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“Diario clandestino” 3 – La resistenza nel lager

Fonte:
CulturaCattolica.it

Che cosa comportò dunque per Guareschi e compagni di Lager la scelta fatta che li portò a far parte dei cosiddetti IMI (più di 600.000 militari, 40.000 circa ufficiali)?
Ce ne dà un’idea eloquente lo stesso Guareschi ancora nelle suddette “Istruzioni per l’uso” (pp. XII-XIII):

Ci stivarono in carri bestiame e ci scaricarono, dopo averci depredati di tutto, fra i pidocchi e le cimici di lugubri campi (…) Il mondo ci dimenticò.
La Croce Rossa Internazionale non poté interessarsi di noi perché la nostra qualifica di Internati Militari era nuova e non contemplata. (…)
La Patria si affacciava ogni tanto alla siepe di filo spinato ed era vestita da generale: ma sempre veniva a dirci le solite cose: che il dovere e l’onore e la verità e il giusto erano non nella volontaria prigionia, ma in Italia dove petti italiani aspettavano le scariche dei nostri fucili.
Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà.
Sorsero i giornali parlati, le conferenze, la chiesa, l’università, il teatro, i concerti, le mostre d’arte, lo sport, l’artigianato, le assemblee regionali, i servizi, la borsa, gli annunci economici, la biblioteca, i centro radio, il commercio, l’industria.(…)


In questo contesto Guareschi fu dunque un segno forte di resistenza e di libertà per tutti, come ci documenta in particolare un capitolo del prezioso volume pubblicato recentemente da Luca Frigerio (Noi nei Lager, Paoline 2008), volume che raccoglie testimonianze di
una delle pagine più straordinarie, eppure meno note, della storia italiana del XX secolo: quella degli oltre 600.000 militari che volontariamente, consapevolmente, a costo di indicibili tormenti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 scelsero la prigionia nei lager nazisti pur di non proseguire la guerra dalla parte di Hitler e Mussolini. Ma chi erano questi uomini (…)? “ Per la monarchia eravamo i testimoni scomodi dell’8 settembre. Per i fascisti eravamo dei traditori. Per i partigiani eravamo i relitti di un esercito monarchico compromesso dalle guerre fasciste o, nel migliore dei casi, gli imbarazzanti concorrenti di ‘un’altra resistenza’” spiega un ufficiale ex internato…” (dalla quarta di copertina)

Dal XVII capitolo di questo libro, dedicato alla “Resistenza nei lager di Giovannino Guareschi nel ricordo dei figli Carlotta e Alberto” riportiamo questi giudizi raccolti da Luca Frigerio:

Infaticabile, coinvolgente, impressionante, geniale, imprevedibile: ognuno degli internati che l’ha conosciuto (…) ha portato dentro di sé in tutti questi anni un ricordo indelebile e immancabilmente affettuoso, del grande scrittore e umorista.(…) Il fatto è che Guareschi è riuscito a dare una speranza, e a volte perfino una ragione di vita, a uomini rinchiusi tra i reticolati, divorati dalla fame e mangiati dai pidocchi. (…) Se qualcuno dei nostri soldati ce l’ha fatta a tornare, nonostante tutto, è merito anche di chi, in quei lager, non si è arreso alla disperazione, offrendo a tutti una via di fuga, se non altro morale e spirituale. Come Giovannino Guareschi. E altri come lui.” (pp. 215-216)

E tale via di fuga offre Guareschi, internato 6865, girando di baracca in baracca nei Lager, raccontando il suo “Bertoldo chiacchierato e sonorizzato in edizione per gli italiani all’estero“ (!) (il vero “Bertoldo” di cui era stato redattore-capo a Milano intanto era stato chiuso dopo l‘armistizio). L’amico Arturo Coppola, internato 5933, buon musicista, mette in musica i testi e li accompagna con la fisarmonica (cfr. in Diario clandestino: Ripasso generale p. 95), Gianrico Tedeschi (che proprio nel lager scoprì la vocazione che lo consacrò poi brillante e affermato attore di prosa) legge poesie (ibidem- Poesia moderna – pp. 96,98) o interpreta testi drammatici o umoristici, Giuseppe Novello, “gentiluomo” di Codogno, pittore, capitano del Quinto Alpini, già scampato agli orrori della ritirata russa, intona in falsetto le romanze che aveva imparato alla Scala o al teatro di Codogno, (Diario clandestino– Il ritratto – p.73), il tenente Roberto Rebora, nipote del più noto Clemente, scrive e legge sue poesie (ibidem – Cronaca preventiva – p. 35 o Il miracolo – p.77)

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