Echi e suggestioni leopardiane ne "Il Gattopardo" 3 - Le creature femminili
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Nelle ultime pagine del romanzo, un grande ballo riunisce a Palermo nel palazzo dei Ponteleone le famiglie nobiliari, liete di festeggiare come ai vecchi tempi l’ordine ristabilito dopo la venuta dei Piemontesi: il nulla mutato dopo che tutto è cambiato. Lo sguardo del Principe si posa sui volti delle donne incipriate e simili a scimmiette, alcune delle quali un tempo sue amanti, sugli uomini estranei e ostili, sulle consunte decorazioni delle sale, dove i fiori avevano perso il loro splendore e i colori bruciati dal tempo gli facevano venire alla mente le stoppie riarse della campagna, e la musica la voce del vento.
Il valzer le cui note traversavano l'aria calda gli sembrava solo una stilizzazione di quell’ incessante passaggio dei venti che arpeggiano il proprio lutto sulle superfici assetate, ieri, oggi, domani, sempre, sempre, sempre…Don Fabrizio sentí spetrarsi il cuore: il suo disgusto cedeva il posto alla compassione per tutti questi effimeri esseri che cercavano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato loro.
Alle sei di mattina la carrozza riporta a casa la famiglia Salina, ma Don Fabrizio preferisce rimanere finalmente solo e rientrare a piedi.
La verità era che voleva attingere un po’ di conforto guardando le stelle. Come sempre il vederle lo rianimò; erano lontane, onnipotenti e nello stesso tempo tanto docili ai suoi calcoli...Da una viuzza traversa intravide la parte orientale del cielo, al di sopra del mare. Venere stava lì, avvolta nel suo turbante di vapori autunnali. Essa era sempre fedele, aspettava sempre Don Fabrizio alle sue uscite mattutine, a Donnafugata prima della caccia, adesso dopo il ballo. Don Fabrizio sospirò. Quando si sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero, lontano dai torsoli e dal sangue, nella propria regione di perenne certezza?
Forse si cela nel silenzioso linguaggio delle stelle quella rivelazione alla quale il cuore del protagonista ha sempre anelato, cercandola, nel trascorrere degli anni, nel bel volto di una donna come nella immensità del cielo scrutato dall’Osservatorio.
E nel ritorno da Napoli infine, minato fisicamente e provato dalle lunghe ore di viaggio, viene portato in un albergo a Palermo, dove le figlie e l’amato nipote Tancredi lo circondano con affetto e apprensione.
Tracciando il bilancio consuntivo della sua esistenza, egli constata che il suo desiderio di felicità si è progressivamente inaridito e voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici. Aveva settantatré anni e pensa: all’ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto un totale di due, tre al massimo. E i dolori, la noia, quanto erano stati? Inutile sforzarsi a contare: tutto il resto….Qualcuno gli teneva il polso: dalla finestra il riflesso spietato del mare lo accecava.. Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora: snella, con un vestito marrone da viaggio ad ampia tournure, con un cappellino di paglia ornato da un velo che non riusciva a nascondere la maliziosa avvenenza del volto. Era lei la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo; strano che così giovane com’era si fosse arresa a lui; l’ora della partenza doveva essere vicina. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma pronta ad essere posseduta, gli apparve più bella di come mai l’avesse intravista negli spazi stellari.
Nelle creature femminili che avevano attraversato la sua vita, anche il Leopardi aveva cercato il riflesso di quella Bellezza ideale che il cuore inesorabilmente gli proponeva. E nel canto Alla sua donna, di lei scrive: Viva mirarti omai nulla speme m’avanza; s’allor non fosse, allor che ignudo e solo per novo calle a peregrina stanza verrà la spirto mio. Forse un’altra terra, situata nelle superiori orbite celesti, accoglie la divina creatura amata fin dalla giovinezza e a lei il poeta innalza di qua dove son gli anni infausti e brevi il suo inno d’amore.
Lo stesso sguardo amoroso e supplice rivolto al cielo accomuna e unisce nei versi commossi dell’uno e nella pagina appassionata dell’altro il poeta recanatese e lo scrittore siciliano.
NOTE e APPROFONDIMENTI
1) testo di riferimento: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Feltrinelli, 1969
2) Diego Picano, E’ notte senza stelle, Motivi leopardiani nei romanzi siciliani del Risorgimento mancato, Napoli, 2007
3) Luigi Giussani, Le mie letture, Rizzoli, 1996