Rendere visibile il grande "sì" della fede
Come, e su quali basi, adempiere un simile compito, oggi?«La fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui - come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 - certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio... il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (Ef 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-Logos per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo... un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (Rm 12,1)» [Benedetto XVI, Università di Regensburg 12 settembre 2006].
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“La persona umana - ha detto Benedetto XVI ai Convegnisti - non è soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al contempo, radicalmente privo di senso. In particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia l’esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche, Ritorna dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l’amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l’opera della sapienza di Dio. Qui, molto di più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. Dà vita perciò a una storia d’amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella morte in croce si compie dunque “quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale, nel quale si manifesta cosa significhi che “Dio è amore” (1 Gv 4,8) e si comprende anche come debba definirsi l’amore autentico” (Deus caritas est, nn. 9-10 e 12).
“Proprio perché ci ama veramente - continua Benedetto XVI -, Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma - come ci ha detto il nostro amato Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in misericordia e, da ultimo, nel libro Memoria e identità - preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza”.
Benedetto XVI nel discorso ai partecipanti al Convegno Nazionale della Chiesa italiana, dopo aver offerto, da testimone entusiasta ed entusiasmante, la chiarezza e la bellezza della fede cattolica che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi , ha voluto ricordare, per far comprendere il percorso umano della fede sotto la preminente e decisiva azione guida dello Spirito, che tutto questo “Giovanni Paolo II non lo ha soltanto pensato, e nemmeno creduto con una fede astratta: lo ha compreso e vissuto con una fede maturata nella sofferenza. Su questa strada, come Chiesa, siamo chiamati a seguirlo, nel modo e nella misura che Dio dispone per ciascuno di noi. La croce ci fa giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo (Mc 14,33-36): essa però non è negazione della vita, da cui per essere felici occorra sbarazzarsi. E’ invece il “sì” estremo di Dio all’uomo,l’espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e perfetta: contiene dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé”. Alla morte del servo di Dio Giovanni Paolo II quanti hanno sentito e continuano a sentire in pellegrinaggio sulla sua tomba di poter incontrare Cristo risorto attraverso la reliquia del suo corpo, memorizzando tutta la testimonianza della sua vita. Necessario ma non basta sapere e pensare il codice di comportamento di questa assimilazione a Lui, anzi prioritario è l’incontro da persona a persona con uno che mi attira con il di più di amore e di intelligenza della sua umanità e che rimanda, come fonte di ciò che in lui mi attrae al suo incontro con la persona di Gesù risorto, presente nella sua Parola, nell’appartenenza, attraverso un concreto vissuto fraterno, all’Assemblea del Popolo di Dio con i suoi Pastori e, in modo eminente, nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, culmine e fonte del settenario sacramentale e a quella adorazione eucaristica che rende liberi e dà i criteri dell’agire.
Appartenendo ad un vissuto concreto di comunione ecclesiale mi stupisce l’apertura cattolica a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a tutto ciò che esistenzialmente allieta, consola e fortifica la propria esistenza. Si riconoscono e si accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come l’uso strumentale della ragione nella conoscenza scientifica e nello sviluppo tecnologico, l’impegno per i diritti dell’uomo, per la libertà religiosa, per la democrazia. Certo tutto questo senza sottovalutare quella pericolosa fragilità della natura umana che è sempre una minaccia per il cammino dell’uomo in ogni contesto storico. Quindi non ci si adatta alle culture, si punta a purificarle, anche a tagli coraggiosi di maturazione e di risanamento cioè un’apertura che consente di nascere e crescere sempre più a quella “creatura nuova (2 Cor 5,17; Gal 6,15) che è il frutto dello Spirito santo.
All’inizio e al divenire cristiano c’è sempre l’incontro, attraverso la via umana di un volto che appartiene alla comunione ecclesiale, un volto entusiasta ed entusiasmante con la Persona di Gesù risorto, speranza del mondo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. E Benedetto XVI, in questo periodo post-illuminista in cui è egemone l’uso solo strumentale e utilitarista della conoscenza strumentale e tecnica della ragione, spinge ad un uso completo della conoscenza che deriva dalle due ali della ragione e della fede. “La fecondità di questo incontro (con la persona viva di Cristo) si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione e che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro teologia, filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita di spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il “progetto culturale” della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un’intuizione felice e un contributo assai importante”.
“La faticosa disputa - aveva detto Benedetto XVI alla Curia Romana il 22 dicembre 2005 -tra la ragione moderna e la fede cristiana che, in un primo momento, col processo a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma col Concilio Vaticano II arrivò l’ora in cui si richiedeva un ampio ripensamento. Il suo contenuto, nei discorsi conciliari, è tracciato sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la direzione essenziale, cosicché il dialogo tra ragione e fede, oggi particolarmente importante, in base al Vaticano ha trovato il suo orientamento. Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”.