"Il mio nome è Asher Lev" 6 - L'amore alla pittura e lo "scandalo"
La forza e l’imperiosità di questa vocazione non può essere tradita a meno di non essere dei vigliacchi. E Asher vive lui per primo l’interrogativo su questo dono che lo fa sentire emarginato e disapprovato da chi lo circonda.- Autore:
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L’amore alla pittura
Quando Asher si sente solo, il disegno raggiunge in lui livelli ossessivi: ha sempre in mano la matita, a casa, a scuola, quando siede nei giardini del suo quartiere, quando dovrebbe studiare e non lo fa. E’ come se ogni cosa, strada percorsa, persona incontrata, fatto ascoltato, impressione e percezione chiedesse imperiosamente di essere messa sul foglio, di prender vita e volto.
Così il bambino strappa dalle tenebre del suo inconscio e delle sue paure ciò che gli accade attorno, la realtà incomprensibile come la malattia, il dolore presente nel mondo, le persecuzioni degli ebrei, di cui viene a conoscenza attraverso le telefonate del padre, gli annunci dei giornali, le preghiere che vengono fatte a scuola.
E nella storia emergono, come ha dichiarato il suo Autore, i tratti della sua vicenda biografica.
Quando il padre rientra dai suoi viaggi e per poco tempo si ferma a casa, comunica ad Asher solo le sue preoccupazioni: vuol sapere se dice regolarmente le preghiere, se osserva la Torah, se studia, se non spreca il tempo in cose inutili. Ma dopo che hanno recitato con lui le preghiere della sera e hanno lasciato la sua stanza, i genitori, chiusi in camera, parlano fra loro a bassa voce, con tono confidenziale, di quello che succede, dell’esito dei viaggi dell’ultimo ebreo russo strappato da Aryeh alla Siberia, e il bimbo nel buio della notte percepisce solo confusamente i loro discorsi, escluso dalla loro intimità e affetto.
Asher sa che il suo mondo popolato da colori a olio e carboncini, da immagini di cieli e alberi, ritratti di donne anziane sedute al Parco, bambini con papaline e boccoli incontrati per strada, lo isola all’interno della sua famiglia, ma la forza e l’imperiosità di questa vocazione non può essere tradita a meno di non essere dei vigliacchi.
E Asher vive lui per primo l’interrogativo su questo dono che lo fa sentire emarginato e disapprovato da chi lo circonda.
Anche al buio riuscivo a distinguere, nella stanza, i diversi tipi di oscurità e il modo in cui lo spiraglio di luce fioca fra il bordo della persiana e il davanzale giocava sulla parete vicino alla scrivania e brillava sui disegni. “Cosa vuoi tu da me?“ pensai.
“Sono solo un bambino di 10 anni. I bambini di 10 anni giocano per la strada si rincorrono avanti indietro per i corridoi dei condomini, vanno su e giù sugli ascensori per divertirsi, i bambini che seguono le automobili in New York Avenue.
Se tu non vuoi che io usi questo dono, perché me lo hai dato? O è venuto dall'Altra Parte?”
Era spaventoso pensare che il mio dono potesse essermi stato dato da una fonte malefica e abbietta.
“Come possono il male l'abiezione creare un dono di bellezza?”
Restai disteso nel letto e per molto tempo pensai a ciò che mi veniva richiesto. (pag. 107)
Altri personaggi di questa piccola comunità emergono via via nel corso del racconto, e sono descritti con attenzione e precisione: oltre allo zio Yitzchok, la governante di casa la signora Rackover, sempre preoccupata che il bambino si nutra abbastanza e non tardi a rientrare, i maestri di scuola, i compagni che non amano particolarmente il nostro piccolo protagonista, il negoziante di colori Yudel Krinsky internato in Siberia, e salvato da Aryeh.
E’ lui l’unico adulto a cui Asher può porre delle domande e con cui si confida.
Lo scandalo
Sarà uno dei compagni-nemici di scuola che un giorno farà scoppiare lo scandalo clamoroso e dirompente: Asher sta disegnando sul suo libro sacro, durante un’ora di lezione.
Il giorno dopo il bambino che in classe sedeva alla mia destra, chinandosi verso di me bisbigliò in yddish:
"Asher, cosa stai facendo?"
Asher lo sente, ma non riesce a capire che cosa stia dicendo e continua a lavorare con la sua penna. Sorgono mormorii di sorpresa all'interno della classe. Tutti esclamano che ha profanato un libro sacro, che Asher Lev ha dissacrato il nome di Dio, continuando a disegnare, mentre l'insegnante leggeva il libro del Levitico e spiegava ai piccoli allievi il concetto di santità.
Asher si risveglia come da un sogno e volge lo sguardo sul disegno fatto: un volto segnato con un denso inchiostro nero. Una faccia con la barba, gli occhi scuri e capelli scuri, un'aria minacciosa.
L'insegnante gli si avvicina e gli chiede con voce paziente che cosa avrebbe detto suo padre se avesse visto quell'immagine.
"Sono sorpreso e turbato, gli dice "all'Idea che il figlio di Reb Aryeh possa fare una cosa simile.
Asher abbi la bontà di non farlo più" (pagg.109,110)
Immediatamente vengono avvisati i genitori.
Sconvolti essi si chiedono come sia possibile che il loro figlio ormai di 10 anni si comporti in questo modo offensivo per la loro religione, umiliante per chi, come suo padre, ricopre cariche importanti affidate dal Rebbe in persona e mostra di non saper educare il proprio figlio.
Separatamente, alla fine delle lezioni, il maestro convoca il giovane allievo, gli parla a lungo, spiega la gravità del suo comportamento, ma mentre parla, Asher contempla gli aceri che ondeggiano sul viale, ”la pioggia grigia che riempie il mondo di tetra nebbia, il cielo minaccioso, le nuvole rapide e scure”.
Il maestro si china allora verso un cassetto della scrivania ed estrae una bottiglietta d’acqua, un bicchiere e dei fogli bianchi.
”Bevi Asherel, gli dice, e fai dei disegni per me” e lo lascia.
Una folla di segni disordinati riempiono i fogli finché le linee si intrecciano, si compongono armoniosamente: compaiono gli alberi del viale, il fratello e sorella osservati al parco, i bambini che piangono e ridono, gli uomini che camminano con gli abiti scuri, le barbe scure, i capelli scuri e minacciosi.
Continua a disegnare finché la matita non si è consumata e con le unghie gratta via il legno, per scoprire la mina.
Ha riempito le pagine di esseri, forme e strutture cercando di sentire la pioggia sulle finestre e sugli alberi, il freddo e la neve, il buio e la notte. Alla fine butta via la matita e chiude di scatto l'album da disegno. Raccolto il cappotto e i libri corre via. L'album rimane abbandonato sulla scrivania.
Dopo quell’episodio il compagno che l’ha denunciato lo chiama “il dissacratore” con l’avallo dei compagni che ridono di lui quando lo incontrano.
I viaggi del padre continuano fra New York e Washington e quando è a casa cerca di aiutare Rivkeh a preparare gli esami per l’Università.