Macbeth 6 - Il delitto non paga mai

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Come dice infatti C. Bradley: “(Shakespeare) possedeva un vivo e serio senso della coscienza, della pena del rimprovero e della condanna interiori, e anche il tormento cui questa pena può elevarsi… Non era affatto disposto a considerare la coscienza come qualcosa di illusorio, ma la pensava connessa al potere che regola il mondo, a cui l’uomo non può sfuggire” (7) e ancora: “Nella tragedia shakespeariana il movente principale del rivolgimento che produce sofferenza e morte non è mai il bene. Il movente principale, invece, è in tutti i casi il male, e il male nel senso più pieno, palese male morale... Quando il male che è in lui(nel personaggio) domina sul bene ed ha libero corso, esso distrugge per mezzo suo altre persone, ma distrugge anche lui”
(8)
Personaggi come Macbeth, Jago, Riccardo III realizzano i loro malvagi progetti e calcoli che, una volta realizzati, conducono però a risultati opposti a quelli sognati: alla violenza cieca e alla rovina di se stessi.
Giustamente C. Moeller parla apertamente a questo proposito dell’ “aspetto cristiano” presente, se pur ignorato dalla critica, nell’opera del drammaturgo (9).

Macbeth rinnega in piena consapevolezza i richiami della coscienza e la sete di potere lo domina con i suoi fantasmi: le orrende immagini che gli affollano la mente “gli fanno rizzare i capelli” quando medita il regicidio, le sue mani gli appaiono quelle di un “carnefice”, ammette di aver donato al Diavolo “il suo eterno gioiello” cioè la sua coscienza, e alla fine può solo augurarsi che il mondo intero crolli assieme con lui e che la morte, “polverosa”e assurda, come la vita, lo raggiunga.
Quando gli viene annunciato che la regina è morta,afferma:
“Sarebbe dovuta morire, prima o poi sarebbe venuto il momento per una parola siffatta…Spegniti, spegniti breve candela! La vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena e del quale non si ode più nulla: è una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, priva di alcun significato… Comincio ad essere stanco del sole e vorrei che la struttura del mondo rovinasse…Suonate l’allarme! Soffia vento! Vieni naufragio! Almeno morremo con l’armatura indosso” (Atto V, Scena VI, vv. 18-28; 46-52) (10)
Troppo tardi capisce di aver male interpretato le profezie delle tre “Sorelle”, maligne e ingannevoli nelle loro parole.
Soccomberà inevitabilmente quando i soldati di Malcolm si copriranno di frasche, apparendo un bosco in cammino e quando saprà che Macduff è stato strappato dal ventre materno con parto cesareo, e non in modo naturale.

CONCLUSIONE
Il disegno buono inscritto nell’universo e la convivenza fondata sull’aiuto divino e sui valori della giustizia e della bontà possono riaffermarsi nei drammi shakespeariani solo quando le forze delle tenebre sono vinte e i loro artefici sono scomparsi dalla scena teatrale e dal mondo.
Dopo l’ultima battaglia e l’uccisione dell’usurpatore, il legittimo erede al trono di Scozia, Malcolm, viene salutato come nuovo re dai suoi fedeli e sue sono le battute conclusive del dramma, che annunciano l’ordine ristabilito e la promessa di agire bene, con l’aiuto di Dio, nei giorni futuri:
“Il mondo è libero, quant’altro sarà necessario, compiremo a tempo e a luogo debito, con l’aiuto della Grazia”.

NOTE
7) C. Bradley, La tragedia di Shakespeare, Il Saggiatore, pag. 548.
8) idem, pagg. 38,39.
9) C. Moeller, op. cit., pag.77.
10) “L’assurdo (cui perviene Macbeth) non è per Shakespeare una via d’uscita metafisica. L’assurdo è un’allegoria dell’inferno” N. Fusini, op. cit., pag. 248