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"Un altare per la madre" 2 - Un'umile donna del mondo contadino

Fonte:
CulturaCattolica.it

Un altare per la madre, insieme a Il quinto stato e La vita eterna, furono infatti raccolti nel “ciclo degli ultimi” in quanto legati appunto alla fine della civiltà contadina, fine già considerata da Charles Péguy “il più importante avvenimento della storia, dopo la nascita di Cristo”.

E anche la madre dello scrittore è una di questi “ultimi”, come bene leggiamo dalle parole di Mario Pomilio:
«Qui non sono più, come in Foscolo, i "forti" o i "prenci" a farla da protagonisti, lo è un'umile donna espressa dal mondo contadino, un'"ultima" appunto, qualcuna che non viene dalle pagine dei classici, viene dritta dai Vangeli; e questo ci aiuta a capire come mai, pur nascendo da diversi cieli e pur tra tante differenze, la protagonista del libro di Camon ci appaia, ad esempio, sorella della Diodata del Mastro don Gesualdo; ma soprattutto ci guida, per sentieri tolstoiani, sulle tracce d'un'altra indimenticabile creatura anch'essa di matrici contadine e cristiane, quella Matrjona di cui Solzenitsyn scrive, a conclusione del suo racconto: "Le eravamo vissuti tutti accanto e non avevamo compreso che lei era il Giusto senza il quale, come dice il proverbio, non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra". È un racconto non solo bello e forse perfetto questo di Camon, ma dei più altamente religiosi che io abbia letti negli ultimi tempi».

Ben pochi sono però i tratti della madre che lo scrittore ci fornisce nel suo racconto, che inizia proprio nel momento in cui la bara viene portata al cimitero del paese:
La bara avanzava ondeggiando. Io pensavo a mia madre, mi sembrava giusto che la bara ondeggiasse: mia madre non aveva mai avuto un’andatura dritta, era sempre piuttosto stanca, parlava poco mentre lavorava e ogni tanto smetteva per andarsi a sedere sotto le vigne, all’ombra, senza fiatare, chinando la testa. Così rannicchiata, pregava in silenzio” (p. 8)
Un angolo della credenza era sempre occupato dagli avanzi messi via da lei: quando qualche bambino aveva fame, lei apriva lo sportello e mostrava con un sorriso quegli avanzi, secchi e duri (…) Risparmiava su tutto” (pp. 8-9)
Aveva mani quadrate, grosse, con la pelle rossa screpolata sul dorso, dura e spaccata sul palmo in grossi crepi.” (p. 42)
Da marzo a settembre camminava scalza. Aveva la pelle sotto i piedi spessa e dura come cuoio…” (p. 48)
Quando nostro padre era soldato, alla sera ci sentivamo soli. Dopo cena lei ci radunava attorno al focolare e ci raccontava quel che sapeva.(…) Erano per lo più storie di santi. Aveva un modo rozzo, popolaresco, ma potente, di inventare e di raccontare. Si aiutava con la mano destra, con dei gesti ieratici come quelli del prete quando spiegava il vangelo. (…) ‘Stassera’ e alzava la mano destra con l’indice teso, poi l’abbassava ‘Ve parlarò,’ rialzava e riabbassava la mano destra, ‘de santa Teresa’, restava con la mano alzata e l’indice in su. Si faceva un gran silenzio” (p. 49)

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