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8 Gennaio. GALILEO GALILEI (1642): la nascita della scienza moderna.

Fonte:
CulturaCattolica.it
Oggi, 8 gennaio, gli anniversari importanti si moltiplicano: MARCO POLO (1324), il prototipo del mercante medievale geniale che vive la sua professione come strumento di esplorazione del mondo e di ricerca di nuove conoscenze; GIOTTO DI BONDONE (1337), un genio assoluto della pittura, che esprime con la sua arte in massimo grado i valori della civiltà di cui è parte; GALILEO GALILEI (1642), uno dei padri (forse il più importante) della scienza moderna; PAUL VERLAINE (1896); ROBERT BADEN-POWELL (1941), fondatore dello scoutismo internazionale; JOSEPH ALOIS SCHUMPETER (1950), economista austriaco di fondamentale importanza nell’analisi della società industriale avanzata.

Per l’importanza del fenomeno “scienza moderna” cui ha dato inizio e per la sua ambivalenza (grande strumento di trasformazione della realtà e nello stesso tempo idolo cui l'uomo moderno sacrifica tutto, "unica forma di conoscenza adeguata") vogliamo ricordare la figura di GALILEO GALILEI,, nato a Pisa nel 1564 e morto ad Arcetri nel 1642


Tra Cinquecento e Seicento si assiste in Europa a un rapido progresso delle scienze, che investe non soltanto l'acquisizione di singole conoscenze, ma soprattutto il metodo scientifico adottato.

Da una scienza fortemente asservita alla tradizione filosofica aristotelico - scolastica si passa alla formazione della "scienza moderna", la quale progressivamente afferma la propria autonomia dalla filosofia e dalla teologia ed elabora procedure metodologiche che la caratterizzano in maniera specifica.
A questa grande trasformazione, principiata essenzialmente nel campo dell’astrologia, si suole dare il nome di rivoluzione scientifica.

E' proprio in riferimento a questo fenomeno che GALILEO si pone come un padre fondatore. Il suo scontro con la Chiesa e con la comunità degli scienziati del suo tempo è una conseguenza non voluta (in quanto la sua fede cristiana rimase costante nella sua vita) della sua profonda attività innovativa.
Si tratta di un’epoca della storia del pensiero in cui é complesso distinguere la dimensione scientifica da quella filosofica: il rapporto filosofia - scienza predominante in questo periodo si intreccia in una duplice maniera;
da un lato alcune modificazioni apportate alla concezione del mondo saranno a tal punto radicali da coinvolgere l’immagine globale del mondo e non solo quella degli scienziati: già in Bruno l’accettazione e l’ampliamento della dottrina copernicana avevano un significato che andava ben oltre lo scientifico e arrivavano ad interessare da vicino l’ambito filosofico/teologico.
L’altra maniera in cui in questo periodo filosofia e scienza si intrecciano é epistemologica: la scienza moderna è novità non solo per i contenuti che propone, ma anche per il modo in cui arriva ad elaborarli.
L’epistemologia é quindi quella branca della filosofia che si occupa delle riflessioni sui metodi scientifici. Soffermiamoci ora sul concetto di rivoluzione scientifica: perché ad un certo punto della storia si tira in ballo un concetto così forte, che implica certamente l’idea di un cambiamento radicale?
Il concetto di ”rivoluzione scientifica” é stato elaborato soprattutto da uno studioso di origini ungheresi di nome Thomas Kuhn; egli nel 1960 circa scrisse un libro in cui prendeva in esame le rivoluzioni scientifiche studiando anche quella del 1500 - 1600.
Kuhn vivendo nel 1900 vive in un’epoca che ha già alle spalle una tradizione scientifica e che la concepisce in termini cumulativi, ossia gradualmente, come se le conoscenze scientifiche crescessero a poco a poco grazie ad aggiunte e a ritocchi in itinere; ogni scienziato é come se elaborasse un pezzetto, un tassello da aggiungere alla scienza: dà cioè il suo contributo alle conoscenze già presenti, magari effettuando qualche correzione; si procede quindi in termini cumulativi.
Quello che Kuhn ha individuato é che la scienza procede in fasi ”normali”, ossia cumulative, dove ciascun scienziato dà il suo contributo aggiungendo un tassello alle conoscenze già presenti, ma anche in fasi ”rivoluzionarie”, ossia quando certe nuove scoperte che si vanno accumulando risultano incompatibili con quello che Kuhn chiama paradigma scientifico di una determinata epoca.

Il paradigma scientifico di un’epoca é la struttura generalissima della concezione del mondo dell’epoca stessa ed esso ”salta” quando vengono apportate novità inconciliabili con il paradigma stesso e si hanno allora le fasi rivoluzionarie, nelle quali troviamo chi si schiera in difesa del vecchio paradigma e chi in difesa del nuovo.

Quella del 1500 - 1600 non é l’unica rivoluzione scientifica: un’altra é maturata all’inizio del 1900 che ha segnato il passaggio dalla fisica classica (galileiana) a quella contemporanea (quantistica e relativistica), che diventa un ”quadro” più ampio nel quale trova tuttavia spazio anche la fisica classica.

Ciò che soprattutto distingue la scienza moderna dall'attività scientifica esercitata nell'Antichità e nel Medioevo è il carattere quantitativo.
La precedente tradizione scientifica, infatti, in accordo con la filosofia aristotelica si proponeva la ricerca della ”forma" essenziale dei fenomeni, e si esauriva pertanto in un'analisi meramente qualitativa, anche perché non possedeva gli strumenti idonei per effettuare misurazioni precise e in fin dei conti dire che una cosa era calda o fredda (in modo qualitativo) era più efficace che non scervellarsi in misurazioni che non potevano essere corrette; l’intuizione che la quantificazione della realtà fisica fosse fondamentale l’avevano già avuta i pitagorici e Platone stesso, ma non avevano avuto successo proprio perché privi di un armamentario strumentale portante.
Con il metodo scientifico vero e proprio oltre a dire che la realtà é misurabile e fatta di quantità riesco proprio a misurarla quantitativamente e supero così il sistema qualitativo aristotelico..
Il nuovo metodo scientifico poggia quindi sul presupposto che l'essenza delle cose è inattingibile o comunque esula dalle finalità della scienza, la quale deve invece indagare i rapporti tra le cose ed esprimerli attraverso una misurazione oggettiva e universalmente comunicabile.
Per questo nella nuova scienza diventa indispensabile l'uso della matematica, che, nel 1500 – 1600, ha essenzialmente due funzioni: da un lato viene usata come strumento di indagine della realtà, dall’altro essa diventa modello metodologico anche per cose non strettamente quantificabili: una cosa é dire ”affermo che il mondo fisico é fatto di quantità e lo indago servendomi della matematica” (ed è quello che fanno tutti gli scienziati), un’altra cosa (più strettamente filosofica) è dire ”se il metodo di ragionamento della matematica funziona così bene in ambiti matematici, perché non provare ad usarlo anche fuori dagli ambiti matematici (per esempio in ambiti politici, metafisici, ecc.)?”.
L'immediata conseguenza della quantificazione della scienza è il meccanicismo: la connessione necessaria con cui in matematica le diverse proporzioni geometriche o le diverse operazioni aritmetiche e algebriche discendono le une dalle altre diventa in fisica la necessità con cui la causa è connessa con l'effetto.
Solo in questa maniera posso arrivare a leggi fisiche. In altri termini il meccanicismo, come dice Cartesio, consiste nel ridurre tutto ad estensione e movimento, eliminando dal modo di indagare la realtà ogni riferimento agli aspetti qualitativi e badando solo a quelli quantitativi, riducibili a quantità, perché gli altri o non esistono o preferisco non prenderli in considerazione.
Misurabile è quindi l’estensione, il movimento; non potrò indagare le qualità (i colori, i sapori, gli odori, ecc.). L’immagine che meglio descrive il mondo visto in chiave meccanicistica é quella del tavolo da biliardo che ben spiega come la causalità venga ridotta a urti tra corpi (il mondo è un insieme di enti materiali che si urtano), facendo così venir meno il complesso apparato delle quattro cause di Aristotele; in particolare nella tradizione aristotelica l'analisi qualitativa della natura era strettamente connessa con la prospettiva finalistica. Però non scompaiono tutte e 4 le cause aristoteliche perché parlando di urti tra corpi è evidente che si parla anche di causa efficiente (l’urto) e causa materiale (ciò che si urta è pur sempre un corpo). Non vengono invece più prese in considerazione la causa formale, che era quella che esaminava soprattutto le qualità (le forme), e soprattutto quella finale (gli urti non avvengono certo in vista di un fine) perché non possono essere oggetto di un’indagine quantitativa.

Anziché in termini di ”cause finali”, la nuova scienza interpreterà quindi le connessioni tra i fenomeni come ”cause efficienti” e meccaniche. Nella scienza moderna, la connessione tra la causa e l'effetto non viene tuttavia determinata soltanto dallo strumento matematico, ma sottoposta anche a verifica empirica.

C’è chi dice che Galileo, a differenza di Aristotele, osserva la natura: quest’affermazione è sbagliatissima perché forse è Aristotele ad osservare ancora più di Galileo la natura, ma la vera differenza tra i due sta nel fatto che Aristotele si appoggia sull’esperienza più di Galileo; quello che Aristotele non fa è l’esperimento, ossia un’esperienza fatta in una situazione controllata e quindi misurabile; se vedo cadere delle cose l’esperienza di tipo aristotelico mi dice che ci sono oggetti che tendono al loro luogo naturale, al limite può dirmi che tendono ad aumentare di velocità man mano che precipitano; ma quest’esperienza non mi dice di quanto aumenta la velocità in un determinato tempo.

Ma perché quindi Aristotele si basa solo sull’esperienza, mentre Galileo anche sull’esperimento, ossia l’esperienza controllata?
Ad Aristotele interessano i dati qualitativi - i corpi pesanti vanno verso il basso; al limite può interessargli sapere che ci sono corpi che vanno più velocemente, altri più lentamente - ma non gli interessano dati quantitativi (quanto ci mette a cadere un oggetto, per esempio) proprio perché non ha i mezzi per misurare; invece Galileo può misurare con l’esperimento, può quantificare; Aristotele non ha i mezzi perché non gli interessa, ma é anche vero il contrario, ossia non gli interessa perché non ha i mezzi.

Accanto alla matematica, la sperimentazione è il secondo mezzo a cui i nuovi scienziati fanno metodicamente ricorso.
L'esperimento, inoltre, il quale (come detto) consiste nella riproduzione artificiale di processi naturali in condizioni di massima osservabilità, deve servirsi di strumenti di indagine e di misurazione sempre più raffinati (ad es. orologi, cannocchiali, telescopi, barometri). Si stabilisce quindi una stretta connessione tra scienza e tecnica, sia nel senso che il progresso della scienza dipende sempre più dal progresso tecnologico che appronta gli strumenti necessari alla ricerca, sia nel senso che, all'inverso, si afferma la consapevolezza delle potenzialità pratiche del sapere scientifico, destinato a consentire un sempre più ampio dominio sulla natura: é un rapporto biunivoco nel senso che un maggiore sviluppo tecnologico permette alla scienza di conseguire risultati più apprezzabili, ma un maggiore sviluppo scientifico consente la creazione di strumenti sempre più precisi; lo si può vedere bene in Galileo: è solo grazie al telescopio che dimostra certe verità astronomiche, ma è solo grazie ad alcune conoscenze di ottica geometrica che riesce a costruire (non ad inventare) telescopi particolarmente raffinati.

Ma a caratterizzare il 1600, più di ogni altra cosa, sono la matematica e la profonda fiducia nella ragione umana: a Galileo sorge il dubbio che in realtà il mondo sia fatto solo di quantità e che le qualità siano solo delle manifestazioni soggettive delle quantità sui nostri organi di senso; tuttavia quello di Galileo é solo un sospetto: a lui non interessa più di tanto risolvere la questione e poi non ha prove razionali per farlo: egli è comunque certo che anche ammettendo l’esistenza delle qualità, si debbano esclusivamente esaminare le quantità in quanto misurabili rigorosamente (con la matematica). Ma tutti i pensatori del 1600 prenderanno il sospetto di Galileo per trasformarlo in realtà: esistono solo le quantità e il mondo è come una tavola da biliardo, ossia un insieme di urti casuali. Si tratta tuttavia di un passaggio non del tutto legittimo e logico quello dal sospetto galileiano alla certezza.

Sullo scontro tra Galileo e la Chiesa siamo ormai ad un chiarimento quasi definitivo. Vedi - in questo senso - il magistrale intervento di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla sessione plenaria dell'Accademia delle Scienza (31 ottobre 1992) dopo l'esposizione del cardinale Poupard a conclusione dei lavori della Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, istituita il 3 luglio 1981 da Giovanni Paolo II.

Vedi - in questo senso - la sintesi finale del Papa dopo l'esposizione del cardinale Poupard a conclusione dei lavori della Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, istituita il 3 luglio 1981 da Giovanni Paolo II.

Per una presentazione storica completa della questione Galileo (con relativa falsificazione dei luoghi comuni della “Leggenda nera” vedi il seguente articolo di Vittorio Messori.

Articolo sintesi è quello di Luciano Benassi in “Galileo Galilei. La leggenda del «martire» della scienza moderna” tratto da: Franco CARDINI (a cura di), Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 329-352 dal titolo significativo la leggenda nera della Chiesa oscurantista.

Per un recupero più completo del discorso sulla scienza vedi il seguente link.

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