Primi giorni al Festival di Venezia 2007
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Primi giorni alla Mostra del Cinema e già si cominciano a intravedere le prime costanti dopo l’esordio ieri sera con il discreto anche se molto freddo e non certo memorabile Espiazione (7) dell’inglese Joe Wright, abbiamo visto altri due film presenti nel Concorso ufficiale. E’ il buon vecchio sesso a farla da padrone almeno in queste prime giornate.
Lust, Caution (6) di Ang Lee è un melodramma ambientato nella Cina occupata dal Giappone durante la II guerra mondiale. Tra Shangai e Hong Kong nasce e finisce tragicamente la storia d’amore tra un funzionario del governo cinese collaborazionista e una bella ragazza appartenente alla Resistenza. Melodramma dagli echi classicheggianti, in cui Lee dà prova di una certa maestria specie nella direzione degli attori ma non va oltre una rappresentazione calligrafica dell’amore contrastato. E infarcisce il film di nudi e di scene di sesso abbastanza spinte francamente inutili.
Poi è stata la volta di Kenneth Branagh con Sleuth (6.5), tratto dal romanzo di Anthony Shaffer, sceneggiato da Harold Pinter. Si tratta di un film dal forte carattere teatrale, ben interpretato dagli unici due attori in scena, Jude Law e Michael Caine. Cinico e sferzante – c’è anche spazio per un’infelice battuta blasfema, accolta con una certa simpatia nella proiezione per la stampa – è il racconto di un gioco al massacro con protagonisti un maturo scrittore di successo e un giovane attore. Al centro della contesa una donna che non si vede mai. Film di sceneggiatura più che di regia che fa ben poco per far dimenticare l’origine teatrale del testo. Molto amaro, molto snob: alla critica ufficiale pare essere molto piaciuto.
Tralasciando volutamente una manciata di altri film presenti in sezioni collaterali, tra cui il pornografico L’histoire de Richard O del francese Damien Odoul (1) – la storia di uno spiantato erotomane – e il debole divertissement cubista di Takeshi Kitano, già vincitore a Venezia qualche anno fa, Kantoku banzai! (voto 4.5), ci ha sorpreso invece il film del russo Alexey Balabanov, Cargo 200 (voto 8), una fotografia durissima dell’Unione Sovietica di metà anni ‘80, segnata da un comunismo fatto non solo di prevaricazione e violenza ma anche dello squallore quotidiano di anonimi palazzi grigi, case diroccate, città disabitate inondate dall’alcool. Un pugno nello stomaco dove l’unica speranza è riposta nei dubbi di coscienza che attanagliano il protagonista – docente di ateismo scientifico all’Università – e che lo porteranno a visitare una chiesa ortodossa e a domandare un insperato battesimo.