Chesterton: tornare ai fondamenti
- Autore:
- Fonte:
In un diario scolastico chiamato “Settimanìa” ho trovato questa folgorante citazione:
“Non si può far cambiare idea a qualcuno con la ragione, se non è con la ragione che ci è arrivato” (Jonathan Swift). Questa frase mi pare descrittiva dell’attuale clima ideologico e dello scontro dialettico in atto, dove da una parte ci si rifiuta sistematicamente di rispondere alle domande più elementari (ad es.: Che cos’è un embrione?).
Già Gilbert Keith Chesterton, nella sua straordinaria raccolta di saggi intitolata “Eretici”, aveva preso di mira l’insanità di molti suoi contemporanei, che pretendevano di giudicare la realtà a prescindere dalla ricerca della Verità delle cose. La Verità è sostituita dall’opportunismo (Benedetto XVI direbbe: dalla dittatura del relativismo). Ma l’opportunismo non può fondare una presenza umana che dia frutti duraturi e soprattutto conformi alla natura delle cose. Ecco come si esprime Chesterton:
“Avendo quindi scoperto che l’opportunismo fallisce, sono stato indotto a considerarlo da un punto di vista più generale, scoprendo così che non può non fallire. Mi sono reso conto che è molto più pratico cominciare dal principio, e discutere le teorie. Vedo che gli uomini che si uccidevano per l’ortodossia dell’ “omousios” (Cristo “consustanziale” al Padre, secondo la formula del Concilio di Nicea contro gli Ariani, n.d.r.) erano molto più sensibili degli uomini che discutono sulla legge per!’insegnamento. I dogmatisti cristiani, infatti, cercavano di costruire il regno della santità, e cercavano, anzitutto, di definire il preciso concetto di santità. Ma i nostri teorici dell’ educazione tentano di istituire una libertà religiosa, senza provarsi a stabilire che cosa sia la religione o che cosa sia la libertà. Se i vecchi preti imponevano una opinione alla gente, almeno prima si preoccupavano di renderla lucida. Solo le moderne folle...possono permettersi di perseguitare una dottrina, senza neppure definirla.
Per queste ragioni, e per molte altre, sono giunto a credere alla necessità di tornare ai fondamenti...
Torno ai metodi dottrinali del tredicesimo secolo, nella speranza di combinare qualcosa.
Supponiamo che nella strada nasca un gran tafferuglio intorno a qualche cosa, per esempio un lampione a gas, che molte persone autorevoli desiderano abbattere. Un monaco, vestito di grigio, che rappresenta lo spirito del Medioevo, è consultato sulla faccenda, e comincia a dire, nell’arido stile degli Scolastici: “Consideriamo anzitutto, fratelli, il valore della luce. Se la luce è buona in sé...” A questo punto - il che è in certo modo scusabile - viene travolto; tutti si lanciano all’assalto del lampione che in dieci minuti è buttato giù, e se ne vanno congratulandosi a vicenda per il loro senso pratico così poco medioevale. Ma, coll’andare del tempo, ci si rende conto che le cose non vanno così bene. Alcuni avevano buttato giù il lampione perché volevano la luce elettrica; alcuni perché volevano del ferro vecchio; alcuni perché amavano l’oscurità, che proteggeva le loro iniquità. Alcuni pensavano che un lampione non bastasse, altri che era di troppo; alcuni agivano per smontare la combriccola municipale, altri perché volevano spaccare qualcosa.
Così si combatte nella notte, senza sapere che cosa si colpisce. Così, gradatamente e inevitabilmente, oggi o domani o il giorno dopo, torna la convinzione che il monaco dopo tutto aveva ragione, e che tutto dipende da quale è la filosofia della Luce. Solo che ora siamo costretti a discutere nel buio quel che avremmo potuto discutere sotto il lampione a gas.”(da “Eretici”: Osservazioni preliminari sull’importanza dell’Ortodossia).
Una domanda si impone: se abbattiamo tutti i lampioni, se l’umano viene continuamente distrutto, quanto sarà buio il mondo che stiamo preparando?