Il Valore dell’IRC a scuola

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Dopo aver letto la risposta, e la domanda del lettore, del Direttore di Avvenire sul quotidiano del 22 luglio 2016 invio la seguente riflessione.

Cerchiamo di capire dove sta l’importanza di questa ora tanto discussa le cui basi risiedono nel Concordato: “Lo Stato, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche”.
Ecco il punto: “la religione s’insegna a scuola non come ora di indottrinamento o di catechesi, ma per aiutare a comprendere una componente culturale della nostra storia e della nostra società. A maggior ragione se si vuole favorire l’integrazione di studenti di etnie e credi diversi, è giusto tutelare questo insegnamento.” Tanto che Paolo Mieli, di origine ebrea, raccontava che da bambino era esonerato dall’insegnamento della religione. Poi incontrò un sacerdote, un certo don Tarcisio, e qualcosa cambiò: “Da quel momento, per i successivi cinque anni, io rimasi, per scelta, a tutte le lezioni di religione, e questo dialogo con lui è stato un momento fondamentale della mia vita”, raccontava”.
Ecco perché l’IRC è un valore nella scuola, e non storia delle religioni, “dietro ci sarebbe l’illusione che urga cambiare le cose. Diceva il cardinal Martini, cioè che l’insegnamento della religione «entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Compito della scuola è porre correttamente il problema, e l’insegnamento della religione aiuta la scuola a svolgere questo compito. La scuola deve essere al servizio di un popolo e della sua identità. Altrimenti rischiamo di finire come i risorgimentali, quelli che dicevano che “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”.