Parte prima: i nipoti di Frankenstein
Dopo il post-cristiano e il post-moderno, avremo dunque anche il post-umano?- Autore:
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Sweeney era un Uomo Condizionato. Il sangue che gli scorreva nelle vene era ammoniaca liquida; le sue ossa erano fatte di Ghiaccio IV, il suo sistema respiratorio si basava su un complesso ciclo idrogeno-metano... Se fosse stato necessario, Sweeney avrebbe potuto resistere per settimane a una dieta di roccia in polvere". (J. Blish, Il seme tra le stelle).
Dopo il post-cristiano e il post-moderno, avremo dunque anche il post-umano?
Non è più solo questione di pecora Dolly o di toro Galileo: le cronache contemporanee riferiscono di chimere in cui entra il patrimonio genetico umano, di ibridi uomo-coniglio, di clonazioni umane già in atto ad opera di sette stravaganti quanto minacciose… Del resto Mons. Ersilio Tonini l'aveva già affermato e ripetuto in modo perentorio: la questione della salvaguardia dell'umano - proprio in senso naturale, biologico prima che esistenziale e spirituale - è uno dei crinali vertiginosi del XXI secolo.
Prevedere quanto potrà succedere è arduo, ma, come sempre, la letteratura fantascientifica, che di proiezioni ed estrapolazioni è maestra indiscussa, ha affrontato questi argomenti con largo anticipo. Anche la manipolazione della vita umana costituisce infatti un ampio capitolo della Science Fiction: un capitolo, come l'argomento richiede, non consolatorio né evasivo; un sentiero del futuribile che si avventura tra scenari d'incubo.
In generale sono gli inizi ad illuminare gli sviluppi successivi; e qui gli inizi della tematica coincidono addirittura con la nascita del nuovo genere letterario: per molti infatti la Fantascienza nasce proprio sul tavolo anatomico del Dottor Frankenstein, che giustappone membra ed organi umani nel tentativo blasfemo di imitare il Creatore. Mary Shelley, che scrive all'inizio dell'Ottocento questo romanzo gotico-fantastico, aggiunge un significativo sottotitolo: "Frankenstein, ovvero Il Prometeo moderno".
Ponendo all'imbocco del cammino l'ombra del Titano ribelle, la Fantascienza delinea con nettezza le forze in campo: Dio, l'uomo, il mistero della Creazione: ogni storia successiva ne sarà segnata. Il finale tragico è inevitabile: il mostro si ribella al suo costruttore e lo distrugge, facendosi così quasi strumento della nemesi divina per la violazione dell'ordine naturale.
Nella seconda metà dell'Ottocento, le teorie darwiniane portano nuova esca al fuoco della speculazione fantastica: in tal modo le implicazioni emotive ed etiche dell'ipotesi evoluzionistica entrano massicciamente a far parte del corredo fantascientifico.
Il proposito prometeico di Frankenstein assume una sfumatura positivistica: non si tratta più di creare la vita, ma di forzare l'evoluzione, gettandosi in un gioco dissennato di trasformazioni e di ibridazioni. Il risultato è "L'isola del Dottor Moreau" di H.G. Wells: un angoscioso laboratorio che sembra trapiantato di peso da un lager nazista. L'ignaro naufrago Prendick, approdato per caso in questo museo degli orrori, scopre pian piano la verità: Moreau si diletta, tramite tecniche di vivisezione e altre diavolerie da lui inventate, a trasformare gli animali in uomini, lasciandoli poi liberi per l'isola quali assurde caricature del "re del creato". Moreau gioca con la Creazione: "Io - confessa - ho voluto soltanto scoprire l'estremo limite di plasticità di una forma vivente". D'altra parte, se l'uomo è solo un animale più evoluto, trasformare gli animali in uomini o viceversa non è un'impossibilità metafisica, ma solo un problema tecnico.
Tuttavia anche Moreau fa una brutta fine: viene dilaniato dalla donna-puma, mentre la sua isola precipita nella degenerazione e nel caos, e i mostri semiumani tornano alla loro bestialità primitiva sotto gli occhi esterrefatti di Prendick.
La scoperta del DNA e le nuove frontiere della genetica introducono variazioni sul tema fantascientifico della creazione in vitro della vita, ma le coordinate restano le stesse: la sfida al Creatore, la "moralità" dello scienziato.
Lo esplicita in maniera inequivocabile, quasi didascalica, il lungo racconto "La formula dell'immortalità" del russo A. Dneprov. Il giovane scienziato Albert Olfry, figlio di un famoso genetista, scopre che gli studi del padre sono approdati alla creazione artificiale della vita, nel desiderio di decifrare una volta per tutte "la formula dell'uomo", in modo da rendere immortale la razza umana. Albert con raccapriccio viene a sapere di essere figlio di una donna artificiale; come se non bastasse, anche la ragazza di cui è innamorato risulta la sesta variante del progetto.
In un raptus omicida Albert uccide allora lo scienziato collega del padre, che ha continuato gli esperimenti contro il parere del vecchio genetista.
"La formula dell'immortalità" inchioda con spietata lucidità gli scienziati alle loro responsabilità, e mette a fuoco la condizione dell'uomo futuro, figlio della provetta: "La vita - afferma Albert - perderà per l'uomo ogni fascino, tutta la sua indicibile bellezza. Gli uomini si troveranno di fronte a se stessi e agli altri privi di qualsiasi protezione, come figure anatomiche, anzi, peggio, come recipienti impastati di fasci di molecole di albume di struttura nota, in cui si svolgono reazioni biochimiche note e processi biofisici noti".
"Temo - è sempre Albert che parla - che presto scomparirà l'emozione dei genitori che attendono un figlio, perché i bambini verranno coltivati in matracci su un programma prestabilito..."
Antichi sogni e recenti velleità (l'immortalità, il padroneggiare la vita, lo scegliere il sesso o i caratteri del nascituro) vengono messi a confronto col mistero dell'uomo, e si rivelano per quel che sono: deliri velenosi d'onnipotenza, destinati a ritorcersi contro l'uomo stesso. Il Potere infatti è sempre in agguato, e con esso la scienza deve fare i conti.