Problematiche etiche sul vaccino per il Papilloma Virus 2 - Aspetti educativi
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

L’aumento dell’uso dei vaccini può indurre a pensare di aver risolto il problema, e quindi di poter avere una vita sessuale disordinata con più partner senza correre alcun rischio. Si pone anche il problema di chi fa formazione e sensibilizzazione alle ragazze sul tema delle malattie sessualmente trasmesse che accompagna la campagna di vaccinazione. Uno dei fattori etici di rischio è quello di indurre a iniziare precocemente i rapporti sessuali. Questo è lo stesso fenomeno psicologico indotto per esempio dall’uso dei preservativi per prevenire le infezioni da HIV (AIDS) che come ben sappiamo invece di risolvere il problema lo acutizza suggerendo promiscuità senza rischi. Se il solo approccio medico sembra quindi inadeguato per gli adulti, è sicuramente limitativo e diseducativo nei più giovani. Teniamo conto poi che per essere efficace la vaccinazione deve essere fatta prima dell’inizio della vita sessuale attiva delle ragazze, e proprio per questo la proposta dell’allora Ministro Livia Turco è rivolta alle bambine tra i 10 e 12 anni. Un'altra controindicazione del vaccino è che abbassa i controlli e lo screening del cancro al collo uterino che potrebbe essere ritenuto inutile, pensando che il vaccino abbia eliminato la possibilità di averlo. E’ opportuno ricordare che il vaccino non sostituisce lo screening periodico, lo screening citologico sistematico della cervice uterina può ridurre la frequenza di decesso del 70%.
In un recente studio apparso sulla rivista "Medicina e morale", pubblicata dal centro di bioetica della facoltà di Medicina e chirurgia “Agostino Gemelli” dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Roma si sottolinea che “il punto è che la vaccinazione generalizzata delle donne è sì in grado di proteggerle dal cancro al collo dell'utero, ma questa proposta fa sorgere alcune serie preoccupazioni di carattere etico”. Un timore che si lega al fatto che l'HPV rientra tra le malattie sessualmente trasmissibili, le quali destano preoccupazione. I tre studiosi che hanno elaborato il testo, Maria Luisa Di Pietro, Zoya Serebrovska e Dino Moltisanti, sottolineano come il vaccino rischierebbe di comportare “ulteriori cadute di valori, il rafforzamento di una comune accettazione da parte dell'opinione pubblica dei comportamenti sessuali promiscui e probabilmente una maggiore diffusione della malattia”. “L’infezione da HPV non è un’emergenza sociale perchè non si trasmette solo per mera esposizione, ma è il risultato di “comportamenti a rischio”, una precoce e promiscua attività sessuale. Quindi il problema non concerne solo l’aspetto medico, ma anche il più complesso problema della prevenzione di comportamenti a rischio”.
Tenendo conto che il vaccino è indicato per la fascia di età adolescenziale, la proposta di vaccinazione a ragazze che non ancora hanno iniziato l’attività sessuale potrebbe essere letta dalle stesse ragazze come una giustificazione ad un comportamento sessuale disordinato, comportamento che magari non sarebbe stato neanche preso in considerazione. Questo perché l’attività sessuale delle adolescenti non può essere semplicemente oggetto di un’informativa medica, ma deve far parte di un processo educativo che costruisce l’intera persona. Questo non toglie l’efficacia medica del vaccino, ma pone l’attenzione sull’aspetto del “benessere globale” delle ragazze in una delicata fase della loro crescita.
Non ci sembra il caso quindi di proporre l’obbligatorietà del vaccino per ragazze così giovani, in Italia comunque non è così al momento. Deve in ogni caso essere lasciata alla famiglia la libertà di scelta sull’educazione e anche sulla decisione della vaccinazione. La vaccinazione di stato sull’HPV con le conseguenze etiche che ne derivano sembra poter rappresentare un’ingerenza dello stato nell’educazione dei figli rispetto ad una tematica molto delicata come l’educazione sessuale e sembra contraddire il principio secondo il quale lo stato deve essere rispettoso del diritto-dovere delle famiglie a scegliere liberamente il percorso educativo. L’esercizio pieno della libertà educativa è affidato primariamente alle persone e alle famiglie. Titolare dell’educazione dei figli è innanzitutto la famiglia.
Al centro deve sempre esserci l’educazione integrale della persona, e per essere vera deve avere alla base la consapevolezza di chi è la persona. “Per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura. L’affermarsi di una visione relativistica di tale natura pone seri problemi all’educazione, soprattutto all’educazione morale, pregiudicandone l’estensione a livello universale.” (Caritas in Veritate, n. 61)