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Eutanasia e fine vita: l’urgenza di educare e di fare scelte a difesa dei malati

Autore:
Tanduo, Luca e Paolo
Fonte:
CulturaCattolica.it
Benedetto XVI in occasione dell’Angelus in piazza San Pietro il 4 febbraio 2007 ha detto: “Facendo eco ai Pastori della Chiesa in Italia, invito a non cadere nell’inganno di pensare di poter disporre della vita fino a legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà”.

Oggi al centro dell’attenzione mediatica (e non solo) c’è il tema dell’eutanasia: si cerca di imporre una concezione di “qualità della vita” che risponde ad alcuni criteri che ne certificano la dignità. Verrebbe da domandarsi chi fissa questi criteri e se prima o poi anche noi ne saremo esclusi.
La libertà è un diritto, ma nella scala dei diritti il diritto alla vita è prioritario; senza il diritto alla vita non si può esprimere neanche quello della libera scelta. La dignità dell’uomo è insita nell’essere umano in quanto tale, e quindi il diritto alla vita deve semplicemente essere riconosciuto dallo stato in quanto elemento di quei diritti che fanno parte della natura dell’uomo.
Si sottolinea l’autodeterminazione del malato, ma perché non mettere al centro invece quella che è chiamata l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, già regolata dalla pratica quotidiana e dal codice deontologico? Perché si cerca sempre di porre le questioni senza tener conto delle relazioni interpersonali e soprattutto delle relazioni affettive? Luciano Ligabue in una sua canzone dice: “L’amore conta, l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”. Il problema di fondo infatti rimane l’incontro tra la volontà del paziente e il dovere del medico di salvare e difendere la vita. Non si può paragonare un trattamento futile o sproporzionato, che è giusto poter rifiutare, ad un intervento salva-vita. Benedetto XVI in occasione dell’Angelus in piazza San Pietro il 4 febbraio 2007 ha detto: “Facendo eco ai Pastori della Chiesa in Italia, invito a non cadere nell’inganno di pensare di poter disporre della vita fino a legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà“. Rivolgendosi alle migliaia di fedeli riuniti a piazza San Pietro per la XXXI giornata per la vita, il Pontefice ha sottolineato la necessità “di dire con chiarezza […] che l’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo”.”La vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano“. E questo in un tempo in cui si fa tanta propaganda sulla libertà di lasciarsi morire, e sul desiderio di morte dei malati. Diamo un messaggio di speranza invece di diffondere solo timori, ribadiamo che la vita ha un significato e va vissuta anche quando c’è la sofferenza, come dimostrano le testimonianze dei malati anche gravi, come ad esempio il dott. Melazzini o le esperienze degli Hospice e dei servizi di cure palliative. L’uomo è chiamato a vivere non da solo ma in relazione con gli altri. Non riduciamo la vita ad un concetto utilitaristico e di efficientismo. Si continuano a sottolineare le fatiche e le sofferenze che impediscono di scegliere la vita, allora per una volta vorremmo invece sottolineare che è un dovere di tutti impegnarsi per aiutare le persone che soffrono e le loro famiglie: per eliminare le sofferenze non si può eliminare il sofferente.
Prima della sentenza della corte d’Appello di Milano che ha permesso la morte di Eluana Englaro non era necessaria una legge, e molti timori c’erano e ci sono in merito ad una legge sul fine vita, ma come aveva ricordato nel suo intervento presso la Cei il cardinale Bagnasco, bisognava prendere atto del nuovo contesto dopo la sentenza su Eluana. Una parte della magistratura ha scavalcato il diritto, norme costituzionali e codice di deontologia medica, posti a difesa dell’inviolabilità e indisponibilità della vita umana. Nella legge è necessario riaffermare l’importanza del rapporto fiduciario tra malato e medico, il dovere di curare, il divieto di richieste con finalità eutanasiche, come l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione; si escluderanno richieste in contraddizione con le norme di buona pratica clinica, o che pretendano di imporre al medico pratiche per lui inaccettabili in scienza e coscienza; le dichiarazioni non potranno mai essere vincolanti per il medico. L’introduzione delle DAT, pur non essendo dal punto di vista etico corretta, può essere accettata se, come nel testo Calabrò, non sarà vincolante per il medico e limitata ad alcuni casi, richiederà scadenze temporali molto brevi e sottoscrivibili solo con l’ausilio di una commissione medica e l’esclusione di qualsiasi tipo di abbandono terapeutico in senso eutanasico. Questo potrebbe essere un compromesso che ne limita nei fatti l’uso e l’abuso.
La richiesta di inequivocabilità tutela il malato contro l’arbitrarietà di tutori e giudici, oltre a richiedere la verifica che le dichiarazioni espresse siano attuali ed efficaci. La legge attesa vieterà l’eutanasia.
Il caso Eluana è stata l’ennesima occasione per attaccare la Chiesa, ma quando la Chiesa dichiara che il rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni persona innocente - dal concepimento alla sua morte naturale - è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile, essa vuole semplicemente promuovere uno Stato che riconosca come suo primario dovere la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole.
E’ urgente un impegno educativo e di formazione, sono ancora oggi attuali le parole di Giovanni Paolo II nell’“Evangelium Vitae“ (EV n. 95): “Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita“.
Noi continueremo a dire no alla cultura della morte e sì alla vita.
La gravità della morte per eutanasia di Eluana riguarda tutta la società italiana, perché è un’azione che va contro la nostra cultura e la nostra civiltà. “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana“ (Spe Salvin. 38).
Diventa urgente e prioritario l’aspetto educativo, senza contrapporre la carità materiale alla carità intellettuale è però necessario, per agire nelle coscienze degli uomini, scegliere strategicamente un progetto culturale che sappia far riscoprire chi è l’uomo, e sia rivolto a tutti facendo un appello alla ragione, come ha fatto il Movimento per la Vita.
Bisogna puntare a costruire modelli di vita e di scelta che mettano l’uomo al centro, dobbiamo tornare alla centralità dei diritti personali, rispetto alla richiesta di diritti libertari svincolati da ogni responsabilità. L’urgenza è creare una cultura della vita. Oggi, in particolare i cristiani, ma non solo loro, hanno il dovere di informarsi e conoscere i temi della bioetica, della vita e della famiglia. Non possiamo farci condizionare da una disinformazione, che punta solo a falsi sentimenti e alla assolutizzazione della libertà sganciata da ogni responsabilità, ed ad un esasperato individualismo.

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