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“Il Visconte dimezzato” di Italo Calvino 6 – Medardo il Buono

Fonte:
CulturaCattolica.it
Calvino ci rivela dunque la possibilità di una diversa lettura del proprio essere dimezzato: per Medardo il Buono le umane mancanze e miserie sono la condizione per avvicinarsi di più agli altri, condividerne ferite e dolori, in una fraternità e compassione altrimenti sconosciute e il dimidiamento può essere vissuto non come condanna e maledizione, ma come dono.

Qualcosa di inspiegabile però un giorno accade a Terralba: “Ora si cominciavano a vedere nel cielo le rondini con le zampine fasciate e legate a stecchi di sostegno, o con le ali incollate o incerottate; c’era tutto uno stormo di rondini così bardate che volavano tutte assieme, come convalescenti e inverosimilmente si diceva che lo stesso Medardo fosse il dottore”.(pag. 71)
La segreta causa di questi contrastanti spettacoli è subito compresa da Pamela, quando, incontrando un giorno il visconte gli osserva attentamente la mano e poco dopo scoppia in una risata e capisce di trovarsi davanti ad un altro uomo: all’altra metà di Medardo, alla “metà buona”.
Non era dunque andata perduta l’altra metà del visconte ma, curata amorevolmente da eremiti, dopo un lungo vagare senza meta aveva trovato la strada di casa, avvicinandosi così al suo doppio.
Generoso e caritatevole, ripara tutto ciò che l’altro sbrana, interviene fra gli Ugonotti per convincerli a lavorare di meno (con la totale disapprovazione del loro capo Ezechiele), spiega a Pietrochiodo come trasformare le forche in complicatissimi e irrealizzabili mulini, fa continue ramanzine ai lebbrosi, distogliendoli dalle loro orge esilaranti quanto peccaminose.
In breve tempo il Buono diventa noioso e insopportabile con la sua fissazione di voler far del bene anche a chi non lo vuole, ed è evitato e temuto come il Gramo.
L’amore accende il cuore di questo nuovo personaggio che così si confida a Pamela: “O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati ovunque…Non io solo Pamela sono un essere spaccato e divelto ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro”. (pag. 74)
Calvino ci rivela dunque la possibilità di una diversa lettura del proprio essere dimezzato: per Medardo il Buono le umane mancanze e miserie sono la condizione per avvicinarsi di più agli altri, condividerne ferite e dolori, in una fraternità e compassione altrimenti sconosciute e il dimidiamento può essere vissuto non come condanna e maledizione, ma come dono.
Lo scrittore mostra di conoscere bene le due radici del cuore dell’uomo e il loro diverso operato e sa che bene e male lottano incessantemente per avere il sopravvento.
Egli però non intende raccontare il cammino di pentimento e di riscatto come aveva fatto Dostoevskij per l’omicida Raskolnikov in “Delitto e castigo” o Stevenson che aveva descritto nel “Dottor Jekyll e Mister Hyde” il lento precipitare del protagonista negli abissi della perdizione, per aver voluto sperimentare su di sé la potenza delle forze del male.
Malvagità e virtù sono viste ne “Il Visconte dimezzato” con gli occhi di un bambino, all’interno di un racconto fantasioso nel quale l’autore vuol rivelare, senza rivelarsi; trasmettere, senza imporre; evocare lasciando libero il lettore di interpretare a sua volta.

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