“L’isola del Dottor Moreau” 6 - Le ambiguità di Wells

Wells, anche per bocca del suo alter ego Prendick, si mantiene in una posizione spesso ambigua, a metà tra il raccapriccio e l’ammirazione affascinata.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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A questo punto ci possiamo chiedere: dato che H. G. Wells ci presenta una situazione horror, dato che (come avviene nel “Frankenstein” di Mary Shelley) fa perire lo “scienziato pazzo” ad opera della donna-puma (si tratta infatti di una femmina, come ha acutamente notato C. Pagetti nella citata Introduzione), siamo in presenza di una severa denuncia morale sui danni prodotti dalla scienza senza freni? Ossia, dell’ennesima conferma del fatto che “Il sonno della ragione genera mostri” (F. Goya)? Certamente sì, ma non in modo così preciso e deciso come potrebbe sembrare. Wells infatti, anche per bocca del suo alter ego Prendick, si mantiene in una posizione spesso ambigua, a metà tra il raccapriccio e l’ammirazione affascinata.
Moreau - capelli bianchi, statura imponente, occhi scintillanti, solo due pieghe amare agli angoli della bocca - si presenta come una persona terribilmente normale, anzi serena e tranquilla: “Per la sua calma, per la bellezza che spirava dal suo volto sereno, per la stessa struttura fisica, avrebbe potuto ben figurare fra un centinaio di vecchi gentiluomini” (8). Quando Prendick riesce a rammentare il nome di Moreau con tutto quello che gli era legato già in patria (“gli orrori di Moreau”, i suoi esperimenti sulla vivisezione) commenta così l’ostracismo dato allo scienziato dal mondo scientifico: “In poche parole il dottore fu cacciato dal paese, fra l’indignazione generale. Forse lo meritava, ma, anche adesso(corsivo nostro), trovo vergognoso il tepido appoggio che gli diedero i suoi colleghi e il fatto che la maggioranza degli scienziati lo abbandonò. Certo alcuni dei suoi esperimenti, secondo la relazione del giornalista, erano di una crudeltà fine a se stessa...” (9) Anche adesso: Prendick scrive le sue memorie dopo essere tornato in Inghilterra, ha già visto gli orrori dell’isola, è passato per l’inferno degli esperimenti allucinanti, eppure lo spirito di corporazione e una segreta ammirazione per Moreau lo trattiene dall’esprimere un giudizio netto.
Pur con questa ambivalenza, Moreau è sicuramente tra i prototipi dei “mad scientists”, gli scienziati pazzi: nel dibattito di fine Ottocento sull’evoluzionismo darwiniano (che, come afferma C. Pagetti, vedeva in campo due problematiche con svariate posizioni: se l’evoluzione fosse prevalentemente dovuta a fattori naturali oppure culturali; se il termine ultimo dell’evoluzione fosse un peggioramento o un miglioramento della razza umana), H. G. Wells motiva tutta la propria preoccupazione propendendo per le prime ipotesi: non si può forzare l’evoluzione, che porterà comunque a una degenerazione dell’umanità. Questa parola: “degenerazione” è un po’ il leit-motiv della parte finale del romanzo, nella quale gli Uomini-bestia tornano lentamente ed inesorabilmente al proprio stato animalesco. E nel suo primo romanzo, “La macchina del tempo” (1895), Wells immagina il crononauta giungere sull’estrema spiaggia della storia, dove solo un piccolo essere tentacolato è ciò che resta della lussureggiante vita sulla Terra ormai morente.

NOTE

8. Herbert George Wells, L’isola del Dottor Moreau, in “La macchina del tempo e altre avventure di fantascienza”, Mursia 1966-80 (Volume II de “Le opere narrative di H. G. Wells”), pag. 322.
9. Id. Ibid, pag. 291.