Il pensiero di Chesterton – L’uomo naturale 3 - Eretici

Chesterton, prima ancora di pensare ad un opera come “Ortodossia”, propose alle stampe una raccolta di saggi in cui affrontava i “maîtres a penser” del suo tempo dal punto di vista propriamente filosofico: essi erano eretici, in quanto affermavano la loro verità parziale, a discapito della verità tutta.
Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Molti profeti ai suoi tempi proponevano le loro teorie interpretative del mondo. Chesterton, prima ancora di pensare ad un opera come “Ortodossia” (essa stessa scritta prima che Chesterton approdasse all'ortodossia cattolica), propose alle stampe una raccolta di saggi in cui affrontava i “maîtres à penser” del suo tempo dal punto di vista propriamente filosofico:
Non mi interesso a R. Kipling come vivido artista o vigorosa personalità, ma come eretico, cioè come un uomo le cui idee hanno la sfrontatezza di differire dalle mie. Non mi interesso di G. B. Shaw come uno dei più brillanti ed onesti uomini che ci siano; me ne interesso come eretico, cioè come un uomo la cui filosofia è perfettamente salda, perfettamente coerente e perfettamente falsa”. (GKC, Eretici, pag. 15)
Il libro stesso si intitolava “Eretici”. Un recensore ebbe a obiettare che Chesterton aveva mancato di esporre la propria teoria cosmica, in base alla quale essi potessero essere dichiarati eretici. Chesterton rispose scrivendo quello che è forse il suo capolavoro, “Ortodossia”. Non era però realmente necessario. Essi erano eretici rispetto alla verità, la Verità tutta intera.
Essi erano eretici, cioè, in quanto affermavano la loro verità parziale, a discapito della verità tutta. Un errore, ebbe a dire Chesterton, è una verità impazzita. Non era necessario conoscere tutta la verità per constatare l'insufficienza delle loro verità.
Dall'inizio del mondo moderno, nel XVI secolo, non c'è sistema filosofico che corrisponda veramente al senso del reale di tutti; al quale, se abbandonati a sé stessi, gli uomini comuni darebbero il nome di senso comune. Ciascuno comincia con un paradosso; un punto di vista particolare che richiede il sacrificio di quello che si può chiamare un sensato punto di vista. Questo è l'inizio comune di Hobbes e Hegel, Kant e Bergson, Berkeley e William James.
L'uomo deve credere in qualcosa in cui nessun uomo normale crederebbe, se venisse proposta improvvisamente alla sua semplicità; come, per esempio, che la legge è superiore al diritto, o che il diritto è fuori della ragione, o che le cose sono soltanto come noi le pensiamo, o che ogni cosa è relativa a una realtà che non è qui. Il filosofo moderno pretende, come una specie di uomo di fiducia, che una volta consentitogli questo, il resto sarà facile: egli raddrizzerà il mondo, non appena gli sarà concesso di storcere così il nostro cervello
”. (GKC, San Tommaso, pag. 122)
I profeti e teorici suoi contemporanei erano eretici nel senso che affermavano un principio in sé magari anche vero, ma che fuori dal suo contesto, dal necessario equilibrio con gli altri principi, impazziva. Essi prendevano un particolare e ne facevano il tutto. La sua avventura spirituale fu invece quella di cercare la verità tutta intera ponendo come fulcro della ricerca l'uomo e le sue esigenze costitutive. L'antropologia fu per lui la chiave della verità totale.
Data la natura essenzialmente polemica dell'opera di Chesterton, la sua antropologia si sviluppò in gran parte come reazione alle diverse interpretazioni dell'uomo, parziali e inadeguate, che venivano proposte dalle varie correnti filosofiche. Alla sua antropologia, pars construens, non sarà allora inopportuno far precedere una part destruens: la critica alle antropologie che si contendevano la ribalta nei primi anni del secolo.