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Il pensiero di Chesterton - L'uomo naturale e l'enigma del mondo 1 - La sorpresa

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it

L'uomo, dunque, questa creatura misteriosa che si pone come un enigma nella natura, poiché fa della natura un enigma, è identificato dalla sua natura di essere razionale e libero. La sua ragione è una macchina per produrre conclusioni, la sua libertà un mezzo per compiere azioni conclusive. Chesterton era innanzitutto un nemico della vaghezza. Per l'una come per l'altra attività, l'uomo è sbilanciato verso un fuori di sé; la sua natura stessa si svela essere apertura a, rapporto. Ciò con cui l'uomo ha rapporto è il mondo.

Nei capitoli precedenti ci siamo imbattuti più volte nella filosofia del giardino delle fate: in essa si radica la rivolta di Chesterton contro la modernità. Questa filosofia è precedente ad ogni cosciente messa in discussione di principi filosofici ed è una sorta di intuizione originaria: una visione dell'uomo e del mondo connaturata a Chesterton e per lui immediata, che per essere largamente incoraggiata e sostenuta dalle fiabe, è stata da lui considerata comune a tutta l'umanità, quella almeno che legge e apprezza le fiabe; da qui il suo nome. Come tale, come visione fondamentale dell'uomo e del mondo, essa non può essere discussa: o la si condivide o non la si condivide; come dice il Presidente del Nicaragua all'apertura del Napoleone di Notting Hill: "non si può discutere delle scelte dell'anima". Tuttavia, essendo una filosofia, cioè un parto della ragione, se essa non può essere dimostrata, può essere però chiarita e difesa, mostrando il suo accordo con la ragione in quanto tale e anche mostrando le crepe e le sviste delle concezioni avverse.
La filosofia del giardino delle fate si riassume in due principi fondamentali.
Il primo lo abbiamo già incontrato, e lo si potrebbe chiamare il principio della distinzione tra razionale e reale. Lo riprendiamo ora, per giustificare l'affermazione, che potrebbe esser suonata un po’ provocatoria, che le fate sono le più razionali di tutte le creature.
Infatti che le fate siano le più razionali di tutte le creature è dovuto proprio al fatto, apparentemente contraddittorio, che esse non esistono. Proprio perché il loro regno è immaginario, non realmente esistente, può essere ed è il regno della ragione. Nel mondo immaginario delle fate le uniche leggi che valgono sono quelle che valgono ovunque, le leggi quindi della ragione. Che un albero produca candelieri o tigri appese per la coda non è contrario alle leggi della logica; è contrario ai fatti, alla realtà. Nel mondo delle fate, che è parto della immaginazione, non ci sono fatti, non ci sono alberi reali e tigri reali, non c'è la realtà insomma con la sua opacità ad opporsi all'opera della ragione, ed ecco che nel paese delle fate è solo la ragione a dispiegare le sue interne leggi, le leggi della razionalità che valgono anche nel più alto dei cieli, come afferma Padre Brown, e le leggi della fantasia, della libera creatività immaginativa. Il paese delle fate è il soleggiato paese del senso comune, dove il senso comune non é l'opinione largamente condivisa, ma sono le esigenze più radicali della ragione che è comune a tutti gli uomini. Le esigenze, le leggi e le distinzioni che valgono nel paese delle fate valgono per la ragione in sé e quindi sempre e comunque.
Il paese delle fate è un giardino, cinto di mura: è giunto il momento di guardare cosa si stende al di là delle mura, fuori dell'uomo e delle interne leggi della sua natura.
La nostra introduzione sarà una citazione:
C'erano poi, due sentimenti primordiali, indifendibili e incontestabili: il mondo è una cosa che colpisce; ma non è soltanto questo; l'esistenza è una sorpresa, ma una sorpresa piacevole. (GKC, Ortodossia, pag. 76)
Sorpresa è la prima parola che definisce la realtà nei confronti della ragione. Chesterton definisce questa sorpresa come un sentimento, indifendibile come tale, ma incontestabile. Vedremo che pur essendo un sentimento esso è pienamente ragionevole poiché scaturisce dalla natura stessa della realtà.
Definire la prima esperienza che abbiamo del mondo come sorpresa ha due implicazioni fondamentali. La prima è che il mondo in tanto è per noi sorprendente, strano, in quanto è estraneo alla ragione
Questa stranezza delle cose, che è luce in ogni poesia, e invero in ogni forma d'arte, è in realtà connessa con la loro alterità, o con ciò che si definisce la loro obiettività. [...] Il fiore è una visione perché non è solo una visione. O, se si vuole, è una visione perché non è un sogno. Per il poeta questa è la stranezza delle pietre, degli alberi, delle cose solide; sono strane perché sono solide. (GKC, San Tommaso d’Aquino, pag. 153)
La seconda implicazione è che esso è sorprendente perché non ha in sé stesso una ragione sufficiente.

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