“Diario clandestino” - 1 - “Non muoio neanche se mi ammazzano!”
Il "Diario clandestino" è "...la chiave per entrare nel mondo di Guareschi, che non è fatto solo di don Camillo...". Questa un'inedita e autorevole testimonianza di Alberto e Carlotta, figli dell'Autore.- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Giovannino Guareschi, giornalista, scrittore umorista, disegnatore, vignettista… 20 milioni di libri in 80 lingue; 100 milioni di lettori in tutto il mondo, eppure tanta solitudine culturale e istituzionale al momento della sua morte…
Perché ci interessa?
Innanzitutto concordiamo col giudizio che diede di lui Montanelli :
”La storia del XX secolo la si può fare senza chiunque altro ma non senza Guareschi”.
Ma soprattutto ci interessa la sua storia, di uomo e di scrittore, la storia di un uomo libero, mai disposto a compromessi, perché convinto di non dover render conto allo sguardo degli uomini, ma solo al “Padre Eterno”.
E questa libertà, spesso pagata molto cara,sembra trovare il suo manifesto proprio nelle pagine del "Diario clandestino".
Eppure, anche a detta anche dei figli, “Diario clandestino”è forse il libro meno conosciuto di Guareschi.
Ed è invece un libro che val la pena di conoscere e far conoscere, perché delineando in modo inequivocabile la personalità dell’autore, permette di incontrare un modo “libero” di affrontare una delle pagine più complesse e più tragiche della storia italiana (e non solo…) del ‘900:
l’internamento nei lager tedeschi in Polonia e Germania dal ’43 al ’45 dei cosiddetti IMI (Internati Militari Italiani) di cui fece parte appunto lo stesso Guareschi.
Nel "Diario clandestino" infatti egli si fa portavoce di tutto un coro di internati nei Lager tedeschi, che in lui, nella sua inesauribile vena umoristico/satirica, nella determinazione del suo motto “non muoio neanche se mi ammazzano” diede un esempio di libertà in un luogo che della libertà era la negazione, di attaccamento alla vita nonostante tutto e quindi di speranza per tutti.
«Non muoio neanche se mi ammazzano!»
Questo è infatti il famoso motto che Giovannino Guareschi coniò appena arrivato a Czestochowa, quando, sotto gli occhi delle guardie naziste, un bambino corse via dalla madre per porgere all'Internato militare italiano numero 6865 una mela.
«Sulla corteccia rossa e lucida della mela vedo l'impronta dei dentini del bimbo e penso a mio figlio», scrive Guareschi. « Lo zaino non mi pesa più, mi sento fortissimo. Lo debbo rivedere, il mio bambino: il primo dovere di un padre è quello di non lasciare orfani i suoi figli. Lo rivedrò. Non muoio neanche se mi ammazzano!». (da “Chi sogna nuovi gerani? Autobiografia” pubblicata postuma a cura dei figli nel ’93)
Non morì probabilmente perché non lo ammazzarono, ma soprattutto non morì dentro e questo libro ne è la testimonianza.
Basti citare a questo proposito il famosissimo brano intitolato
“Signora Germania”, nato nella Baracca 18 del Lager di Beniaminowo all’inizio del ’44.
“Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca.
E’ inutile, signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi.
E questo è niente ancora, signora Germania:perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti.
Signora Germania, tu frughi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. E’ inutile, signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece sono lì nascosti documenti d’importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire.
E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c’è anche una grande carta topografica al 25.000 nel quale è segnato, con estrema precisione, il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina.
Signora Germania, tu ti inquieti con me, ma è inutile. Perché il giorno in cui, presa dall’ira, farai baccano con qualcuna delle tue mille macchine e mi distenderai sulla terra, vedrai che dal mio corpo immobile si alzerà un altro me stesso, più bello del primo. E non potrai mettergli un piastrino al collo perché volerà via, oltre il reticolato, e chi s’è visto s’è visto.
L’uomo è fatto così, signora Germania: di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n’è un altro e lo comanda soltanto il Padre Eterno.
E questa è la fregatura per te, signora Germania.” (pp.45-46)
Dalla stessa baracca 18 dello stesso Lager tedesco, Giovannino ci dà notizia anche della nascita del suo nuovo ritratto insignito di un paio di gloriosi baffi che, come afferma l’amico Torelli, “erano e furono Guareschi stesso, un autoritratto motivato” (da Giorgio Torelli – I baffi di Guareschi. Ritratto a mano libera dell’inventore di don Camillo. Ed.Ancora, 2006),tanto da coincidere con la sua pittoresca firma:
“Costretto per due mesi nel Lager a non potermi radere e guardandomi alla fine in uno specchio, scopro di possedere una pessima barba da venditore ambulante e due ottimi baffi da “Romanzo di un giovane povero”. Detestando il vagabondaggio e adorando tutto ciò che è romantico, elimino – appena possibile – la barba e mi tengo i baffi curandoli con amore perché, mentre senza i baffi mi detestavo, con i baffi mi sono simpatico… Me li sono guadagnati onorevolmente e ho il diritto di portarli a naso alto” (da “Chi sogna nuovi gerani?” p.231).