Che io ti cerchi desiderando...

"Che io ti cerchi desiderando, che ti desideri cercando, che ti trovi amando, che ti ami ritrovandoti" (Prolosgion,1)

"Dio è la verità a cui ogni ragione naturalmente tende, sollecitata dal desiderio di compiere fino in fondo il percorso assegnatole. Dio non è una parola vuota né un'ipotesi astratta; al contrario, è il fondamento sui cui costruire la propria vita. Vivere nel mondo "veluti si Deus daretur" comporta l'assunzione di una responsabilità che sa farsi carico di indagare ogni percorso fattibile pur di avvicinarsi il più possibile a Lui, che è il fine verso cui tutto tende (1Cor 15,24). Il credente sa che questo Dio ha un volto e che, una volta per sempre, con Gesù Cristo si è fatto vicino ad ogni uomo. Lo ha ricordato con acutezza il Concilio Vaticano II: "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile, fuorché nel peccato" (Gaudium et spes, 22). Conoscere Lui è conoscere la verità piena, grazie alla quale si trova la libertà: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,32) [Discorso di Benedetto XVI nella visita all'Università Lateranense, 21 ottobre 2006].
Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

“Sono felice di essere qui - il Papa nel saluto iniziale - nella “mia” Università, perché questa è l’Università del Vescovo di Roma. So che qui si cerca la verità e così, in ultima analisi, si cerca Cristo, perché è Lui la Verità in persona”.
Questa è l’anima del Vangelo cioè il Dio dal volto umano in Gesù Cristo, nella Sua Chiesa: Io, Verbo incarnato, sono la via umana alla Verità e alla Vita e il Concilio non ha fatto altro che richiamare le due ali bibliche per giungere alla conoscenza della Verità, fede e ragione: “Conoscere Lui è conoscere la verità piena, grazie alla quale si trova la libertà: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Ed esiste una correlazione fra il mistero dell’Incarnazione e il mistero della Chiesa: “Come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa, serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo” (LG 8,1).
Nell’Università si custodisce la consapevolezza di questa Verità in persona cioè Cristo che permane viva nei secoli nonostante la crisi di cultura e di identità, che questi decenni pongono non senza drammaticità sotto i nostri occhi sia per l’emergere dell’illuminismo e del laicismo cioè un concetto di conoscenza razionalistico, riduttivamente dalla sola ragione relegando la fede a solo sentimento privato senza dimensione conoscitiva, veritativa e quindi pubblica, e sia, nel contesto contemporaneo, dando il primato a un’intelligenza artificiale che diventa sempre più succube della tecnica sperimentale dimenticando in questo modo che ogni scienza deve pur sempre salvaguardare l’uomo e promuovere la sua tensione verso il bene autentico. “Lasciarsi prendere dal gusto della scoperta - ha osservato il Papa offrendo una icona di chi fonda opinioni di felicità a buon prezzo senza la fatica di apprendere la vera essenza - senza salvaguardare i criteri che vengono da una visione più profonda farebbe cadere facilmente nel dramma di cui parlava il mito antico: il giovane Icaro, preso dal gusto del volo verso la libertà assoluta e incurante dei richiami del vecchio padre Dedalo, si avvicina sempre più al sole, dimenticando che le ali con cui si è alzato verso il cielo sono di cera. La caduta rovinosa e la morte sono lo scotto che egli paga a questa sua illusione. La favola antica ha una sua lezione di valore perenne. Nella vita vi sono altre illusioni a cui non ci si può affidare, senza rischiare conseguenze disastrose per la propria e altrui esistenza”.
Inculturando la fede, come è pur necessario, in un contesto illuminista e laicista egemone di conoscenza da sola ragione, tanto più da sola ragione strumentale cioè di scienza e tecnica, si rischia di perdere il riconoscimento dell’essenza specificamente cristiana di verità attraverso la dimensione conoscitiva di fede -ragione per cui essa accade solo incontrando Dio nel volto umano di Gesù Cristo, morto e risorto, che ha lavorato con mani d’uomo, ha amato con cuore d’uomo e nascendo da Maria vergine, si è fatto veramente uno di noi, unito in certo modo, ad ogni uomo, agendo con volontà d’uomo, in tutto simile a noi, fuorché nel peccato e oggi risorto è presente, parla e agisce attraverso il volto dei suoi. Nell’inculturare la fede occorre tener presente che la cultura non può mai essere un criterio assoluto di giudizio in relazione alla rivelazione divina, tanto meno è valido assumere acriticamente i principi della cultura imperante per attualizzare il sempre nuovo messaggio evangelico.
Questo il valore definitivo e universale di Cristo nella sua rivelazione, nella conoscenza che ci dona in connubio con quella della ragione, nella sua condizione di Figlio di Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa, e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale. Ecco l’importanza del concetto biblico di verità in Fides et ratio perché nell’Università la ricchezza della tradizione di una conoscenza dalla Rivelazione e dalla Ragione (teologia e filosofia) per cogliere il senso religioso della propria e altrui esistenza, come di tutto il mondo che ci circonda, del tempo e della storia, suscitando perenne stupore, va difesa in dialogo con chi propone una conoscenza razionalistica della verità cioè dalla sola ragione. Purtroppo la secolarizzazione interna alla Chiesa, con la perdita dell’intelligenza della fede ridotta a sentimento, si sono sviluppate proposte teologiche e quindi catechistiche non sufficientemente fondate in relazione ad una conoscenza di sola ragione della rivelazione, nell’esegesi della Sacra Scrittura, Cristo solo come esempio di comportamenti umani e quindi una interpretazione meramente sociologica della Chiesa, un soggettivismo e relativismo secolarizzato nella morale cattolica. Questo non può essere consentito in nessuna Università, tanto meno in quella particolarmente del Papa. “Dio è la verità ultima a cui ogni ragione naturalmente tende, sollecitata dal desiderio di compiere fino in fondo il percorso assegnatole. Dio non è una parola vuota né una ipotesi astratta; al contrario è il fondamento su cui costruire la propria vita (senso religioso). Vivere nel mondo “veluti si Deus daretur” comporta l’assunzione di una responsabilità che sa farsi carico di indagare ogni percorso fattibile pur di avvicinarsi il più possibile a Lui, che è il fine verso cui tende (1 Cor 15,24). Il credente sa che questo Dio ha un volto e che, una volta per sempre, con Gesù Cristo si è fatto vicino ad ogni uomo”.
Se Dio non solo “crea” per mezzo del Verbo tutte le cose, la Ragione creativa in persona, ma anche le “conserva” per mezzo di lui (Dei Verbum n. 3), il Verbo centro del mondo e della storia, è in qualche modo presente in tutto ciò che esiste. Naturalmente questa presenza non è verificabile a livello solo fisico, ma ad un livello molto più profondo, metafisico in una esperienza di amore gratuito. Nella pienezza dei tempi, il Verbo, incarnandosi nel grembo di Maria, si manifesta in modo particolarissimo e unico in Gesù di Nazareth. Ma non per questo cessa di essere presente, in qualche modo, in tutti gli esseri. Attraverso la morte e in forza della sua risurrezione, la presenza del Verbo incarnato nella storia e nel cosmo, resta non solo confermata, ma potenziata, anche se il modo di essere presente sfugge ad una verifica puramente scientifica. Con una intuizione veramente formidabile, san Bonaventura, sul quale il teologo Ratzinger ha svolto la sua specializzazione, arriva ad affermare che il Verbo incarnato, morto e risorto nella più grande “mutazione” mai accaduta nella storia, nel “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, “rappresenta tutta la nostra metafisica”.
Questa verità fondamentale tocca il nucleo essenziale del cristianesimo. Ad esso tutto va subordinato. Restano due grandi interrogativi pastorali: come scoprire questo nucleo che resta sempre mistero non nel senso illuminista di non comprensione ma di un logos che ha agito e agisce pieno di amore, un amore che “sorpassa” la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero, ma rimanendo l’amore del Dio-Logos (Ef 3,19)? Come conciliare questa presenza, centro della storia e del mondo, con le espressioni autonome dell’esistenza degli uomini e della storia? Questo è il vero nodo pastorale oggi. Ma è stato così da sempre: Giovanni e Paolo lo testimoniano. “Giovanni ci ha donato - Benedetto XVI all’Università di Regensburg - la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi (è il contenuto di Fides et ratio). In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (At 16,6-10) - questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco”.
Tutta l’attività pastorale rischia di essere dispersiva senza questo nucleo, questa presenza cui tutto nella Chiesa rimanda. Ma con la conoscenza che proviene dalla fede nella rivelazione occorre far recuperare la fiducia nella capacità che possiede la ragione umana di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato. In un mondo che spesso ha perso la speranza di poter cercare e trovare la verità, il messaggio di Cristo ricorda le possibilità a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa suo avvocato e pastoralmente occorre aiutare a pensare, a ragionare. I catechisti, gli educatori, prioritariamente testimoni, devono, soprattutto oggi, essere anche maestri.