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Rosaconfetto, ovvero i confetti avvelenati…

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Caro don Gabriele,
abbiamo letto la favola “Rosa confetto” di Adela Turin presente su “Raccontami” Antologia per la Scuola Secondaria di Primo Grado (Lattes editori) prima edizione 2011. È senza ombra di dubbio una favola gender. Più che una favola sarebbe da definire anti-favola, perché quella che una volta si sarebbe definita la morale della favola è in realtà un’anti-morale di stampo anarchico con lo scopo di ribaltare la realtà naturale.

La favola lascia intendere, anzi afferma, che le mamme ed i papà, privi di scrupoli, costringano le figlie ad una educazione rigida, vestendole addirittura con calze e chincaglieria rosa. Con lo scopo di sposarsi! Che orrore! Le femmine, mai e poi mai, preferiscono il rosa al grigio. Analizziamo seriamente la favola, che trovi in calce:

  • Pasqualina non riesce ad assumere il colore rosa. Perché?
  • Il suo colore grigio preoccupava molto i genitori, che si chiedevano chi l’avrebbe mai chiesta in moglie. Alla fine i genitori rinunciano e la lasciano in pace. Genitori torturatori?
  • Pasqualina è la liberazione. Liberazione da che? Dalle torture dei genitori?
  • Le altre rimaste nel recinto la osservano prima preoccupate e poi invidiose fino a che tutte, una a una la seguono. Per andare dove? A rotolarsi nel fango? È questa la libertà?
  • Oggi non si riesce più a distinguere di quella tribù i maschi dalle femmine perché tutti gli elefanti sono grigi. È QUESTO IL NUOVO MONDO, DOVE NON ESISTONO PIU’ LE DIFFERENZE? ESISTE SOLO L’ESSERE SENZA IDENTITA’?
 
La favola è di chiara matrice gender. In questa chiave di lettura tutto s’incasella. Di che sesso è Pasqualina? È femmina? È maschio? Transgender? Trans? Transessual? Intersex? Androgino? Agender? Crossdresser? Drag king? Drag queen? Genderfluid? Genderqueer? Intergender? Neutrois? Pansessuali? Pan gender? third gender? third sex? Sistergirl? O brotherboy?
In realtà è ininfluente, non è un piccolo: elefante è solo un artificio per distruggere la società naturale per sostituirlo con il nuovo essere umano privo di identità. Indistinguibile! Infatti, non si distinguono, più, nella favola gli elefanti maschi dalle femmine e tutti sguazzano nel fango. Grigi come la tristezza dell’omologazione socialmente imposta.
Per liberarsi di quello che la Turin considera stereotipo tradizionale, ne costruisce uno in cui sparisce l’umano. Notevole, infatti, che il nome Pasqualina non sia casuale: deriva da Pasqua, Pesach in ebraico, che significa: “passaggio” e ricorda la liberazione del popolo ebraico. Nel caso della favola liberazione verso il fangoso nulla. Basta approfondire, ad esempio, su chi siano i «neutrois» per scoprire un mondo del tutto sconosciuto ai profani. L’Università di Berkeley (California) e di Washington ne ha riconosciuti 58 (http://geneq.berkeley.edu/lgbt_resources_definiton_of_terms
Interessante anche la proposta di modifica del linguaggio rappresentato nella seguente tabella:

SubjectObjectPossessive AdjectivePossessive PronounReflexive
FemaleShe
HerHerHersHerself
MaleHeHimHisHisHimself
Gender NeutralZeHir
HirHirsHirself
Gender Neutral Pronunciation/zee//here/
/here//heres//hereself/


Gender neutral pronouns that can be used instead of his/her.

È evidente che le identità di genere sono infinite come le sfumature di grigio degli elefanti (speriamo almeno gli siano rimaste le sfumature)! Questo significa la distruzione di qualsiasi possibile identità per i nostri bambini. Questa è pura follia!
Interessante il documentario norvegese di Harald Meldal Eia, un noto comico norvegese che intervista scienziati e ricercatori di fama mondiale oltre a gente comune... e il Centro Nordico del Gender perde i finanziamenti del Governo.
Intitolato Hjernevask (Brainwashing – The gender equality paradox) sul Paradosso dell’Identità di Genere sottotitolato in Italiano.Nel film si approfondiscono numerosi temi: identità di genere nei bambini prima della scuola dell’infanzia nella psicologia e nei media. Dura 37 min: https://www.youtube.com/watch?v=wsR7_BlLV8o&feature=player_detailpageVideo importante per comprendere che certi comportamenti sono naturali e non imposti dagli stereotipi tradizionali. Ossia le elefantine sono e diventano rosa naturalmente e non per le torture di mamma e papà!
Per inciso dal punto di vista sia morfologico che etologico gli elefanti femmina sono ben distinguibili da quelli maschio, cosa del resto presente in tutte le specie animali a partire da un certo livello di evoluzione. Per capirci, bisogna scendere almeno agli anellidi e ad alcune specie di molluschi per trovare questa “agognata” indifferenziazione.
E’ altresì inspiegabile come la favola, genere letterario che nasce per trasmettere degli insegnamenti universalmente riconosciuti e indubbiamente legati alla tradizione, venga qui usata per scardinare gli uni e l’altra, violando, come purtroppo troppo spesso oggi accade, sia il principio di identità e di non contraddizione.
Il fatto che Adela Turin abbia ricevuto numerosi premi letterari a livello internazionale non ci stupisce affatto, dato che la demolizione della tradizione e il disconoscimento dei valori sono da tempo l’obiettivo di molte organizzazioni filantropiche a livello mondiale. Senza radici ( tradizione e valori) si è in balia del primo che passa o dell’ideologia del momento. La funzione delle radici in una pianta non è solo quella di fornire l’acqua e i sali minerali, sostanze peraltro strettamente necessarie alla sopravvivenza stessa di un vegetale, ma anche quella di ancorare la pianta al terreno impedendo che la prima folata di vento se la porti via.
Notevole, poi, il passaggio delle elefantine da preoccupate a invidiose fino a che tutte, una a una la seguono. Ricorda tanto la finestra di Overton (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=537&id_n=37914 ).
In realtà, l’ideologia gender non è quella che appare agli occhi della gente comune. Il suo nocciolo duro è il più efferato radicalismo. Bisogna aver chiara la distinzione tra cerchia interna ed esterna di un’organizzazione.
Clive Staples Lewis descrisse bene questa distinzione nel suo discorso del 1944 all’Università di Londra su «The Inner Ring» (La cerchia interna), e la illustrò nel suo romanzo That Hideous Strength (Quell’orribile forza). La cerchia interna di un’organizzazione ha spesso idee radicalmente diverse da quelle che professa alla cerchia esterna dei sostenitori. Nel suo romanzo (ne consiglio caldamente la lettura) il dirigente dell’Ince, la cerchia più interna, spiega al sociologo e protagonista Mark quel che l’organizzazione si attende da lui: che presenti i suoi scopi mettendoli nella giusta luce.
«”Non mi dirà che vuole che io scriva cose del genere?”. “No. Vogliamo che lei le addolcisca, che le mimetizzi. Solo per ora naturalmente. Per esempio, se solo si sussurrasse che l’Ince vuole avere la possibilità di usare i criminali per i propri esperimenti, salterebbero su subito tutte le donnette di entrambi i sessi a protestare e ad abbaiare in nome dell’umanità; se invece si parla di recupero dei disadattati, tutti si metteranno a sbavare di gioia perché finalmente è terminata l’era brutale della punizione retributiva. È curioso che la parola ‘esperimento’ sia mal accetta, ma non la parola ‘sperimentale’. Non si devono fare esperimenti sui bambini; ma se ai cari ragazzini si offre istruzione gratuita in una scuola sperimentale collegata all’Ince, tutto andrà benissimo!”».
Cosa erano nel romanzo di Lewis le “cose del genere” dette da Mark?
 «Cose semplici e ovvie, tanto per cominciare. La sterilizzazione dei disabili, l’eliminazione delle razze arretrate (non vogliamo pesi morti), la riproduzione selettiva. Poi l’educazione vera, compresa l’educazione prenatale. La vera educazione infallibilmente trasforma chi la subisce in ciò che essa si prefigge, senza che il soggetto in questione o i suoi genitori possano farci nulla (vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? ndr). Naturalmente si tratterà all’inizio di un influsso soprattutto psicologico, ma alla fine arriveremo al condizionamento biochimico e alla diretta manipolazione del cervello».
Usciamo dal romanzo ed entriamo nella realtà con due esempi storici. Ai lavoratori, i Fabiani (socialisti inglesi di inizio ‘900, G.B. Shaw era fabiano) promisero posti pagati abbastanza bene perché ogni lavoratore potesse avere la famiglia delle dimensioni volute. Ma nella cerchia interna esisteva un atteggiamento di una differenza raggelante. Il socialismo, diceva Webb alla cerchia interna fabiana, deve togliere beni ai ricchi oziosi e figli ai poveri inadatti.
La cerchia esterna è il c.d. “specchietto per le allodole” o “esca per i pesci”. È quella che, nel suo “IL GENDER. Una questione politica e culturale“, Marguerite Peeters chiama azione centripeta. Si potrebbe descrivere il gender come un insieme di cerchi concentrici fornito di un nucleo duro radicale. I cerchi esterni, i più visibili e i più lontani dal centro ideologico nascosto, rappresentano i progetti a più alto consenso e capaci di sedurre la maggioranza: il gender è associato, per esempio, ai programmi di lotta contro lo stupro o la mutilazione, o a quelli che mirano a garantire alle donne maggiore accesso alla terra, all’educazione, alle cure mediche, all’eredità, allo sviluppo socioeconomico. Ma l’analisi dimostra che il gender è un processo rivoluzionario centripeto: il nucleo duro attira verso di sé i componenti dei diversi cerchi, li lega alla sua ideologia in proporzione alla loro distanza dal centro e assicura l’unità ideologica dell’insieme. I progetti esteriormente più accettabili finiscono per essere essi stessi contaminati dall’antropologia laicista, individualista ed edonista del centro. Fanno pensare alla formula di Cartesio (1596–1650): larvatus prodeo, «procedo mascherato». Il gender procede. Porta la maschera dell’“uguaglianza”, della “parità”, dell’“equità”, della “libertà di scelta”, dei “diritti”, della “dignità umana”, del “progresso”, dell’“autonomia”, dell’“emancipazione” o “promozione” della donna, della “compassione”, della “lotta contro le violenze”, della “lotta contro la povertà”, della “non discriminazione” e altrettanti concetti altruisti, umanistici o umanitari con i quali molti la legano, seducendo soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Ma laddove mette a nudo la sua vera natura e ne svela gli aspetti più radicali, il gender provoca uno shock. È quanto successo dopo la pubblicazione dei manuali francesi di Sciences de la Vie et de la Terre (SVT) (http://www.tempi.it/nella–francia–del–gender–a–scuola–la–matematica–e–unopinione–e–negli–esercizi–le–persone–cambiano–genere–ogni–giorno%20–%20.U4XCA5R_v3y)
(http://www.tempi.it/cosa–fanno–i–maschietti–accademie–francesi–consigliano–alle–scuole–un–libro–per–pervertire–le–regole–sulla–sessualita#.VB0Zufl_tqU)
(http://www.laici.va/content/dam/laici/documenti/donna/culturasocieta/francois/le–gender–au–programme–des–lycees.pdf ), o quando alcuni dirigenti occidentali hanno dichiarato di fare del rispetto dei diritti degli omosessuali una condizione esplicita dell’aiuto allo sviluppo in Africa (http://www.lanuovabq.it/it/articoli–matrimonio–gay–lafrica––sotto–ricatto–6584.htm ), o si sono pubblicamente dichiarati in favore del matrimonio omosessuale.
Un desiderio di tornare alla persona umana concreta si manifesta e va di pari passo con un salutare risveglio delle popolazioni.
Larvatus prodeo, «procedo mascherato». Il gender procede.
 
ROSA CONFETTO (Adela Turin) 
C’era una volta, nel paese degli elefanti, una tribù nella quale le femmine avevano gli occhi grandi e brillanti e la pelle rosa confetto. Questo bel colore dipendeva dal fatto che le elefantine mangiavano solo peonie ed anemoni fin dal primo giorno di vita. Non che le peonie e gli anemoni fossero proprio buonissimi da mangiare. Ma – questo sì – facevano venire una pelle liscia e rosa e dei begli occhi brillanti. Le peonie e gli anemoni crescevano in un giardinetto chiuso da un recinto. Così le elefantine rimanevano dentro a giocare fra di loro e a mangiare fiori.
– Bambine , dicevano i papà, – se non mangiate tutti gli anemoni, se non finite le peonie, non diventerete mai belle e rosa come la mamma, non avrete mai gli occhi brillanti, e nessuno vi vorrà sposare quando sarete più grandi.
E per incoraggiare il color rosa a venire si mettevano alle elefantine delle scarpette rosa, dei collettini rosa e dei bei fiocchi rosa in fondo alla coda.
Le elefantine, dal loro recinto di peonie e anemoni, vedevano i loro fratelli e cugini, grigio elefante, giocare nella savana odorosa, mangiare l’erba verde, rovesciarsi addosso dell’acqua e del fango, far la siesta sotto gli alberi.
Fra tutte, Pasqualina, malgrado le peonie, malgrado gli anemoni, non diventava rosa neanche un po’. Questo fatto rattristava la mamma elefantessa e faceva molto arrabbiare il papà elefante.
Ma Pasqualina –, le dicevano, – come mai sei sempre di quel brutto colore grigio che non si addice ad una elefantina? Hai forse cattiva volontà? Sei forse ribelle? Attenta, Pasqualina, così non diventerai mai una bella elefantessa.E Pasqualina, sempre più grigia, taceva. E mangiava per compiacenza, qualche anemone e un po’ di peonie.
Così, un giorno, il papà e la mamma di Pasqualina decisero che ormai non c’era più nessuna speranza di vederla diventare bella e rosa e con gli occhi lucidi, come doveva essere un’elefantessa. E decisero di lasciarla in pace.
Pasqualina, felice, uscì dal recinto, si levò le scarpette, il collettino, il fiocco dalla coda e se ne andò a scorazzare per conto suo fra le erbe alte, sotto gli alberi carichi di frutti succulenti, e a sguazzare nelle belle pozzanghere di fango.
Dal recinto, le altre elefantine la guardavano: il primo giorno spaventate, il secondo giorno preoccupate, il terzo giorno perplesse, il quarto giorno invidiose. Il quinto giorno le più coraggiose incominciarono a uscire dal recinto ad una ad una. Attorno al giardinetto di peonie ed anemoni, le scarpette, i fiocchi, i collettini si ammucchiarono abbandonati.
Nessuna elefantina, dopo aver provato l’erba verde, le docce fresche, i frutti dolcissimi, i giochi spensierati e le sieste all’ombra dei begli alberi frondosi, volle più in vita sua vedere una scarpetta, né mangiare una peonia, né entrare in un recinto.
Da quell’epoca ormai lontana, riesce difficile a chi guardi giocare i piccoli di quella tribù, decidere quali sono le elefantine e quali gli elefantini.

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