, Einstein ammirava molto la figura storica di Gesù:
«Fino a che punto è influenzato dalla cristianità? - Da bambino ho ricevuto un'istruzione sia sul Talmud che sulla Bibbia. Sono un ebreo, ma sono affascinato dalla figura luminosa del Nazareno».

«Ha mai letto il libro di Emil Ludwig su Gesù? - Il libro di Ludwig è superficiale. Gesù è una figura troppo imponente per la penna di un fraseggiatore, per quanto capace. Nessun uomo può disporre della cristianità con un bon mot ».
«Accetta il Gesù storico? - Senza dubbio! Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita.»

7) IL SETTIMO e ultimo PASSO è quello di un altro scienziato, abbastanza poco conosciuto ma molto importante per la sua elaborazione della teoria del “BIG BANG”, GEORGES EDOUARD LEMAÎTRE (Charleroi, 17 luglio 1894 – Lovanio, 20 giugno 1966).

Sacerdote, fisico e astronomo, richiesto sulla differenza tra lo scienziato credente e il non credente, LEMAÎTRE sottintende quanto si è visto con Albert Einstein (il riconoscimento dell’ordine e della intelligibilità del creato n.d.r.) nel momento in cui risponde:
«Entrambi si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente; dunque, che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità».
da: Francesco Agnoli, Creazione ed evoluzione. Dalla geologia alla cosmologia, cit., p. 85-88.

Le testimonianze di Einstein e Lemaitre sono una conferma impressionante e definitiva della fecondità umana che scaturisce dalla ricerca della verità (stare per comprendere) come base della pratica scientifica (comprendere per fare). I due più grandi protagonisti della nuova scienza ce lo indicano con chiarezza.

Per approfondire tutto il percorso vedi il testo di Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, qui.

Per una rassegna documentata di tutti gli scienziati credenti vedi qui.