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“La masseria delle allodole” di Antonia Arslan 7 – Deportazione e fuga

Fonte:
CulturaCattolica.it
Quindi ha inizio la seconda parte del romanzo, occupata dalla descrizione della deportazione forzata di donne e bambini, laceri ed affamati, obbligati all’isolamento totale rispetto alle popolazioni dei territori attraversati, quasi fossero appestati, colpevoli da rifuggire e temere.

”E così, ora dopo ora, giorno dopo giorno, si attuò la maledizione degli armeni, anche per le donne, i vecchi, i bambini della piccola città. Ogni giorno portò il suo orrore quotidiano, e ogni giorno la pena si accrebbe per i sopravvissuti, che si trascinavano avanti passo dopo passo, sempre più miserabili, sempre più macilenti, affrontando ogni giorno la loro morte quotidiana”. (op. cit., pag.148)

La moglie di Sempad, Shushanig, nel suo viaggio verso la morte protegge e difende ogni giorno i suoi figli, dei quali uno è un maschietto celato sotto vesti di bambina e aiuta e incoraggia chi le è vicino ammalato e sofferente. Azniv con la sua giovinezza e forza veglia su tutto il gruppo e accetta di prostituirsi alle guardie per soccorrere i suoi col cibo guadagnato in cambio, e mantenere in vita i suoi cari.

L’Arslan ha dato grande rilievo a queste figure femminili “umiliate e offese”, ricordando attraverso di loro tutte le vittime del “Metz Yeghern”, del “Grande Male”, come lo definiscono gli Armeni, e coloro che nel sacrificio quotidiano di sé durante le deportazioni hanno continuato a lottare per trovare un po’ di cibo, qualche seme o radice da donare agli altri, senza lasciarsi vincere dalla disperazione.

Non visti intanto, la fedele Ismene, la zingara lamentatrice sempre accolta nella casa degli Avakian con rispetto e amore nei giorni felici, si è messa sulle tracce delle donne e dei bambini che stanno percorrendo “la via dolorosa”, come la definisce l’Autrice.
Con l’aiuto di Nazim, il mendicante turco, riesce a raggiungere il convoglio, a soccorrere pietosamente i sopravvissuti, e a preparare con l’aiuto di un fratello di Sempad e Yerwant, la rocambolesca fuga di Shushanig, di Azniv e dei bambini, su una carrozza, prima che entrino nel deserto.
In pagine di grande suspence, il piano è organizzato con l’intervento della Confraternita dei Mendicanti e di altri personaggi che vengono commossi e coinvolti dalla audacia della zingara e del mendicante, pronti a sacrificare la propria vita per aiutare i prigionieri.
Tutto si sta realizzando, ma gli zaptiè, le guardie turche, si insospettiscono della carrozza del consolato penetrata nel campo con un sotterfugio e vogliono perquisirla.
A questo punto Azniv intuisce la pericolosità della situazione e portando a compimento il suo destino di vittima sacrificale, si erge fiera in mezzo al campo e intona un canto di sfida ai carnefici, provocando la sollevazione, le urla e la rabbia delle donne prigioniere. Le guardie si distraggono e accorrono tutte verso di lei. Un colpo di sciabola mozza la testa della giovane e tutto il campo ripiomba nel silenzio, ma intanto la carrozza porta in salvo nel sottofondo costruito apposta, Shushanig e i bambini, che vivranno poi nascosti, ad Aleppo in attesa dell’imbarco per l’Italia.

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