Il pensiero di Chesterton - L'uomo naturale e l'enigma del mondo 7 - L'uomo rovesciato e san Francesco

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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E' opportuno sottolineare che questo tipo di rapporto con la realtà, caratterizzato dalla sorpresa intrisa di piacevole meraviglia, dalla cura sollecita e dalla riconoscenza per l'esistenza delle cose affonda le sue radici in quella definizione di uomo come libertà e ragione. E' l'atteggiamento più razionale perché nasce da ciò che la ragione constata, quando si sia liberata dai suoi pregiudizi per mettersi in ascolto della realtà così come essa è. E' anche l'atteggiamento più normale, immediato sennonché richiede quella interiore purificazione, quell’atteggiamento morale che può essere sintetizzato nell'amore alla verità più che alla propria verità, l'umiltà che è madre di giganti, perché solo quando si sia ridotti noi stessi a un punto, si può vedere la realtà così come essa è. Questa preparazione morale, questa umiliazione è per certi versi una conversione, un rovesciamento.
L'immagine del rovesciamento e dell'uomo rovesciato attraversa tutta l'opera di Chesterton; richiamiamo alla memoria l'intuizione di Gabriel Gale, che vede tutti gli uomini come mosche sul soffitto sorrette unicamente dalla misericordia di Dio. Auberon Quin, quando gli giunge la notizia della sua elezione a re, è precisamente ritto sulla testa e a nulla valgono le rimostranze di Barker perché egli assuma una posizione più consona. Rovesciamento e regalità vanno di pari passo anche nell’esordio de Le avventure di un uomo vivo: quando Innocenzo Smith piomba nel cortile della pensione, sull'onda del gran vento che scuote la casa, inseguendo il proprio cappello, egli si tuffa e mancatolo, si mette a testa in giù per acchiapparlo coi piedi. Subito dopo ad essere rapito dal vento è il cappello del dottore ed egli lo insegue su per un albero poi, appeso a testa in giù ad un ramo, vuole metterlo in testa all'imbarazzato dottore, che non rivuole un cappello così malridotto.
E appeso così a testa all'ingiù, sul dottor Warner a capo scoperto, procedeva gravemente a posargli in fronte il cilindro tutto flagellato e stazzonato "Ogni uomo è un re" spiegava quel filosofo invertito "e (per conseguenza) ogni cappello è una corona. Ma questa è una corona che viene dal cielo."(GKC, Le avventure di un uomo vivo, pag. 39)
E' però la biografia di S. Francesco che ci permette di penetrare nel simbolo dell'uomo rovesciato, e di delineare il legame tra contingenza del reale e rovesciamento e infine tratteggiare la visione del mondo che da questi consegue.
Soffermando la sua attenzione sul momento pregnante in cui il giovane Francesco, aspirante cavaliere e trovatore, lascia il posto al S. Francesco, Giullare di Dio e amante di Madonna Povertà, Chesterton descrive questa trasformazione come un radicale rovesciamento, una conversione simile a quella di un guanto rivoltato, che conserva la sua forma, ma con una radicale inversione.
Apparentemente nulla è cambiato, invece tutto è diverso.
Egli premette e sottolinea ad ogni passo che i suoi non sono che balbettamenti su di una esperienza profonda e difficilmente spiegabile, che non può pretendere di spiegare od esaurire come non può chiunque non li abbia sperimentati:
Non possiamo dunque seguire S. Francesco sino alla sua conclusiva inversione spirituale, un punto in cui la totale umiliazione diviene assoluta santità o felicità, e ciò perché non abbiamo mai raggiunto quel punto [...] Non siamo mai arrivati così in alto perché non siamo mai scesi cosi in basso. (GKC, San Francesco, pag. 54)
Si tratta di un’esperienza mistica che può difficilmente essere resa a parole ma che Chesterton si prova a descrivere appunto con l'immagine del rovesciamento, dell'inversione del centro di gravità.
Ci solevano dire quando eravamo fanciulli che se un uomo scavasse un foro verso il centro della terra e vi si inabissasse sempre più, raggiungerebbe il centro per un attimo e poi ricomincerebbe a salire verso l'alto. Non so se tutto questo sia vero. E non lo so perché non mi è mai accaduto. (Id. Ibid.)
L'esperienza che né noi né Chesterton possiamo giudicare perché attinge vertici di cui si può solo fare esperienza, questo misterioso capovolgimento, è la trasformazione di un uomo buono in santo. In S. Francesco vediamo gli eclatanti esiti di questa trasformazione, paragonando il ragazzo impulsivo, generoso, sognatore che Chesterton ci ha fatto conoscere con il mendicante miserevole e lacero, macerato da digiuni e privazioni eppure radiosamente felice. Qualcosa è avvenuto per cui dall'abisso della umiliazione è uscita una creatura totalmente diversa che della umiliazione ha fatto la propria allegra bandiera, attirando dietro a sé, in sovrappiù, innumerevoli folle. Per il giovane Francesco, uomo buono, vanitoso come lo sono tutti i ragazzi, il bilancio della sua vita, mentre giaceva in carcere per aver venduto i beni di suo padre, non era certo facile da sopportare.
Si era reso ridicolo. Ogni uomo che è stato giovane, che è andato a cavallo o si è sentito pronto a combattere, che ha fantasticato d'essere un trovatore e ha accettato i patti del cameratismo sarà anche in grado apprezzare il peso grave e schiacciante di una frase così banale. [...] Comunque, nulla di lui si sottrasse all'assurdo. Tutti convennero che nella migliore delle ipotesi si era reso ridicolo. Era un fatto, evidente quanto solido, come le pietre per la strada, che si fosse reso ridicolo. Egli si vide un oggetto piccolissimo e distinto, simile ad una mosca che cammina su una lastra di vetro trasparente d'una finestra e si senti indubbiamente ridicolo. (Id. Ibid. pagg. 53-54)
L'esperienza che Francesco vive in carcere non è descritta:
Non pretendo affatto di scrivere sull'essenza intrinseca dell'esperienza. Ma l'aspetto esteriore di essa, per lo scopo di questa narrazione, può essere espresso dicendo che quando Francesco uscì dalla caverna delle sue visioni portava la stessa parola "ridicolo" come una piuma al berretto, o come un cimiero o anche come una corona. (Id Ibid. pag. 55)