Percy Jackson 2 - L'epopea dei ragazzi senza padre
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Veniamo dunque alla trama. Gli dei greci sono alquanto moralmente eccepibili, come ben sappiamo. Non disdegnano qualche amore umano, troppo umano. La progenie di queste unioni sono appunto gli eroi. Ragazzi dislessici (perché il loro cervello è settato sul greco antico che leggono invece facilmente) ed iperattivi (perché in combattimento chi prima reagisce più a lungo vive). Destinati quindi al fallimento scolastico: come possono tutti i ragazzi difficili non immedesimarsi?
Ragazzi che crescendo vengono presi di mira dai mostri per atavico istinto. I fauni li cercano e li portano in un campo, una specie di campeggio estivo dove si allenano a combattere per sopravvivere.
Tutti questi ragazzi hanno un’altra caratteristica, ovviamente. Non si può certo pretendere che un dio, seppur con la minuscola, si adatti a vivere al livello di un umano. Mi dite che c’è un Dio con la maiuscola che non ha disdegnato di vivere una vita da umano? Da perfetto umano? Senza barare? Davvero? Se fosse vero, sarebbe davvero una gran notizia. No, nel mondo di Percy Jackson un genitore divino ha troppo da fare per dedicarsi a dei semplici umani. Pertanto tutti gli eroi sono ragazzi cresciuti con un solo genitore. Cresciuti in pratica senza padre. È strano che l’unica figlia di una dea femminile abbia tutto sommato un bel rapporto con la madre divina, l’algida ma presente dea dell’intelligenza, Atena, ed un pessimo rapporto con il padre umano, risposato e con altri figli dalla moglie umana.
Percy Jackson è in definitiva l’epopea dei ragazzi senza padre. Un padre dio dell’olimpo non è poi così diverso da un padre magnate della finanza, da un padre famoso avvocato, da un padre che ha un qualunque lavoro, magari ben remunerato, ma troppo impegnativo per lasciare spazio ad altre cose, come la famiglia. Un padre comunque assente, che non svolge il suo ruolo di padre. Ecco cosa accade ai piccoli eroi, costretti a crescere da soli: devono affrontare tanti mostri, di cui gli altri ragazzi possono ignorare l’esistenza.
Ci sono ciclopi malvagi, erinni, arpie, ma c’è prima di tutto l’incertezza di non sapere chi si è.
Quando arriva al campo, Percy come qualsiasi altro eroe, viene messo nella casa di Ermes, che accoglie tutti i viandanti. Sono i talenti posseduti dall’eroe a far intravedere chi potrebbe essere suo padre (o madre). Solo il genitore divino può però sciogliere definitivamente ogni dubbio, riconoscendo pubblicamente il proprio figlio, ma questo succede di rado, e solitamente solo quando il ragazzo lo merita, avendo successo in qualcosa. Gli eroi quindi aspirano a vedersi affidata una missione all’esterno del campo, nella speranza di attirare l’attenzione dei loro divini genitori con la propria bravura, al punto da meritarsi il loro riconoscimento.
Duro non sapere di chi si è figli: lo sapranno i sostenitori della provetta con la stessa chiarezza del nostro autore?
“Cenavo con la casa undici, gettavo la mia porzione di cibo nel fuoco e mi sforzavo di sentire una connessione con il mio vero padre.[…] Cominciavo a comprendere l’amarezza di Luke, il risentimento che sembrava provare per suo padre Ermes. Okay, forse gli dei avevano cose importanti da fare. Ma non potevano chiamare di tanto in tanto, o magari tuonare, o roba del genere? Dioniso faceva apparire la Diet coke dal nulla. Perché mio padre, chiunque fosse, non faceva apparire un telefono?”
Scoprire da dove si viene però non serve a colmare la nostalgia del padre. Altre domande sorgono: mi vuole bene? Sarà felice della mia esistenza? Perché non è qui? Percy Jackson viene riconosciuto da suo padre, che è anche un pezzo grosso dell’Olimpo, uno dei tre dei maggiori, Poseidone, dio del mare.
“Se a mio padre interesso così tanto – chiesi – perché non è qui? Perché non parla con me?”. Hai voglia di rispondere che il dio del mare è molto impegnato, e che ci sono regole per cui gli dei possono agire nel mondo solo indirettamente, attraverso gli eroi. Va a finire che “la verità era che non mi importava un fico secco di riprendere la Folgore di Zeus o di salvare il mondo, e nemmeno di tirare fuori dai guai mio padre. Più ci pensavo, più ce l’avevo con Poseidone per non essersi mai fatto vivo, per non aver mai aiutato mamma, per non aver nemmeno mai mandato un pidocchioso assegno di mantenimento. Mi aveva riconosciuto solo perché gli serviva un lavoretto”.
Questa rabbia dei figli lasciati soli è la molla di tutta l’azione, come si scopre alla fine: l‘eroe “cattivo” è proprio Luke, figlio di Ermes. Furioso verso il padre che ha lasciato la madre, vuole rovesciare l’Olimpo, per mettere fine al potere dei padri, facendosi strumentalizzare dalle forze del caos. Gli altri eroi, seppur feriti dal loro abbandono, lottano per salvare i propri padri dai nemici caotici che li minacciano, coscienti che solo insieme si può sopravvivere.