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Il mio incontro con Carlo Betocchi 3 - "Un passo, un altro passo"

Autore:
Tabanelli, Giorgio
Fonte:
CulturaCattolica.it

Credo sia superfluo motivare le ragioni della devozione dei tanti personaggi citati nei confronti di Carlo Betocchi. Vale a dire, dell’attingere continuo alla sua poesia per ritrovare le ragioni sacre del vivere quotidiano, immersi come siamo nel “disordine”, nella “polvere” e nello “screanzato gridio”. Posso aggiungere che l’incontro con lui e la frequentazione assidua negli ultimi anni della sua esistenza (difficile, penosa, per le condizioni di salute precarie, e triste, per lo stato di solitudine e abbandono in cui ha vissuto) sono stati, almeno per me, vitali in quanto egli ha rivelato a me stesso le ragioni prime dell’umanità e della fraternità che attendevano di essere non solo dichiarate ma anche provocate e smosse. Direi anzi che Betocchi è stato in modo singolare (non soltanto per chi scrive ma anche per moltissime altre persone), una sorta di incarnazione, vivente e presente, della carità cristiana e forse la persona più libera che si potesse conoscere a quel tempo.
Negli ultimi anni, rileggendo la sua opera, che registra fedelmente, come un vero e proprio diario, i passi del suo cammino (“un passo, un altro passo”), ho potuto cogliere con maggiore chiarezza e lucidità il nucleo vivo e pregnante della sua poetica cristiana, la segreta trama drammatica della sua poesia. E’ come se fosse emersa con più forte contrasto di luce quella intensa e profonda linea drammaturgica che connota la sua riflessione poetica scaturita dalla sofferenza: la perdita della bellezza, la decadenza fisica, la vicenda di solitudine, la perdita della compagna di vita, il colloquio con Dio.
Pur nella sofferenza, il poeta accetta il suo destino fino a parlare di “obbedienza alla realtà” alludendo non soltanto alla paziente attenzione al vivere quotidiano ma alle indicazioni provenienti dalla stessa realtà, cui siamo tenuti ad obbedire (…“un passo, un altro passo,/e inciampicando nel divino esistere/io giungo a riconoscermi nel sasso/che sospira all’eterno, in alto e in basso.” ).
Credo che il migliore ritratto di sé e della sua umanità l’abbia tracciato lo stesso poeta come un dono e una ricchezza, una traccia utile per il nostro cammino:

Io fui. Fui come fu il grano
delle battiture; ma non finii
nei sacchi; non mi feci pane,
e non ricchezza: fuor della spiga
io fui come quel dì d’estate
nell’aia, fui il sole, l’aria,
e quella pula del grano battuto:
io non fui che quell’ora, quel
momento, quel sole e la sua danza
nei campi generosi, lievitanti,
e nel lavoro felice dell’uomo.

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