8 gennaio - Percorso n.2: CHE COS'È SCIENZA?
Oggi 8 gennaio facciamo partire il NUOVO PERCORSO dedicato alla scienza che comprende sette passi:1) 8 gennaio: la nascita della scienza moderna (GALILEO GALILEI 1642);
2) 17 settembre: stare per comprendere o conoscere per fare? (BELLARMINO 1621 e POPPER).
3) 17 giugno: ma come si realizza la conoscenza scientifica? (THOMAS KUHN 1996); e ISAAC NEWTON 1727
4) 19 Aprile: evoluzionismo o disegno intelligente? (CHARLES DARWIN 1882);
5) 28 Novembre: nuova scienza e nuova epistemologia (ENRICO FERMI 1954);
6) 18 aprile: il miracolo della comprensibilità dell’universo. (ALBERT EINSTEIN 1955).
7) 20 giugno: un sacerdote cattolico, fisico e astronomo è autore della "teoria del Big Bang" (GEORGES LEMAITRE 1966)
Il tema della scienza è fondamentale per capire e contestare il PENSIERO DIFFUSO DOMINANTE: PROPRIO L'APPROCCIO SCIENTIFICO ALLA RISOLUZIONE DEI PROBLEMI UMANI, affermato come l’unica forma di conoscenza che porta alla verità e alla soluzione dei problemi (scientismo) ne è infatti IL PILASTRO (a volte non proclamato come tale).
Tale approccio, in quanto esclude la validità degli altri, è PRINCIPIO DI VIOLENZA.
Chiediamoci in primo luogo quale sia il dogma che il pensiero diffuso dominante usa nel caso del tema scienza.
Esso è formulabile in questi termini.
- La Scienza e la Tecnologia sono gli unici strumenti per la risoluzione dei problemi in quanto si muovono nella dimensione pratica e misurabile. Ciò che decide della verità o della falsità di qualcosa è solo la Scienza. Tutto ciò che è definito da un'autorità diversa dalla scienza e dal suo metodo è falso e da rifiutare o da considerare come un'opinione soggettiva senza alcuna pretesa di verità.
Cerchiamo di sviluppare il nostro percorso servendoci dell'Almanacco.
1) Il PRIMO PASSO riguarda la nascita della scienza moderna. La figura di GALILEO GALILEI 1642 rimane il punto di partenza imprescindibile.
Infatti tra Cinquecento e Seicento si assiste in Europa a un rapido progresso delle scienze, che investe non soltanto l'acquisizione di singole conoscenze, ma soprattutto il metodo scientifico adottato.
Da una scienza fortemente asservita alla tradizione filosofica aristotelico-scolastica si passa alla formazione della scienza moderna, la quale progressivamente afferma la propria autonomia dalla filosofia e dalla teologia ed elabora procedure metodologiche che la caratterizzano in maniera specifica.
A questa grande trasformazione, principiata essenzialmente nel campo dell’astrologia, si dà il nome di “rivoluzione scientifica”.
È proprio in riferimento a questo fenomeno che Galileo si pone come un padre fondatore.
Il suo scontro con la Chiesa e con la comunità degli scienziati del suo tempo è una conseguenza non voluta della sua profonda attività innovativa (in quanto la sua fede cristiana rimase costante nella sua vita).
Sullo scontro tra Galileo e la Chiesa (cardinal Bellarmino) siamo ormai ad un chiarimento quasi definitivo.
Vedi - in questo senso - il magistrale intervento di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla sessione plenaria dell'Accademia delle Scienza (31 ottobre 1992) dopo l'esposizione del cardinale Poupard a conclusione dei lavori della Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, istituita il 3 luglio 1981 da san Giovanni Paolo II
In esso il grande pontefice individua due temi fondamentali, dandone una soluzione.
“Due argomenti costituiscono oggi l’oggetto della nostra attenzione.
In primo luogo, quello dell’emergere della complessità in matematica, in fisica, in chimica e in biologia.
L’emergere del tema della complessità segna probabilmente, nella storia delle scienze della natura, una tappa tanto importante quanto quella a cui è legato il nome di Galileo, quando sembrava doversi imporre un modello univoco dell’ordine. La complessità indica precisamente che, per render conto della ricchezza del reale, è necessario ricorrere a una pluralità di modelli.
Questa constatazione pone una domanda che interessa uomini di scienza, filosofi e teologi: come conciliare la spiegazione del mondo – e ciò a partire dal livello delle entità e dei fenomeni elementari – con il riconoscimento di questo dato che “il tutto è più che la somma delle parti”?
….La cultura contemporanea esige uno sforzo costante di sintesi delle conoscenze e di integrazione dei saperi. Certo, è alla specializzazione delle ricerche che sono dovuti i successi che noi constatiamo. Ma se la specializzazione non è equilibrata da una riflessione attenta a notare l’articolazione dei saperi, è grande il rischio di giungere a una “cultura frantumata”, che sarebbe di fatto la negazione della vera cultura. Poiché quest’ultima non è concepibile senza umanesimo e sapienza.
Una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileo fu il centro.
La prima è di ordine epistemologico e concerne l’ermeneutica biblica.
A tal proposito, sono da rilevare due punti.
Anzitutto, come la maggior parte dei suoi avversari, Galileo non fa distinzione tra quello che è l’approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama.
È per questo che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un’ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un’esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore.
Inoltre, la rappresentazione geocentrica del mondo era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l’insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo.
Il problema che si posero dunque i teologi dell’epoca era quello della compatibilità dell’eliocentrismo con la Scrittura.
Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo.
Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi.
“Se bene la Scrittura non può errare, scrive a Benedetto Castelli, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori, in vari modi” (Lettera del 21 dicembre 1613, in Edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, dir. A. Favaro, riedizione del 1968, vol. V, p. 282). Si conosce anche la sua lettera a Cristina di Lorena (1615) che è come un piccolo trattato di ermeneutica biblica (Ivi, 307-348).
La crisi che ho appena evocato non è il solo fattore ad aver avuto delle ripercussioni sull’interpretazione della Bibbia. Noi tocchiamo qui il secondo aspetto del problema, l’aspetto pastorale.
……….
In virtù della missione che le è propria, la Chiesa ha il dovere di essere attenta alle incidenze pastorali della sua parola. Sia chiaro, anzitutto, che questa parola deve corrispondere alla verità. Ma si tratta di sapere come prendere in considerazione un dato scientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede.
Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana era difficile da esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell’insegnamento stesso della Scrittura. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero e inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo di Dio.
Diciamo, in maniera generale, che il pastore deve mostrarsi pronto a un’autentica audacia, evitando il duplice scoglio dell’atteggiamento incerto e del giudizio affrettato, potendo l’uno e l’altro fare molto male.
9. Se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scientismo, l’orizzonte culturale dell’epoca di Galileo era unitario e recava l’impronta di una formazione filosofica particolare. Questo carattere unitario della cultura, che è in sé positivo e auspicabile ancor oggi, fu una delle cause della condanna di Galileo.
La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica.
In realtà, come ha ricordato il Cardinal Poupard, Roberto Bellarmino, che aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito, riteneva da parte sua che, davanti ad eventuali prove scientifiche dell’orbita della terra intorno al sole, si dovesse “andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie” alla mobilità della terra e “più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra” (Lettera al Padre A. Foscarini, 12 aprile 1615, cf. op. cit., vol. XII, p. 172).
Prima di lui, la stessa saggezza e lo stesso rispetto della Parola divina avevano già guidato sant’Agostino a scrivere:
“Se a una ragione evidentissima e sicura si cercasse di contrapporre l’autorità delle Sacre Scritture, chi fa questo non comprende e oppone alla verità non il senso genuino delle Scritture, che non è riuscito a penetrare, ma il proprio pensiero, vale a dire non ciò che ha trovato nelle Scritture, ma ciò che ha trovato in se stesso, come se fosse in esse” (Epistula 143, n. 7; PL 33,588).
Un secolo fa, il Papa Leone XIII faceva eco a questo pensiero nella sua enciclica Providentissimus Deus: “Poiché il vero non può in alcun modo contraddire il vero, si può esser certi che un errore si è insinuato o nell’interpretazione delle parole sacre, o in un altro luogo della discussione” (Leonis XIII Pont. Max. Acta, vol. XIII, 1894, p. 361).
Il Cardinal Poupard ci ha ugualmente ricordato come la sentenza del 1633 non fosse irreformabile e come il dibattito, che non aveva cessato di evolvere, sia stato chiuso nel 1820 con l’imprimatur concesso all’opera del canonico Settele (cf. Pontificia Accademia Scientiarum, Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant’Ufficio, a cura di W. Brandmüller e E. J. Greipl, Firenze, Olschki, 1992).
10. A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell’oscurantismo “dommatico” opposto alla libera ricerca della verità.
Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all’idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall’altro.
Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato.
11. Dal caso Galileo si può trarre un insegnamento che resta d’attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro.
Al tempo di Galileo, era inconcepibile rappresentarsi un mondo che fosse sprovvisto di un punto di riferimento fisico assoluto. E siccome il cosmo allora conosciuto era, per così dire, contenuto nel solo sistema solare, non si poteva situare questo punto di riferimento che sulla terra o sul sole. Oggi, dopo Einstein e nella prospettiva della cosmologia contemporanea, nessuno di questi due punti di riferimento riveste l’importanza che aveva allora. Questa osservazione, è ovvio, non concerne la validità della posizione di Galileo nel dibattito; intende piuttosto indicare che spesso, al di là di due visioni parziali e contrastanti, esiste una visione più larga che entrambe le include e le supera.
12. Un altro insegnamento che si trae è il fatto che le diverse discipline del sapere richiedono una diversità di metodi.
Galileo, che ha praticamente inventato il metodo sperimentale, aveva compreso, grazie alla sua intuizione di fisico geniale e appoggiandosi a diversi argomenti, perché mai soltanto il sole potesse avere funzione di centro del mondo, così come allora era conosciuto, cioè come sistema planetario.
L’errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della terra, fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura del mondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letterale della S. Scrittura. Ma è doveroso ricordare la celebre sentenza attribuita a Baronio: “Spiritui Sancto mentem fuisse nos docere quomodo ad coelum eatur, non quomodo coelum gradiatur”. "Era intenzione dello Spirito Santo insegnarci come andare in cielo, non come è fatto il cielo"
In realtà, la Scrittura non si occupa dei dettagli del mondo fisico, la cui conoscenza è affidata all’esperienza e ai ragionamenti umani.
Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.
13. La vostra Accademia porta avanti i suoi lavori con tale atteggiamento di spirito. Il suo compito principale è quello di promuovere lo sviluppo delle conoscenze secondo la legittima autonomia della scienza (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 36, 2), che la Sede apostolica riconosce espressamente negli Statuti della vostra istituzione.
Quel che importa, in una teoria scientifica o filosofica, è innanzitutto che essa sia vera o, almeno, seriamente e solidamente fondata. E il fine della vostra Accademia è precisamente quello di discernere e far conoscere, allo stato attuale della scienza e nel campo che le è proprio, ciò che può essere considerato come verità acquisita o almeno dotata di una tale probabilità che sarebbe imprudente e irragionevole respingerla. In questo modo potranno essere evitati inutili conflitti.
La serietà dell’informazione scientifica sarà così il miglior contributo che l’Accademia potrà apportare all’esatta formulazione e alla soluzione degli assillanti problemi ai quali la Chiesa, in virtù della sua specifica missione, ha il dovere di prestare attenzione: problemi che non concernono più soltanto l’astronomia, la fisica e la matematica, ma ugualmente discipline relativamente nuove come la biologia e la biogenetica.
Molte scoperte scientifiche recenti e le loro possibili applicazioni hanno un’incidenza più che mai diretta sull’uomo stesso, sul suo pensiero e la sua azione, al punto da sembrar minacciare i fondamenti stessi dell’umano.
14. Esiste, per l’umanità, un duplice genere di sviluppo. Il primo comprende la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, cioè tutto ciò che appartiene all’orizzontalità dell’uomo e della creazione, e che si accresce con un ritmo impressionante.
Se questo sviluppo non vuol restare totalmente esterno all’uomo, È NECESSARIO UN CONCOMITANTE APPROFONDIMENTO DELLA COSCIENZA COME ANCHE DELLA SUA ATTUAZIONE.
Il secondo modo di sviluppo concerne quanto c’è di più profondo nell’essere umano allorché, trascendendo il mondo e se stesso, egli si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa.
SOLO QUESTO ITINERARIO VERTICALE PUÒ, IN DEFINITIVA, DARE TUTTO IL SUO SENSO ALL’ESSERE E ALL’AGIRE DELL’UOMO, PERCHÉ LO SITUA TRA LA SUA ORIGINE E IL SUO FINE.
In questo duplice itinerario, orizzontale e verticale, l’uomo si realizza pienamente come essere spirituale e come homo sapiens.
Ma si osserva che lo sviluppo non è uniforme e rettilineo, e che il progresso non è sempre armonioso. Ciò rende palese il disordine che segna la condizione umana. L’uomo di scienza, che prende coscienza di questo duplice sviluppo e ne tiene conto, contribuisce al ristabilimento dell’armonia.
Chi si impegna nella ricerca scientifica e tecnica ammette come presupposto del suo itinerario che il mondo non è un caos, ma un “cosmos”, ossia che c’è un ordine e delle leggi naturali, che si lasciano apprendere e pensare, e che hanno pertanto una certa affinità con lo spirito.
Einstein amava dire: “Quello che c’è, nel mondo, di eternamente incomprensibile, è che esso sia comprensibile” (In “The journal of the Franklin Institute”, vol. 221, n. 3, marzo 1936).
Questa intelligibilità, attestata dalle prodigiose scoperte delle scienze e delle tecniche, rinvia in definitiva al "Pensiero trascendente e originario" di cui ogni cosa porta l’impronta.
Per una presentazione storica completa della questione Galileo (con relativa falsificazione dei luoghi comuni della “Leggenda nera” vedi poi il seguente link ad un articolo di Vittorio Messori
oppure anche l’articolo di sintesi di Luciano Benadusi in “Galileo Galilei. La leggenda del «martire» della scienza moderna”, tratto da: Franco CARDINI (a cura di), Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 329-352.
2) Il SECONDO PASSO consiste nell’affrontare la questione epistemologica: CHE COS’È LA SCIENZA?
«Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere.» (Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico.)
BELLARMINO 1621 E POPPER 1994 rappresentano una consapevolezza acuta della natura della ricerca scientifica.
Entrambi, infatti, vivono in un momento importante della scienza moderna: il primo quello della prima grande rottura epistemologica (Galileo), il secondo sta di fronte alla svolta più significativa del Novecento (quella della relatività di Einstein).
Il primo, autorevole esponente della scuola dei gesuiti, sostiene, di fronte a Galileo, la necessità di considerare la teoria eliocentrica copernicana come una autorevole congettura di natura matematica, in grado di spiegare meglio delle altre teorie i movimenti degli astri, ma ancora priva di quelle conferme capaci di far sostenere che essa descrive la realtà delle cose in modo incontrovertibile. Vedi qui.
Il secondo è uno dei più grandi pensatori del novecento, padre del razionalismo critico contemporaneo e sostenitore di una visione della ricerca scientifica per la quale ESSA ABBANDONA LA SUA PRESUNZIONE DI SAPERE INCONTROVERTIBILE E SI LIMITA A TENDERE (UNICO AMBITO CUI LA VERITÀ È AFFIDATA) VERSO TEORIE SEMPRE PIÙ CAPACI DI SPIEGARE SETTORI SEMPRE PIÙ AMPI DI REALTÀ.
Popper ha coniato l'espressione razionalismo critico per descrivere il proprio approccio filosofico alla scienza.
L'espressione implica il rifiuto dell'empirismo logico, dell'induttivismo e del verificazionismo. Popper afferma che le teorie scientifiche sono proposizioni universali, espresse al modo indicativo, la cui verosimiglianza può essere controllata solo indirettamente a partire dalle loro conseguenze.
La conoscenza umana (scienza) è di natura congetturale e ipotetica, e trae origine dall'attitudine dell'uomo a risolvere i problemi in cui si imbatte, intendendo per problema la contraddizione tra quanto previsto da una teoria e i fatti osservati.
Popper pone al centro dell'epistemologia la fondamentale asimmetria tra verificazione e falsificazione di una teoria scientifica: infatti, per quanto numerose possano essere, le osservazioni sperimentali a favore di una teoria non possono mai provarla definitivamente e basta anche solo una smentita sperimentale per confutarla. La falsificabilità è anche il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza: una teoria è scientifica se e solo se essa è falsificabile. Ciò conduce Popper ad attaccare le pretese di scientificità della psicoanalisi e del materialismo dialettico del marxismo, dal momento che queste teorie non possono essere falsificate a contestare anche lo storicismo il determinismo come visioni filosofiche che stanno alla base della pretesa infallibilità della scienza. Vedi qui la sua famosa intervista concessa a David Miller.
Ne “Il realismo e lo scopo della scienza” (1983), Popper sviluppa poi la sua concezione della metafisica introducendo il concetto di programma di ricerca metafisico. Queste sono le sue parole:
«l’atomismo è un eccellente esempio di teoria metafisica non controllabile la cui influenza sulla scienza è stata superiore a quella di molte altre teorie scientifiche controllabili». Dopo aver presentato altri esempi di teorie metafisiche che hanno influenzato la scienza, continua:
«Ognuna di queste teorie servì, prima di diventare controllabile, come un programma di ricerca per la scienza. Indicò la direzione della ricerca, e il tipo di spiegazione che poteva soddisfarci, e rese possibile una sorta di valutazione della profondità di una teoria».
Questo passaggio è importante perché mostra il ruolo euristico della metafisica nel guidare la costruzione di ipotesi scientifiche, le quali nella maggior parte dei casi emergono nel corso dell’attività di uno scienziato o di un gruppo di scienziati al lavoro su un programma di ricerca.
Tale programma è solitamente articolato alla luce di alcuni principi generali (o metafisici) e di idee che indicano la natura delle ipotesi specifiche che dovrebbero essere escogitate per interpretare fatti esistenti e per essere sottoposte a controllo sulla base di ulteriori osservazioni o esperimenti. Così le intuizioni generali sull’atomismo orientarono Dalton nell’elaborare un’ipotesi che spiegasse alcuni fatti della combinazione chimica, e Maxwell nel tentare di rendere conto delle relazioni osservate tra pressione, volume e temperatura dei gas. Senza le idee metafisiche dell’atomismo che guidassero i loro programmi di ricerca, è lecito dubitare che Maxwell e Dalton sarebbero arrivati a formulare le loro specifiche ipotesi scientifiche.
Quello che è avvenuto nei quattro secoli intermedi tra Bellarmino e Popper è l’affermarsi di un orizzonte teoretico per il quale la verità delle cose è affidata non all’essere ma al fare (dall’ens est verum di san Roberto Bellarmino al verum quia faciendum di Popper).
Lo scontro è tra due concezioni della realtà: nella prima lo “stare per comprendere” è necessaria premessa al “conoscere per fare” e individua le direzioni e i limiti della scienza stessa; nella seconda la scienza non ha al di fuori di sé alcun ambito conoscitivo capace di orientarla e determina con le sue procedure interne le modalità di trasformazione del mondo.
Qui abbiamo fatto passi in avanti sulla concezione della scienza e sul fatto che il sapere scientifico non è assoluto, ma abbiamo lasciato aperto il discorso sulla relatività e sul prassismo. Rimane aperto cioè il discorso epistemologico.
Vedi anche la riflessione sulla figura di ISAAC NEWTON e l'intervista sul determinismo scientifico
3) Il TERZO PASSO è quello offertoci da THOMAS KUHN 1996: storico della scienza e filosofo statunitense, fu un epistemologo che scrisse vari saggi di storia della scienza, sviluppando alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza.
Formulò un'epistemologia alternativa a quella dell'empirismo logico e di Karl Popper, suoi principali bersagli polemici.
Dopo le sue autorevoli riflessioni diventa impossibile sostenere che la SCIENZA (con la S maiuscola) sia l'unica forma di conoscenza che attinge alla verità delle cose come il pensiero diffuso dominante ha sostenuto negli ultimi secoli.
Pensiero
In "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" (1962), la sua opera più celebre e conosciuta,Thomas Kuhn sostiene che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama slittamenti di paradigma.
Il modo migliore di valutare l'impatto del pensiero di Kuhn consiste nel misurare l'effetto che la sua opera ha avuto sul vocabolario della storia della scienza: accanto agli "slittamenti di paradigma", Kuhn impone l'uso del termine "paradigma" per indicare l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente, conia l'espressione “scienza normale” per riferirsi al lavoro di routine degli scienziati che seguono un determinato paradigma, ed è largamente responsabile dell'uso dell'espressione "rivoluzioni scientifiche", declinata al plurale per poter essere distinta dalla "rivoluzione scientifica" sviluppatasi intorno alla fine del Rinascimento e nel seicento.
A seguito di una di queste rivoluzioni scientifiche cambia il paradigma di riferimento. Il criterio con cui un paradigma risulta vincitore sugli altri consiste nella sua forza persuasiva e nel grado di consenso all'interno della comunità scientifica.
Le "Fasi" della Scienza per Kuhn
Kuhn ci dice che la scienza attraversa ciclicamente alcune fasi che sono indicative di come essa operi. Per Kuhn la scienza è paradigmatica, e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza è riconducibile all'esistenza di un paradigma.
La Fase 0 è dunque il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall'esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro e l'assenza di un sistema di principi condivisi.
In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti ed è presente molta confusione.
A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma, l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all'interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori.
Questa adesione sancisce la Fase 1, ovvero, l'accettazione del paradigma.
Una volta definito il paradigma ha inizio la Fase 2, ovvero, quella che Kuhn chiama la scienza normale.
Nel periodo di scienza normale gli scienziati sono visti come risolutori di rompicapi, che lavorano per migliorare l'accordo tra il paradigma e la natura. Questa fase, infatti, è basata sull'insieme dei principi di fondo dettati dal paradigma, che non vengono messi in discussione, ma ai quali, anzi, è affidato il compito di indicare le coordinate dei lavori successivi.
In tale fase vengono sviluppati gli strumenti di misura con cui si svolge l'attività sperimentale, vengono prodotti la maggior parte degli articoli scientifici, ed i suoi risultati costituiscono la maggior parte della crescita della conoscenza scientifica.
Durante la fase di scienza normale si otterranno successi, ma anche insuccessi; tali insuccessi, per Kuhn, prendono il nome di anomalie, ovvero eventi che vanno contro il paradigma. Lo scienziato normale, da buon risolutore di rompicapo quale è, tenta di risolvere tali anomalie.
Si passa così alla Fase 3, nella quale il ricercatore si scontra con le anomalie. Quando il fallimento è particolarmente ostinato o evidente, può avvenire che l'anomalia metta in dubbio tecniche e credenze consolidate con il paradigma, aprendo così la
Fase 4, ovvero la crisi del paradigma.
Come conseguenza della crisi, in tale periodo si creeranno paradigmi diversi. Tali nuovi paradigmi non nasceranno quindi dai risultati raggiunti dalla teoria precedente ma, piuttosto, dall'abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante.
Si entra così nella Fase 5, la rivoluzione (scientifica).
Nel periodo di scienza straordinaria, si aprirà una discussione all'interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare.
Però non sarà necessariamente il paradigma più "vero" o il più efficiente ad imporsi, ma quello in grado di catturare l'interesse di un numero sufficiente di scienziati, e di guadagnarsi la fiducia della comunità scientifica.
I paradigmi che partecipano a tale scontro, secondo Kuhn, non condividono nulla, neanche le basi e quindi non sono paragonabili. La scelta del paradigma avviene, come detto, per basi socio-psicologiche oppure biologiche (giovani scienziati sostituiscono quelli anziani).
La battaglia tra paradigmi risolverà la crisi, sarà nominato il nuovo paradigma e la scienza sarà riportata a una Fase 1.
Critiche
Il pensiero di Kuhn è stato contestato su due punti:
- da una parte il fatto che la scienza sia il risultato di un consenso, piuttosto che di criteri oggettivi, fa nascere sospetti di relativismo;
- dall'altra parte, la storia delle scienze naturali mostra che per lunghi periodi molti paradigmi hanno coabitato in maniera conflittuale senza che uno di essi si imponesse come "scienza normale". In particolare, quest'aspetto è emerso dalle ricerche di Lakatos, esposte nel suo testo "Critica e crescita della conoscenza".
La conquista fatta con questo passo riguarda ancora lo scientismo, battuto in modo definitivo.
4) Il QUARTO PASSO è quello dell’evoluzionismo di CHARLES DARWIN 1882.
La sua importanza nel dibattito moderno e contemporaneo va al di là dei suoi effettivi meriti scientifici. La sua teoria dell’evoluzione, infatti, nei termini in cui è stata affermata dai suoi sostenitori, si presenta come ancora bisognosa di conferme empiriche e sperimentali e per nulla acquisita dal senso scientifico comune.
Eppure, la divulgazione scientifica dei mass media non accetta che la teoria sia messa in dubbio da domande critiche. FORSE PERCHÉ LA TEORIA EVOLUZIONISTA SERVE A METTERE IN CRISI LA CONCEZIONE DELL'UOMO COME PERSONA, COME IO IN RELAZIONE (CON IL CREATORE, CON LA NATURA CREATA CON GLI ALTRI UOMINI).
Ecco una presentazione documentata delle contro argomentazioni dei sostenitori della teoria del "progetto intelligente" apparsa su “Il Domenicale” N.36 di Sabato 3 settembre 2005, intitolata:
"Finalmente una sfida seria alla religione evoluzionista." per opera di di G.Piombini.
La tesi centrale del “disegno intelligente” è che il caso e la selezione naturale, le forze che per i darwinisti spingono l’evoluzione, non sono sufficienti a spiegare le caratteristiche degli esseri viventi, la cui complessità si comprende meglio postulando una causa intelligente piuttosto che un processo senza direzione.
EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UN'IPOTESI: IL VERO OBIETTIVO DI CHI DIFENDE DARWIN E' CRITICARE LA CHIESA di Roberto De Mattei
L’ultimo numero della rivista "MicroMega" ha come bersaglio, in copertina e in numerosi articoli, Benedetto XVI e il suo Magistero.
Ma uno degli articoli è una violenta requisitoria contro un convegno da me promosso al Consiglio nazionale delle ricerche lo scorso 23 febbraio sull’evoluzionismo. Per l’autore, Telmo Pievani, non solo è inconcepibile che qualcuno critichi l’evoluzionismo, ma è persino «mirabolante» che la critica sia promossa dal vicepresidente del Cnr.
Ciò che più colpisce non è la prevalenza degli aggettivi sui sostantivi e degli umori sulle ragioni, né le espressioni insultanti tipo «siamo il paese delle trasmissioni paranormali alla Voyager», ma la capacità di parlare di ciò che non si conosce.
Pievani tenta per sette pagine di ridicolizzare un convegno internazionale senza peritarsi di leggerne gli atti, recentemente pubblicati da Cantagalli con il titolo: "L’evoluzionismo: tramonto di un’ipotesi".
Dopo aver visto su un quotidiano un’ottima recensione di questo volume, è andato fuori dai gangheri e non ha fatto ciò che sarebbe stato ragionevole: acquistare una copia del libro e redigere una risposta argomentata. Avrebbe così scoperto che il libro collaziona non esternazioni fideistiche, bensì critiche di carattere scientifico, alle quali avrebbe così potuto provare a replicare in modo meno approssimativo e manicheo.
La principale caratteristica dei fanatici dell’evoluzionismo è parlare di ciò che non conoscono, a cominciare dalla stessa teoria dell’evoluzione che, 150 anni dopo l’apparizione dell’Origine della specie di Darwin, continua a essere una sorta di «oggetto scientifico non identificato». Così facendo, però, egli contraddice due volte il metodo scientifico.
Prima di tutto perché la scienza non afferma verità ma vi si approssima per prove ed errori: epistemologicamente, qualunque tesi verrà tendenzialmente confutata o almeno corretta. E poi la modalità d’indagine con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza oggettiva e affidabile si basa sull’osservazione della realtà e sulla formulazione di un’ipotesi, verificata sperimentalmente. Ciò che non è il caso dell’evoluzionismo.
La legge della gravitazione universale di Newton può essere sperimentata ogni giorno. Gli esperimenti di Pasteur sui micro-organismi possono essere ripetuti ogni giorno. Per poter trarre leggi generali da un esperimento, esso deve poter essere realizzato, nelle stesse condizioni, da chiunque, in qualunque tempo e luogo. Quando un’ipotesi scientifica è inverificabile non può assumere la dignità di teoria. Ma quali esperimenti provano ciò che accadde nel passato: la pretesa evoluzione dalla materia alla vita, dal semplice al complesso? Il fatto che la materia complessa sia costituita da elementi più semplici non prova l’esistenza di un passaggio, nel tempo, dai secondi alla prima.
Per ovviare alla mancanza di una dimostrazione scientifica, l’evoluzionismo pretende di sostituire alla causalità, la casualità. Il «caso» diviene la «spiegazione» dell’inspiegabile.
In questa prospettiva Pievani teorizza «che un evento altamente improbabile può realizzarsi in seguito a un’enorme quantità di tentativi nel corso di milioni o di miliardi di anni» (Creazione senza Dio, Einaudi, 2006).
Ma il tempo non produce differenza: ciò che è impossibile sotto l’aspetto dei rapporti causa-effetto rimane tale per sempre. Anche le fantasie del caso hanno limiti invalicabili, che nella teoria della probabilità si chiamano «soglie di impossibilità» e rappresentano quei valori di probabilità al di sotto dei quali vi è la certezza che un evento casuale non si è mai verificato, né mai si verificherà.
IL FATTO CHE UN EVENTO MOLTO IMPROBABILE POSSA TEORICAMENTE ACCADERE NON SIGNIFICA CHE SIA ACCADUTO. Né ha valore immaginare lunghissimi tempi in cui «l’impossibile diviene possibile, il possibile probabile e il probabile virtualmente certo. Basta aspettare: il tempo compirà da solo il miracolo» (George Wald, L’origine della vita).
L’evoluzionismo, insomma, è una fantasiosa «storia» che presuppone a sua volta come verità indiscussa un principio filosofico, l’idea che TUTTO SIA MATERIA IN CONTINUO SVILUPPO. La teoria scientifica non si regge da sola: ha bisogno di quella filosofica per sopravvivere, e viceversa.
In questi giorni (2009 ndr) celebriamo i 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e con esso di tanti miti: il «socialismo scientifico», la «dittatura del proletariato», il «progresso» indefinito della storia.
Un solo totem sopravvive ancora: QUELLO DELL’EVOLUZIONISMO, UN DOGMA CHE AL SOCIALISMO DI ENGELS E DI MARX È, COME NOTO, STRETTAMENTE LEGATO.
Qual è la ragione per cui una teoria scientifica nata nell’Ottocento, come è quella darwiniana, è sopravvissuta al crollo dei miti ottocenteschi? Perché non possiamo non dirci darwinisti? come recita un altro curioso titolo diffuso in questi giorni in libreria. La ragione è semplice. Il relativismo contemporaneo, secondo cui non esistono valori assoluti, ma tutto si trasforma, e nulla è stabile e permanente, ha il suo fondamento nella teoria evoluzionista.
E oggi siamo passati DALLA DITTATURA DEL PROLETARIATO ALLA DITTATURA DEL RELATIVISMO. Un esempio di questo totalitarismo scientista è proprio la pretesa di Pievani di tappare la bocca ai propri avversari, imponendo loro la «verità scientifica» per autorità, prassi di cui, anche nel fascicolo di Micromega, viene accusata la Chiesa.
COSÌ FACENDO, PIEVANI DIMOSTRA L’UTILITÀ DEL LIBRO E CONFERMA LA RAGIONE PER CUI ESSO È NATO, CIOÈ EVITARE CHE L’EVOLUZIONISMO CONTINUI A ESSERE IMPOSTO COME DOGMA DI FEDE, BOLLANDO I CRITICI CON EPITETI SPREGIATIVI E, SE NECESSARIO, COLPENDOLI CON L’EPURAZIONE. È QUESTA INFATTI LA NEMMENO TROPPO LARVATA RICHIESTA NEI MIEI CONFRONTI DI PIEVANI, SCANDALIZZATO CHE IO RICOPRA «LA CARICA DI VICEPRESIDENTE DEL CNR». IL MONDO SCIENTIFICO NEL XX SECOLO HA GIÀ CONOSCIUTO REGIMI IN CUI SI È ADOTTATO QUESTO SISTEMA. MA UN PENSATORE LAICO E DEMOCRATICO NON DOVREBBE ABORRIRE SIMILI ATTEGGIAMENTI?
Fonte: Corrispondenza Romana, 30 Novembre 2009
Pubblicato su BastaBugie n. 121
Questo passo ci fa capire che la forma prevalente di scientismo oggi è proprio l'evoluzionismo e con esso si vuole raggiungere l'obiettivo di negare la concezione dell'uomo come "IO IN RELAZIONE" (PERSONA) che la grande tradizione cristiana ha costruito in Occidente.
5) Il QUINTO PASSO lo facciamo con l’aiuto di ENRICO FERMI 1954 il 28 novembre.
La sua attività di grande scienziato si sviluppa in un periodo di fondamentale importanza per la riflessione della scienza su se stessa. Possiamo parlare del SUPERAMENTO DEL PARADIGMA SCIENTIFICO NEWTONIANO-GALILEIANO E DI UNA NUOVA EPISTEMOLOGIA SCIENTIFICA, che va nella direzione di rinunciare al valore assoluto delle teorie scientifiche.
Anche Benedetto XVI aveva rievocato la necessità di un nuovo dialogo tra scienza, filosofia e teologia.
“Anche oggi l'universo continua a suscitare interrogativi a cui la semplice osservazione, però, non riesce a dare una risposta soddisfacente: le sole scienze naturali e fisiche non bastano. L'analisi dei fenomeni, infatti, se rimane rinchiusa in se stessa rischia di far apparire il cosmo come un enigma insolubile: la materia possiede un'intelligibilità in grado di parlare all'intelligenza dell'uomo e indicare una strada che va al di là del semplice fenomeno. ….
Le domande sull'immensità dell'universo, sulla sua origine e sulla sua fine, come pure sulla sua comprensione, non ammettono una sola risposta di carattere scientifico.
Chi guarda al cosmo, seguendo la lezione di Galileo, non potrà fermarsi solo a ciò che osserva con il telescopio, dovrà procedere oltre per interrogarsi circa il senso e il fine a cui tutto il creato orienta. La filosofia e la teologia, in questa fase, rivestono un ruolo importante, per spianare il cammino verso ulteriori conoscenze. La filosofia davanti ai fenomeni e alla bellezza del creato cerca, con il suo ragionamento, di capire la natura e la finalità ultima del cosmo. La teologia, fondata sulla Parola rivelata, scruta la bellezza e la saggezza dell'amore di Dio, il quale ha lasciato le Sue tracce nella natura creata (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, ia. q. 45, a. 6).
In questo movimento gnoseologico sono coinvolte sia la ragione che la fede; entrambe offrono la loro luce. Più la conoscenza della complessità del cosmo aumenta, maggiormente richiede una pluralità di strumenti in grado di poterla soddisfare; nessun conflitto all'orizzonte tra le varie conoscenze scientifiche e quelle filosofiche e teologiche; al contrario, solo nella misura in cui esse riusciranno ad entrare in dialogo e a scambiarsi le rispettive competenze saranno in grado di presentare agli uomini di oggi risultati veramente efficaci."
Possiamo seguire la chiara presentazione della nuova epistemologia fatta da Enrico Rubetti su Filosofico.net
1. Dall’empirismo logico alla nuova epistemologia.
Prendere atto dell’avvento di una “nuova epistemologia scientifica” significa ripensare la Scienza e le sue rivoluzioni.
Oltre al superamento di una visione puramente logico-formale delle teorie scientifiche – gli empiristi logici si sono dimostrati troppo “razionalisti” e poco attenti ai “fatti” della scienza – e a una revisione del rapporto fra teoria ed esperienza, nella quale si tende ad affermare un primato della teoria – cioè il ragionamento ipotetico-deduttivo rispetto ai dati forniti dall’esperienza –, la nuova epistemologia si caratterizza soprattutto per la grande rilevanza assegnata alla dimensione storica che coinvolge le teorie scientifiche, le concezioni culturali e filosofiche di un’epoca, i contesti storico-sociali e culturali in cui quelle teorie vengono alla luce. Si fa più vivo, dunque, l’interesse per il mutamento delle teorie scientifiche e l’attenzione rivolta alla storia della scienza, alla storia delle teorie, soprattutto ai momenti di rottura epistemologica, di transizione e di passaggio da una teoria all’altra, cioè le cosiddette “rivoluzioni scientifiche”.
L’idea di una più stretta connessione fra saperi scientifici e saperi extra scientifici (etici, estetici, metafisici, etc.) assume un ruolo fondamentale nella tendenza a delineare una visione pluralistica del sapere.
L’attacco all’ortodossia che la nuova epistemologia muove intorno alla questione delle rivoluzioni scientifiche, consiste nella critica della convinzione che la storia della scienza si sviluppi con continuità e che le teorie precedenti confluiscano in quelle successive. I neopositivisti, attenti quasi esclusivamente alla logica della scienza, sembravano avere tacitamente accolto il modello “evolutivo” e “continuistico” (di ispirazione illuminista e positivista) di un avanzamento graduale, progressivo e lineare delle conoscenze, come se queste costituissero un patrimonio che si accresce per accumulazione, secondo una concezione appunto cumulativa della scienza.
A tale modello, pertanto, viene a contrapporsi quello della competizione fra le teorie, da cui deriva la convinzione che la sostituzione di una teoria con l’altra avvenga attraverso passaggi “rivoluzionari”, veri e propri momenti di “rottura”.
Inoltre, grazie anche al nuovo scenario teorico rappresentato dall’elaborazione di Popper, è radicalmente messa in discussione la tesi neopositivista dell’indipendenza degli enunciati osservativi, dei quali sarebbe stato immediatamente possibile accertare la verità. Si afferma, invece, la tesi secondo cui «l’interpretazione di un linguaggio osservativo è determinata dalle teorie che usiamo per spiegare ciò che osserviamo e cambia non appena cambiamo quelle teorie» (Paul Feyerabend).
2. Pluralità e incommensurabilità delle teorie.
Il primato della teoria sull’esperienza significa anche che il modo con cui guardiamo alle cose, le osserviamo e le descriviamo, dipende dai nostri modelli di “lettura” del mondo e dai problemi di cui cerchiamo la soluzione. In questo senso la nuova epistemologia mette in discussione un altro presupposto fondamentale del neopositivismo e cioè la fiducia in un “modello” di scienza e di metodo scientifico, generale ed univoco.
Viene così esplicitamente negata l’unità della scienza: si afferma che del mondo si possono dare una pluralità di rappresentazioni diverse e incommensurabili. Ma se si ammette una pluralità di concezioni scientifiche, come è possibile stabilire quale delle teorie a confronto sia più valida e accettabile? Sembra molto difficile, se non impossibile, stabilirlo, dato il fatto che esse rispondono a problemi diversi e hanno molti altri elementi non confrontabili. Pertanto, al contrasto e alla controversia viene attribuita molta importanza, perché ad essere riconosciuto come valido, “vero”, è ciò che vince nella controversia.
In tal modo una nozione assoluta di verità viene esclusa dal campo scientifico, sostituita dal confronto e dalla competizione fra teorie diverse.
La nuova epistemologia abbatte definitivamente - come si vede - la barriera che si è voluta costruire tra pensiero moderno e radici cristiane dell'Occidente.
6) Il SESTO PASSO ce lo fa fare ALBERT EINSTEIN 1955 (Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955), fisico tedesco naturalizzato svizzero, divenuto in seguito cittadino statunitense.
La grandezza di Einstein è consistita nell'aver mutato per sempre il modello istituzionale di interpretazione del mondo fisico: nel 1905, l'anno ricordato come annus mirabilis, Einstein pubblica tre articoli a contenuto fortemente innovativo, riguardanti tre aree differenti della fisica:
- dimostra la validità della teoria dei quanti di Planck tramite l'effetto fotoelettrico dei metalli;
- fornisce una valutazione quantitativa del moto browniano e l'ipotesi di aleatorietà dello stesso;
- espone la teoria della relatività ristretta, che precede di circa un decennio quella della relatività generale.
Nel 1921 ricevette il Premio Nobel per la Fisica per i suoi contributi alla fisica teorica e specialmente per la sua scoperta della legge dell'effetto fotoelettrico" e la sua fama dilagò in tutto il mondo: era un successo insolito per uno scienziato e, durante gli ultimi anni della sua vita, la fama di Einstein non fece che aumentare, superando quella di qualunque altro scienziato della storia. Nella cultura popolare, il suo nome divenne ben presto sinonimo di intelligenza e di grande genio.
Oltre a essere uno dei più celebri fisici della storia della scienza, fu un grande pensatore e attivista in molti altri ambiti (dalla filosofia alla politica). Per il suo complesso apporto alle scienze e alla fisica in particolare è indicato come uno dei più importanti studiosi e pensatori del XX secolo.
La sua immagine rimane a tutt'oggi una delle più conosciute al mondo. Questa popolarità ha inoltre portato ad un uso molto diffuso della sua immagine nel mondo della pubblicità, giungendo persino alla registrazione di "Albert Einstein" come marchio.
Einstein filosofo
Alla figura dello scienziato si affianca quella di pensatore e filosofo, che muove da una profonda ammirazione per i sistemi di Spinoza e Schopenhauer. Del primo era particolarmente affascinato dalla concezione olistica, cioè dall'idea del cosmo come di un tutto ordinato secondo le leggi di un'entità panica impersonale, mentre del secondo condivideva la visione disincantata dell'umanità; inoltre, in tutta la produzione saggistica si può notare come lo stile einsteniano, lineare ed al contempo vibrante e ricco di passi altamente suggestivi, sia avvicinabile a quello di alcuni testi del filosofo tedesco (come dimostrano i caustici aforismi).
Quanto era intransigente come scienziato, così lo fu come persona; nel 1913 rifiutò di firmare un manifesto a favore della guerra che gli veniva proposto da un buon numero di scienziati tedeschi. Nel 1939, su sollecitazione di Leo Szilard, scrisse al presidente Roosevelt per sostenere l'opportunità che gli USA costruissero la bomba atomica, preoccupato della possibilità che il regime nazista potesse dotarsi per primo di quella terribile arma; successivamente invece non fu ascoltato quando nel 1945 si oppose al lancio della stessa bomba sul Giappone.
«Ci sono due cose infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi [...] Se dovessi rinascere, farei l'idraulico.» (Albert Einstein, commentando la notizia del bombardamento atomico di Hiroshima.)
Fece poi sempre parte dei movimenti antinucleari americani anche se aveva contribuito alla realizzazione degli armamenti nucleari stessi.
Visione politica
L'autorevolezza di Einstein si fece sentire non solo nel campo della fisica, ma anche in ambito sociale, politico e culturale, in particolare sul tema della non violenza di Gandhi.
«Credo che le idee di Gandhi siano state, tra quelle di tutti gli uomini politici del nostro tempo, le più illuminate. Noi dovremmo sforzarci di agire secondo il suo insegnamento, rifiutando la violenza e lo scontro per promuovere la nostra causa, e non partecipando a ciò che la nostra coscienza ritiene ingiusto.»
Einstein si considerò sempre un pacifista ed un umanista, e negli ultimi anni della sua vita, anche socialista e da molti venne considerato comunista. Descrivendo il Mahatma Gandhi, Albert Einstein disse:«Le future generazioni difficilmente potranno credere che qualcuno come lui sia stato sulla terra in carne ed ossa».
«Gandhi, il più grande genio politico del nostro tempo, ci ha indicato la strada da percorrere. Egli ci ha mostrato di quali sacrifici l'uomo sia capace una volta che abbia scoperto il cammino giusto».
«Dovremmo sforzarci di fare le cose allo stesso modo: non utilizzando la violenza per combattere per la nostra causa, ma non-partecipando a qualcosa che crediamo sia sbagliato».
Le opinioni di Einstein su altri argomenti, come il socialismo, il maccartismo ed il razzismo, furono male interpretate e la sua figura risultò molto controversa negli Stati Uniti di quegli anni (vedi il paragrafo Einstein e il socialismo). Einstein fu inoltre co-fondatore del liberale Partito Democratico Tedesco.
L'FBI raccolse un fascicolo di 1427 pagine sulla sua attività e raccomandò che gli fosse impedito di emigrare negli Stati Uniti secondo lo Alien Exclusion Act, aggiungendo che, insieme ad altri addebiti, Einstein credeva, consigliava, difendeva o insegnava una dottrina che, in senso legale, era stata ritenuta dai tribunali, in altri casi, «capace di permettere all'anarchia di progredire indisturbata» e che portava a «un governo solo di nome». Aggiunse anche che Einstein «era stato membro, sostenitore o affiliato a 34 movimenti comunisti tra il 1937 ed il 1954» e che «inoltre lavorò come presidente onorario in tre organizzazioni comuniste».
Einstein si oppose ai governi dittatoriali e per questo motivo (e per le sue origini ebraiche) abbandonò la Germania subito dopo la presa del potere da parte del partito nazista. In principio fu favorevole alla costruzione della bomba atomica al fine di prevenirne la costruzione da parte di Hitler e per questo scrisse anche una lettera (del 2 agosto del 1939 probabilmente scritta da Leo Szilard) al presidente Roosevelt incoraggiandolo ad iniziare un programma di ricerca per creare delle armi atomiche. Roosevelt rispose creando un comitato per studiare la possibilità di usare l'uranio come arma nucleare. Successivamente il Progetto Manhattan assorbì tale comitato.
Tuttavia, dopo la guerra, Einstein fece pressioni per il disarmo nucleare e per l'istituzione di un governo mondiale. Affermò: «Non so con quali armi verrà combattuta la Terza guerra mondiale ma la Quarta verrà combattuta con clave e pietre».
Einstein non fu un sostenitore del sionismo anche se sostenne l'insediamento ebraico nell'antica sede del giudaismo e fu attivo nell'istituzione dell'Università Ebraica di Gerusalemme, in cui pubblicò (1930) un volume intitolato About Zionism: Discorsi e Conferenze del Professor Albert Einstein, e a cui donò i suoi scritti.
D'altra parte si oppose al nazionalismo ed espresse scetticismo rispetto alla soluzione di uno stato-nazione ebraico. Infatti immaginava che gli ebrei e gli arabi non potessero vivere in pace nello stesso territorio. Insieme ad altri intellettuali ebrei (tra cui Hannah Arendt) il 4 dicembre 1948 scrisse una lettera al New York Times in cui veniva fortemente criticata la visita negli Stati Uniti di Menachem Begin, definendo i metodi e l'ideologia del suo partito "Tnuat Haherut" (formato dopo lo scioglimento ufficiale dell'Irgun) come ispirati a quelli dei partiti fascisti. Nel 1950, con altre illustri personalità, si impegnò inutilmente per la salvezza di Milada Horáková, condannata a morte dal regime comunista cecoslovacco. In tarda età (1952) gli fu offerto il posto di secondo capo di stato del nuovo stato di Israele ma declinò l'invito con la giustificazione di non avere le capacità necessarie.
Einstein, insieme ad Albert Schweitzer ed a Bertrand Russell, combatté contro i test e le sperimentazioni militari della bomba atomica.
Insieme a Russell firmò il Manifesto Russell-Einstein che dette vita alla Conferenza di Pugwash per la Scienza e gli Interessi del Mondo.
La visione religiosa
La religiosità di Einstein era molto complessa, certamente non di tipo comune e non definibile precisamente, e subì alcune variazioni nel corso degli anni. Benché di famiglia ebraica, Einstein non credeva negli aspetti strettamente religiosi dell'ebraismo ma considerava se stesso ebreo da un punto di vista culturale. Einstein fu socio onorario della Rationalist Press Association sin dal 1934.
Egli non fu sempre coerente e quindi non è facile afferrare precisamente cosa intendesse dire. Einstein non si dichiarava ateo, e nemmeno deista (e non può essere nemmeno definito agnostico, in quanto credeva in una qualche concezione, sebbene per nulla comune, di Dio).
Rifiutava nel complesso l'idea di un Dio personale (ritenendola una forma di antropomorfismo) tipica della concezione ebraico-cristiana, come testimonia una lettera personale nel 1954, dove scriveva:
«Io non credo in un Dio personale e non l'ho mai negato, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare.»
E ancora, sulla morte:
«Non riesco a concepire un Dio che premi e castighi le sue creature o che sia dotato di una volontà simile alla nostra. E neppure riesco né voglio concepire un individuo che sopravviva alla propria morte fisica; lasciamo ai deboli di spirito, animati dal timore o da un assurdo egocentrismo, il conforto di simili pensieri. Sono appagato dal mistero dell'eternità della vita e dal barlume della meravigliosa struttura del mondo esistente, insieme al tentativo ostinato di comprendere una parte, sia pur minuscola, della Ragione che si manifesta nella Natura.»
Einstein in una sua lettera manoscritta datata 3 gennaio 1954 (quindici mesi prima della morte) indirizzata al filosofo Eric Kudkind, che gli aveva inviato una copia di un suo libro sulla Bibbia, ribadisce ancora una volta le sue concezioni:
«… Per me, la parola Dio non è niente di più che un'espressione e un prodotto dell'umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, che a dire il vero sono piuttosto infantili. Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile, può farmi cambiare idea su questo. Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un'incarnazione delle superstizioni più infantili …»
Questa importante missiva, acquistata all'asta nel 1955 da un privato e rimasta finora sconosciuta, è stata venduta a Londra il 15 maggio 2008 per 214.000 Euro dalla casa d'aste 'Bloomsbury'.
Einstein era affascinato dal panteismo di Spinoza («Io credo nel Dio di Spinoza che si rivela nella ordinaria armonia di ciò che esiste, non in un Dio che si preoccupa del fato e delle azioni degli esseri umani.»), ma rifiutava l'etichetta di panteista. A differenza di Spinoza, Einstein conservava infatti anche una concezione trascendente di Dio, oltre ad una concezione puramente immanente del divino in quanto presenza misteriosa nella natura stessa.
«Una volta in risposta alla domanda: «Lei crede nel Dio di Spinoza?», Einstein rispose così: «Non posso rispondere con un semplice sì o no. Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse.
Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni. Mi affascina il panteismo di Spinoza, ma ammiro ben di più il suo contributo al pensiero moderno, perché egli è il primo filosofo che tratta il corpo e l'anima come un'unità e non come due cose separate.» Brian, Einstein a life, 1996, p. 127)
Nel complesso Einstein credeva in un Dio "oltre-personale" («außerpersönlich» è il termine da lui stesso impiegato, in netta contrapposizione con la tradizionale concezione ebraico-cristiana), presente nella natura (pur senza identificarsi con essa) in modo misterioso. Fu accusato anche per questo di ateismo dal vescovo di Boston O'Connell e ne soffrì molto.
D'altra parte Einstein non aveva nemmeno una grande opinione dell'ateismo militante:
«Gli atei fanatici sono come schiavi che ancora sentono il peso delle catene dalle quali si sono liberati dopo una lunga lotta. Essi sono creature che - nel loro rancore contro le religioni tradizionali come "oppio delle masse" - non possono sentire la musica delle sfere.»
E ancora:
«Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo (nella misura in cui ci sia lecito parlarne) come a un miracolo o a un eterno mistero. A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Ci si potrebbe (forse addirittura si dovrebbe) attendere che il mondo si manifesti come soggetto alle leggi solo a condizione che noi operiamo un intervento ordinatore. Questo tipo di ordinamento sarebbe simile all'ordine alfabetico delle parole di una lingua. Al contrario, il tipo d'ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall'uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d'ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del "miracoloso", che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli. La cosa curiosa, certo, è che dobbiamo accontentarci di riconoscere il "miracolo", senza poter individuare una via legittima per andar oltre. Capisco che devo ben esplicitare quest'ultima considerazione in modo che non ti venga in mente che, indebolito dall'età, io sia divenuto vittima dei preti.»
Nel complesso la sua posizione su Dio è stata largamente strumentalizzata dagli opposti partiti della disputa teismo/ateismo: ma è certo che Einstein rifuggisse da qualunque facile definizione. Etichettare il suo libero pensiero risulta pertanto poco sensato. Senz'altro espresse rispetto per i valori religiosi adottati dalle tradizioni ebraiche e cristiane, pur non condividendone la concezione del divino. Sebbene ebreo, Einstein ammirava molto la figura storica di Gesù:
«Fino a che punto è influenzato dalla cristianità? - Da bambino ho ricevuto un'istruzione sia sul Talmud che sulla Bibbia. Sono un ebreo, ma sono affascinato dalla figura luminosa del Nazareno».
«Ha mai letto il libro di Emil Ludwig su Gesù? - Il libro di Ludwig è superficiale. Gesù è una figura troppo imponente per la penna di un fraseggiatore, per quanto capace. Nessun uomo può disporre della cristianità con un bon mot ».
«Accetta il Gesù storico? - Senza dubbio! Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita.»
Einstein e il socialismo
Nell'articolo del 1949 "Perché il socialismo?", Albert Einstein descrisse l'anarchia economica della società capitalistica moderna come fonte di un male da superare. Egli era contrario ai regimi totalitari dell'Unione Sovietica e di altri paesi, ma era favorevole ad un socialismo democratico che combinasse un'economia pianificata con un profondo rispetto per i diritti umani. Difatti per Einstein il vero scopo del socialismo era precisamente di superare e andare al di là della "fase predatoria dello sviluppo umano" per anticipare un modello di società nuovo che conciliasse il benessere del singolo individuo con quello della comunità intera.
Riconoscimenti
Ad Einstein sono stati dedicati:
- un elemento chimico, l'einsteinio.
- un premio, la Medaglia Albert Einstein, che dal 1979 viene conferita al fisico che si sia particolarmente distinto nel suo ambito di ricerca.
- un asteroide: 2001 Einstein.
- un cratere lunare.
Nel 1926 gli fu assegnata la Medaglia d'Oro della Royal Astronomical Society
7) IL SETTIMO e ultimo PASSO è quello di un altro scienziato, abbastanza poco conosciuto ma molto importante per la sua elaborazione della teoria del “BIG BANG”, GEORGES EDOUARD LEMAÎTRE (Charleroi, 17 luglio 1894 – Lovanio, 20 giugno 1966).
Sacerdote, fisico e astronomo, richiesto sulla differenza tra lo scienziato credente e il non credente, LEMAÎTRE sottintende quanto si è visto con Albert Einstein (il riconoscimento dell’ordine e della intelligibilità del creato n.d.r.) nel momento in cui risponde:
«Entrambi si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente; dunque, che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità».
da: Francesco Agnoli, Creazione ed evoluzione. Dalla geologia alla cosmologia, cit., p. 85-88.
Le testimonianze di Einstein e Lemaitre sono una conferma impressionante e definitiva della fecondità umana che scaturisce dalla ricerca della verità (stare per comprendere) come base della pratica scientifica (comprendere per fare). I due più grandi protagonisti della nuova scienza ce lo indicano con chiarezza.
Per approfondire tutto il percorso vedi il testo di Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, qui.
Per una rassegna documentata di tutti gli scienziati credenti vedi qui.