Condividi:

"Un altare per la madre" di Ferdinando Camon 1 - Epigrafe per la madre morta

Fonte:
CulturaCattolica.it
Nota: le citazioni delle pagine si riferiscono all’edizione Garzanti - Gli elefanti - 1985

Ecco un romanzo di piccole dimensioni (“un libro breve” lo definisce lo stesso Autore “perché in fondo non è che un’epigrafe” p.78), ma di straordinario valore.

Oggi poco conosciuto, “Un altare per la madre”, pubblicato nel 1978, ricevette in quell’anno il premio Strega e una serie di giudizi entusiasti della critica.
Per quanto mi riguarda, mi è capitato fra le mani qualche anno fa per uno di quei casi tanto fortuiti quanto provvidenziali e da quel momento non l’ho più abbandonato…

Prendiamo in considerazione il titolo: la madre rimanda a un tema ampiamente presente nella letteratura del ‘900 .
Basti pensare, nella poesia, a Saba, Ungaretti, Montale, Caproni, ma anche Luzi, Pasolini…

Quanto alla prosa, mi piace ricordare uno struggente racconto di Dino Buzzati che conclude la Boutique del mistero: I due autisti.
Lungo l’autostrada che lo scrittore sta percorrendo dietro il furgone scuro che conduce le spoglie della madre al cimitero di Belluno, egli, ritornando con la memoria al suo intenso, anche se spesso contraddittorio rapporto avuto con lei, si pone una domanda drammatica:

Niente? Proprio niente rimane. Di mia mamma non esiste
più nulla
?”

Mi piace ora in qualche modo collegare a questo grido di Buzzati il significato del titolo del romanzo di Camon.
Dal termine altare si intuisce infatti che l’intento dello scrittore è quello di salvare il ricordo della madre, per permetterle di “smettere di morire”.
E ciò avverrà attraverso una specie di canonizzazione fatta dalla famiglia: dal padre, con un altare fatto di materiali umili ma preziosi perché donati da tutti i compaesani; dal figlio scrittore, con un altare fatto di parole:
io vorrei pregarla di smettere di morire (…) tocca a noi rimediare, richiamarla in vita, non rassegnarci…” (p. 37)

Non basterà infatti la ricerca di fotografie che conservino nella memoria il volto della madre. Lei è sempre stata schiva e non è facile trovare una sua foto:

non solo le foto erano piccole, ma le figure - ora c’era mia madre da sola, ora c’era tutta la famiglia - erano molto lontane, poco riconoscibili. Mia madre era sempre l’ultima, a destra o a sinistra, come se si fosse accostata al gruppo timidamente, e in un certo senso continuando a restarne fuori, in disparte. Esserci, ma non disturbare.” (p.17)

Nel romanzo, che è poi un lungo flash-back dell’io narrante, incomincia a delinearsi così il ritratto della madre, parte inscindibile di una civiltà e di una cultura contadina la cui fine Camon identifica con quella della madre e dei valori che essa porta con sé.

Anche a nostra madre avevamo sempre pensato come a qualcosa d’immortale, almeno quanto il mondo: perché quando noi nascevamo, lei faceva parte del mondo, il mondo senza di lei non era immaginabile.
Ora la madre era morta
…” (p.10)

Illustrazione di Chiara Ciceri

Vai a "Contemporanea"