Il pensiero di Chesterton - L'uomo come bisogno 2 - L'uomo abisso di inquietudine
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L'uomo infatti non può vivere per il tempo e se anche ama un bene che passa, lo ama in quanto lo pensa eterno.
La causa per cui la bandiera sventola può essere vana o effimera, l'amore può essere una semplice infatuazione e durare una settimana. Ma il patriota pensa alla sua bandiera come fosse eterna, l'innamorato pensa al suo amore come qualcosa che non può finire; questi momenti sono pieni d'eternità. Questi momenti sono belli, perché non sembrano momenti. [...] L'uomo non può amare cose mortali. Può solo amare cose immortali per un istante. (GKC, Eretici, pagg. 86 e 87)
L'unità dell'uomo è cosi assicurata, paradossalmente, da questa interna ed eterna insufficienza, che come un abisso che gli si spalanchi improvvisamente sotto i piedi, lo sbilancia e lo muove verso un altro da sé in cui cerca quella risposta ultima e definitiva e quel bene inesauribile pieno di eterno, di cui tutto il suo essere è esigenza.
Un secondo filo si diparte da questa concezione dell'uomo, alla fine del quale troveremo la giustificazione della poliedrica attività del nostro autore, dell'apparente caoticità dei suoi spunti e dell’evidente unicità della sua concezione. Egli può infatti dire l'uomo prendendo spunto dal formaggio come dal sistema delle galassie, proprio perché l'essenza dell'uomo si esprime tanto nell'attrattiva esercitata sul suo appetito dal formaggio quanto nella curiosità intellettuale riguardo alle forze largamente estranee che reggono il movimento del cosmo. Da dovunque si scelga di partire ci si ritrova in virtù di questa concezione dell'uomo al centro, in quell’abisso ardente e centrale che come un vortice stende le sue braccia a tutto afferrare, tutto inghiottire, di tutto fare esperienza, tutto fare proprio, tutto possedere e capire. L'uomo è realmente più che uno specchio, un abisso, in cui tutto l'universo può oltreché specchiarsi, sprofondare, lasciandolo forse ancora irrequieto e insoddisfatto.
L'uomo, come tante altre cose sulla terra, come per esempio il flagello a nove corregge, possiede innumerevoli estremità, ma solo una impugnatura giusta. Le altre sono per cosi dire, semplici code [...] Ma oltre ad avere le sue venti code, l'uomo possiede anche una testa, un centro di identità, un'anima.
(GKC, Saggi, pag. 271)
Questa impugnatura o capo, ed è questo ciò che rende l'uomo tanto straordinario e mostruoso, non è però un qualcosa, ma una mancanza, un vuoto, un'assenza.