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Il mio incontro con Carlo Betocchi 1 - Unito all'universo

Autore:
Tabanelli, Giorgio
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ricorrono in questi giorni i 25 anni dalla morte di Carlo Betocchi, grande poeta contemporaneo (23 gennaio 1899 - 26 maggio 1986). Il professor Giorgio Tabanelli ci ha inviato questa commossa rievocazione.
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Nel lontano settembre del 1981, ho avuto il privilegio, o per meglio dire “la grazia”, di incontrare Carlo Betocchi, del quale nel ’99 avrei poi curato l’antologia Dal definitivo istante. Stavo allora raccogliendo testimonianze per un libro sull’ermetismo. Il primo incontro avvenne nella sua casa fiorentina in Via Borgo Pinti, rievocata a più riprese dal poeta quale luogo e oggetto costante di riflessione delle sue liriche. Dopo averlo subito provocato in merito alla sua religiosità, le sue prime parole sono state proprio queste: “Appena vedo che io posso andare a Messa e l’altro non lo fa, perché non ha avuto il dono di esser ‘chiamato’, io mi sento negletto, e mi sento fuori posto, mi sento disonesto…La comunione…Spezzare il pane come spezzare te stesso e dar parte di te stesso a chiunque ti circonda. Solo così si può intendere cos’è l’universo. Se non si sposa l’altrui salvezza prima della nostra, prima sempre della nostra, non si fa niente di buono o di utile…”.
E’ stato per me sconvolgente ascoltarlo raccontare l’esperienza di lavoro vissuta come geometra nelle Alpi francesi negli anni in cui si occupava della costruzione di strade e trafori. Quando con la dinamite egli, con la sua squadra di operai, doveva far saltare la roccia, sentiva un grande senso di commozione e di pietà per i sassi che precipitavano non riuscendo “a resistere alla forza di gravità”…C’è una sua espressione memorabile a proposito della carità profonda vissuta nel lavoro (e che ancora oggi mi aiuta e mi sostiene nei momenti difficili): “il lavoro è stato il mio bagno di innocenza”.
A proposito della sua poesia (la sua prima raccolta poetica ha come titolo Realtà vince il sogno, 1932), gli facevo notare che essa nasce sempre dall’osservazione, semplice e diretta, delle cose materiali, degli oggetti, del paesaggio (prima ancora dello sguardo sugli uomini), e lui: “È un atto che corrisponde al mio sentimento fondamentale di fraternità con quanto vedo e mi circonda. Così sento fraternità con l’uomo…L’umanità non può che risolversi in pietà, in azione che risolve questa pietà”.
Abbiamo poi rievocato gli incontri con Pier Paolo Pasolini (di cui ricorrono proprio in questo tempo i 30 anni della morte) e di una sua espressione felice: “Disegnare l’operazione poetica di Betocchi è fare il ritratto di una grazia”. Ed egli, meravigliato e commosso, ha ricordato che quando abitava a Roma spesso riceveva visite dagli amici poeti Caproni e Bertolucci, spesso in compagnia di Pasolini, aggiungendo: “…Era un uomo pieno di tenerezza e di affetti.”
Circa il motivo o l’atteggiamento della pazienza (che è il tema della sua riflessione poetica degli ultimi anni, legato a quello centrale della vecchiaia) mi ha detto: “…Siamo in un universo dove siamo una cosa da nulla. Ci compete proprio la parte dell’aver pazienza.”
E riguardo alla morte, mi ha detto: “L’accolgo con un grande senso di allegria. Non ho altro che un senso di allegria perché mi sento unito all’universo, mi sento cosa dell’universo, polvericolo di strada…Mi è preziosa la morte e la vita mi è preziosa. La vita e la creazione. La creazione! Voglio vivere la creazione perfettamente...Io credo che la morte è un tornare a rivivere. Insomma, io so che debbo aspettare la morte e non posso procurarmela, debbo aspettare perché anche questo sacrificio si vuole da me.
Questa attesa, questa accettazione per essere giusti fino in fondo.”
Sentire un uomo parlare di una cosa orribile come la morte, come di un incontro gioioso, come “promessa di vita” è stato veramente scioccante (fino a quel momento, per quanto mi riguarda, l’avevo vissuta con terrore e timore: “…io son tuo amante, morte, mia morte/ che raccogli la vita tra le braccia e la/ tramandi, dalle sue spoglie grano traendo,/ e vita, nuova vita nel sole dei morti,/ invisibile nella loro pace fruttifera,/ da cui un’altra né mai diversa vita risorge,/nulla finisce, anzi tutto continua, o morte,/ o amata morte, o amata.” pag. 126).
Il colloquio, umano e cordiale, ha poi ricostruito gli anni della sua collaborazione alle riviste della Firenze anni Trenta (“Il Calendario dei pensieri e delle pratiche solari”, “Il Frontespizio”), l’amicizia con i personaggi della sua generazione Piero Bargellini e Nicola Lisi, gli incontri con le figure storiche del giornalismo e della letteratura italiana (Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Eugenio Montale) fino agli incontri con i poeti e i critici della più giovane generazione: Carlo Bo e Mario Luzi.

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