Lettera ad Avvenire: Religione cattolica o religioni?
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Da qualche tempo su Avvenire si trovano riflessioni sull’Insegnamento della religione Cattolica nella scuola dello Stato. E l’interesse pare non riguardare solo il mondo cattolico ma anche vari settori del pensiero laico. Anche dalle colonne di questo giornale [Avvenire] si sono espressi docenti di varie discipline e vari orientamenti (e ho avuto anche modo di entrare in serio dialogo epistolare con alcuni di loro).
Una delle questioni dibattute è stata la cosiddetta «laicità» della scuola e la questione riguardante un insegnamento confessionale: riteniamo che proprio il fatto della «cattolicità» sia la condizione di una autentica laicità (e su questo crediamo che sia giusto fare sempre più chiarezza. Se non fosse così avrebbero ragione coloro che chiedono l’abolizione tout court di tale materia all’interno della scuola dello Stato).
A nostro avviso, per quanto riguarda la questione dell’IRC nelle scuole dello Stato, questi sono i punti salienti per un confronto:
Innanzitutto dobbiamo chiarire lo statuto epistemologico della materia e le ragioni della sua presenza all’interno dell’ordinamento scolastico italiano. Si tratta di una materia che in forza del Concordato ha questa caratteristica: «Art. 9.2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.» a questo articolo il protocollo addizionale aggiunge: «In relazione all'articolo 9. a) l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica».
La connotazione specificamente «cattolica» – e dando per assodato che non si tratta di «catechesi» – oltre che impegnare la Chiesa a garantire tale requisito – impegna i docenti a una qualità particolare. Ora mi pare giusto chiedere che tale caratteristica sia rispettata (e a volte sorgono dubbi precisamente su questo. Talvolta gli stessi testi, pur provvisti delle necessarie autorizzazioni, sembrano proporre dei contenuti difformi dal magistero cattolico).
Il necessario confronto con le altre culture e impostazioni religiose, nel contesto attuale, non richiede una specializzazione nel campo delle «religioni» (facendo del docente di IRC un «tuttologo religioso») ma chiede che l’insegnamento riguardi la specifica lettura del fenomeno religioso nella prospettiva del cattolicesimo. Del resto la spiegazione e l’incontro con le varie forme ed espressioni religiose dovrebbe riguardare il settore specifico di altre discipline (Storia, letteratura, filosofia, geografia…). Da questo punto di vista sarebbe necessario che tutta la scuola imparasse ad accostare il «diverso» con capacità di confronto e con autentica competenza.
Crediamo che nel complesso, al di là di tante ottime esperienze, non si sia sufficientemente lavorato sulla specifica qualità dell’IRC. Non crediamo che sia il cambiamento della sua natura (pur motivato da mutamenti del contesto sociale) a risolvere tutti i problemi, ma una chiarezza nello scopo, nella metodologia e nei contenuti. Non possiamo correre il rischio di «buttare l’acqua con il bambino». Dobbiamo prima di tutto interrogarci sulla corrispondenza di tale insegnamento agli scopi reali che ne giustificano la presenza nella scuola dello Stato. Come sempre le mutate condizioni sociali e culturali chiedono un affronto serio, ma non rinunciatario. E spesso gli insegnanti sono stati capaci di creare modalità persuasive e culturalmente dignitose per la pratica di tale materia.
Per quanto riguarda la valutazione da tempo abbiamo chiesto al Ministero di considerare la possibilità di usare i voti al posto degli aggettivi e tutta una serie di norme che equiparino tale materia alle altre discipline scolastiche. Ci è parso di capire che le obiezioni e le difficoltà non provengono dal Ministero stesso.
Ci troviamo in presenza di varie proposte di trasformazione dell’IRC nella scuola dello Stato. Per alcuni il punto di partenza, che sembra motivare la loro stessa proposta è “l’attuale contesto sociale caratterizzato da multiculturalità e multireligiosità” ed è constatazione non solo condivisibile ma perfettamente reale ed evidente sia in grandi agglomerati urbani che in piccoli centri di provincia dove, nella maggior parte dei casi, la presenza di persone di cultura e religione diversa è sentita non come rischio di una perdita di identità ma come possibilità di confronto.
Ed è ugualmente condivisibile la sollecitudine a che “l’impegno educativo della scuola debba essere volto a favorire negli allievi una adeguata conoscenza del fatto religioso” che “a partire dal patrimonio di esperienze e linguaggi simbolici propri del mondo di vita degli alunni e delle tradizioni in esso presenti, richiede approcci multipli e comparativi ad altri universi di senso”.
Ed ecco allora formulata da alcuni una ipotesi di partenza: “condurre ad una pluralità di insegnamenti confessionali riferiti alle tradizioni religiose proprie degli alunni (per esempio un IR cattolico, un IR ortodosso, un IR islamico etc.) e in aggiunta “un insegnamento a-confessionale per alunni non appartenenti a nessuna tradizione religiosa”.
Non è su tale ipotesi che si concentra l’attenzione dei firmatari della lettera e giustamente viene rifiutata perché potrebbe derivare una incongruente e ingestibile disseminazione dell’offerta di cultura religiosa nella scuola pubblica e un increscioso isolamento tra sottogruppi di popolazione scolastica che non porta certo all’educazione di identità dialoganti e alla convivenza sociale tra diversi!
Aggiungeremmo però qualche altra osservazione: nella ipotesi ventilata mancherebbe la base giuridica per cui uno stato laico si fa carico dell’insegnamento religioso che in tale prospettiva non esulerebbe dal tentativo di trasformarsi in educazione alla fede che non è compito dello Stato ma delle varie formazioni religiose.
Quale allora la proposta del Gruppo di insegnanti che scrivono ad Avvenire? Eccola presentata in questi termini
“Ci sembra che l’obiettivo a cui tendere, con realismo graduale, sia l’istituzione di un corso autonomo, con disciplinarità specifica di cultura religiosa, obbligatorio per tutti, a gestione scolastica, come approccio educativo e culturale al fatto religioso, considerato nella concretezza delle sue manifestazioni, di carattere non confessionale o transconfessionale, che sappia tenere conto delle scelte religiose come di quelle non religiose delle famiglie, alunni, insegnanti, scelte che devono poter comunque esprimersi in un clima di dialogo e di rispetto reciproco.”
Il testo della proposta continua a presentare tale insegnamento come attenzione alla fenomenologia dei fatti religiosi nei vari aspetti antropologici, sociologici, storici, psicologici, nonché specifici delle religioni nella loro effettiva ricchezza valoriale. Il tutto naturalmente va graduato alle varie età degli alunni e in sinergia con le altre discipline scolastiche.
Nell’ipotesi contenutistica si ipotizza una conoscenza, a partire dalla religione cristiana nella sua espressione cattolica per giungere successivamente ad una conoscenza del mondo religioso vario e articolato; il tutto al fine di pervenire nella scuola secondaria di secondo grado a “una analisi comparativa e storico-critica dei messaggi religiosi come chiavi di lettura della cultura e come possibili fonti di senso.”
La formazione degli insegnanti dovrebbe avvenire nell’ambito delle Università con la necessaria collaborazione delle istituzioni accademiche delle comunità religiose.
Fin qui l’analisi della proposta degli IdR che si presenta, come già sottolineato, seria, articolata e graduata in un itinerario di lungo corso, che chiede insegnanti preparati e individua nella fenomenologia dei fatti religiosi considerati nella concretezza delle loro manifestazioni, il contenuto di tale insegnamento.
Cerchiamo ora di ragionare per individuare se base giuridica, finalità, contenuti dell’IRC quale lo vuole il dettato concordatario sono esattamente quelli che la proposta in oggetto individua.
Modestamente ci pare di no. Il Concordato non pone il cattolicesimo oggetto di conoscenza scolastica come una scelta religiosa della maggioranza degli italiani e neppure come una porta aperta alla Chiesa Cattolica per la formazione dei credenti. Uno Stato laico non dà giudizi di valore sulla fede che è, e rimane, scelta personale nell’ambito della stessa società, ma, come afferma il Concordato, si chiede che il cattolicesimo venga conosciuto a livello scolastico quale forma religiosa che ha contribuito alla formazione della identità della cultura italiana, della nostra civiltà a livello delle sue espressioni non solo letterarie e artistiche ma anche di vita della comunità.
Pur essendo perfettamente condivisibile l’analisi della attuale situazione storica che moltiplica la presenza di altre culture non faremmo un buon servizio, proprio a quei cittadini di altre civiltà il non chiarire a loro e per loro la nostra identità culturale italiana che non può non dirsi cristiana e cattolica in particolare.
Tutto questo ci porta ad una serena analisi dell’identità dell’IRC che deve sganciarsi dalla preoccupazione catechetica che non è finalità della scuola ma della Chiesa che ha e deve avere i suoi luoghi per la formazione alla fede. Quell’insegnamento deve caratterizzarsi sempre maggiormente come fatto culturale e come tale deve essere preciso nei suoi contenuti cattolici.
Non può quindi essere una conoscenza del fenomeno religioso nelle sue varie espressioni ma deve essere analiticamente attento a tutta la verità di fede professata nel cattolicesimo proprio per capire quelle espressioni letterarie artistiche e di vita che fanno parte della nostra cultura italiana.
Il che non significa che io alunno italiano mi chiuda nella mia beata identità, ma al contrario che senta il desiderio di confrontarmi con i valori di altre culture a me diverse e che certamente possono aiutarmi ad un sano interscambio e arricchimento che può venire a me dall’altro.
Ma questo come nell’ambito della vita delle comunità ha portato ad aprirsi alla accoglienza di ortodossi, evangelici e anche mussulmani, così nella vita delle istituzioni della società civile come nella scuola, comporta un iter di conoscenza della cultura di cristianesimi diversi e anche di altre religioni come l’Islam, che hanno dato origine a civiltà diverse.
Un’altra osservazione mi preme fare sulla preparazione dei docenti che, oltre e a fondamento della fenomenologia dei fatti religiosi deve rifarsi ai contenuti di fede della religione cristiana nella sua identità cattolica. Di conseguenza ha come referente istituzionale la stessa Chiesa Cattolica che attraverso le sue istituzioni scolastiche universitarie preparerà i docenti di tale disciplina, non solo attraverso itinerari di studio adatti ma anche verificandone la idoneità all’insegnamento.
Ma vogliamo venire al nodo problematico evidenziato dal gruppo degli insegnanti della multiculturalità e multireligiosità: Non ci pare che possa essere soltanto un problema da affrontare in sede scolastica anche se in tale sede emerge la presenza di identità religiose diverse che, se vogliamo essere concreti, non fanno problema nelle varie sfaccettature delle confessioni cristiane, ma per la maggior parte, nel confronto tra cristiani e islamici.
E’ problema molto vasto che non ci sentiamo di affrontare solo in ambito scolastico ma che coinvolge tutta la società occidentale e in particolare la nostra Europa che nonostante il rifiuto del riconoscimento nella sua Costituzione delle radici cristiane non può comunque prescindere da esse.
Il problema si pone in particolare nel dialogo con le popolazioni di cultura islamica che ormai da alcuni anni reclamano un rapporto diverso con l’Occidente.
Un articolo di Civiltà Cattolica suggerisce delle piste di lavoro: “A livello individuale e comunitario, per diventare veramente europei, (i mussulmani residenti stabilmente in Europa) non possono assolutizzare la propria cultura di origine, sia essa araba, africana o asiatica, ma sono chiamati a discernere quanto se ne debbano distaccare, per assumere la cultura europea e farla anche propria. … Una nuova identità europea dovrebbe così potersi affermare e, una volta affermata, non dovrebbe cercare di farsi valere o affermare la propria superiorità rispetto agli altri (i non europei), ma piuttosto perché risalti la differenza qualitativa. … Va affermato con forza che tutti gli abitanti dell’Europa, di religione mussulmana o no, sono tutti chiamati a costruire insieme un ambiente nel quale si possa vivere in un modo più giusto e dunque migliore. … una simile impresa non si realizzerà in un giorno, ma richiederà del tempo.” (Civiltà Cattolica n. 3720).
don Gabriele Mangiarotti e Nicola Incampo