Echi e suggestioni leopardiane ne "Il Gattopardo" 2 - Le domande alle stelle
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Analogamente il Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, davanti all’abisso orrido, immenso che attende l’uomo alla conclusione di una esistenza disperata, afferma, nel dialogo del pastore con la luna che forse essa sa, conosce quel significato della sofferenza e dell’infelicità umana che a lui è nascosto: Pur tu solinga, eterna peregrina, che sì pensosa sei, tu forse intendi, questo viver terreno, il patir nostro, il sospirar, che sia; che sia questo morir, questo supremo scolorar del sembiante, e perir dalla terra.
La stessa esperienza di chi si sente impegnato davanti al proprio destino unisce dunque il poeta recanatese e lo scrittore siciliano. Per quanto diverse e lontane siano le epoche storiche alle quali appartengono e le vicende della vita, entrambi si sentono interpellati dai reconditi enigmi della condizione umana, cercandone la risposta e non sottraendosi alle istanze ultime del cuore.
Soltanto la vista del cielo e del corso degli astri contemplati nelle stanze più alte del palazzo riesce a placare l’animo tormentato del Principe: Aprì una delle finestre della torretta …Sostenuti, guidati, sembrava, dai numeri, invisibili in quelle ore, ma presenti, gli astri rigavano l’etere con le loro traiettorie esatte. Fedeli agli appuntamenti, le comete si erano avvezze a presentarsi puntuali fino al minuto secondo dinanzi a chi le osservasse. Ed esse non erano messaggere di catastrofi come Stella credeva: la loro apparizione prevista era anzi il trionfo della ragione che si proiettava e prendeva parte alla sublime normalità dei cieli.
In quell’ordine superiore il protagonista trova conforto e rifugio.
La sua visione pessimistica della realtà si estende infatti alla storia intera.
Stolti sono per il Leopardi coloro che si aspettano felicità e progresso dagli anni a venire, ignorando la malignità della natura e la triste realtà del loro tempo e illusi sono per il Tomasi i suoi contemporanei che credono alle meravigliose sorti e progressiveche dovrebbero segnare il futuro della storia della sua isola. Una natura inclemente costringe alla immobilità la Sicilia, e la lunga storia di rapaci dominazioni e soprusi, e l’indole stessa dei siciliani vanificano ogni speranza di riscatto. Una decadenza inesorabile e sconsolata grava sulla esistenza di Don Fabrizio e sulla sua terra e vano sarebbe contrastarla.
Nei torridi mesi estivi il Principe, la moglie, i figli, la servitù, e tutti i componenti del gruppo famigliare si spostano nella residenza estiva all’interno dell’isola a per raggiungerla impiegano tre giorni di viaggio orrendo, per le strade irte di buche e zeppe di polvere, la calura inclemente, le fiumare integramente asciutte e i disperati dirupi scoscesi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare. E il protagonista durante le notti interminabili, immerso nel sudore e nel fetore non aveva potuto fare a meno di paragonare questo viaggio schifoso alla propria vita che si era svolta dapprima per pianure ridenti e sfociata infine in interminabili ondulazioni di un solo colore, deserte come la disperazione, aride e impervie come le terre solcate dal vecchierel bianco, infermo leopardiano.