Percorso iconografico sul Volto di Cristo - 1
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Le prime immagini di Cristo
Presenteremo alcune immagini di Gesù recuperandone i contesti sorgivi ed evidenziando come l'uomo, l'artista, nelle diverse epoche abbia fissato il volto di Cristo a partire da una particolare concezione esistenziale e teologica.

La bolla di indizione del Giubileo dell'anno 2000, "Incarnationis mysterium" fin dalle prime pagine focalizza il punto sintetico e significativo di questa grande celebrazione; facendo riferimento alla lettera di Paolo agli Efesini (1, 3-5. 9-10) evidenzia la centralità dell'Incarnazione: "la storia della salvezza trova in Gesù Cristo il suo punto culminante e il suo significato supremo".
Presenteremo alcune immagini di Gesù recuperandone i contesti sorgivi ed evidenziando come l'uomo, l'artista, nelle diverse epoche abbia fissato il volto di Cristo a partire da una particolare concezione esistenziale e teologica.
Le prime immagini di Cristo
Lo studioso A. Grabar ha ampiamente dimostrato come i primi cristiani abbiano assimilato l'iconografia pagana del loro tempo: il filosofo diviene Cristo, l'apostolo o il profeta; le scene di apoteosi si trasformano in rappresentazione dell'Ascensione, così dalla iconografia pastorale ha origine la figura del Buon Pastore.
Partendo così da un iniziale rifiuto delle immagini, dovuto sia alla tradizione ebraica da cui provenivano direttamente i cristiani sia alla identificazione immagini/potere politico - infatti il rifiuto di rendere il culto divino all'imperatore e quindi la condanna dei cristiani avveniva proprio davanti alle raffigurazioni del sovrano- si passò al loro utilizzo. I cristiani adottano simboli pagani attribuendo loro un significato più profondo, divenendo questi ultimi riflesso dell'insegnamento delle verità della fede e in tal modo conducendo i fedeli ad una conoscenza più intima del cristianesimo senza esporre però tali misteri di fede ai pagani. Una delle più diffuse rappresentazioni di Cristo, prima degli editti di tolleranza, è il Buon Pastore.
Nelle catacombe romane di San Callisto, nella cripta di Lucina, entro un clipeo è raffigurato un vivace Gesù Buon Pastore (III secolo).
Il Buon Pastore, situato in una ambientazione naturalistica, tiene saldamente con la sinistra una pecorella sulle spalle, mentre altre due sono ai suoi piedi. Nella mano destra ha il bastone e un canestro. Figura 1
Prendendo spunto dal dio Ermes, simbolo dell'"humanitas" cioè della filantropia, i primi cristiani traggono da un elemento della filosofia morale pagana l'immagine di Cristo salvatore dell'anima con il preciso riferimento ai testi dell'Antico Testamento (salmo 22) e del Nuovo (Gv. 10, 1 e ss.; Lc. 15, 1 e ss.). Di epoca ambrosiana è invece il Cristo docente del cosiddetto sarcofago tardoantico di Stilicone (fine IV secolo), nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano.
Sullo sfondo di una città turrita, la Gerusalemme Celeste, si staglia la maestosa figura di un Cristo docente, giovane e imberbe. Nella sinistra tiene il libro, la destra è in atteggiamento di insegnamento.
Siede su un trono situato su una roccia prominente, il Paradiso; seduti, sei per lato, gli apostoli, alcuni con rotuli in mano, seguono con attenzione il Maestro. Ai piedi del docente l'agnello, suo riferimento allegorico, e i due defunti in preghiera e adorazione. Figura 2
Accanto al Buon Pastore, Gesù viene anche rappresentato con i tratti del filosofo secondo l'iconografia classica della riunione di filosofi. Cristo è Colui che detiene la "vera" filosofia e il defunto si inchina davanti a Chi gli ha insegnato la dottrina della verità, la Buona Novella è in chiara opposizione con la sapienza umana.
Nell'arte paleocristiana spesso Cristo è giovane; tale giovinezza colloca la figura nella dimensione dell'eternità: Cristo eternamente giovane è eternamente presente, eternamente valido per l'uomo.
Il "Mandylion" di Edessa
Dal VI secolo in poi notiamo l'affermarsi di una diversa e particolare tipologia del volto di Cristo, tipologia che giunge quasi intatta fino a noi.
Questa fisionomia di Gesù deriva, con molta probabilità, dal "Mandylion" di Edessa; il telo doppio, piegato quattro volte, su cui era visibile l'immagine che Cristo, secondo le antiche leggende, avrebbe miracolosamente impressa e che alcuni studiosi identificano con la Sindone.
Tale iconografia sarà fondamentale nella lotta contro gli iconoclasti tanto che il "Mandylion" viene citato nel II° Concilio di Nicea (787) che ne legittima la venerazione. Dopo la sudditanza dall'iconografia pagana, nell'arte cristiana si afferma un modello tipico del volto di Gesù, così come possiamo ammirare nell'antica icona del Cristo Pantocratore (prima metà VI secolo) del monastero di Santa Caterina del Sinai: Cristo ha il volto ovale incorniciato dalla barba e da lunghi capelli che gli ricadono sulle spalle. Figura 3
E' singolare il rapporto di queste immagini con l'uomo della Sindone: gli zigomi tumefatti del crocifisso vengono interpretati nelle icone come sporgenti, così la colata di sangue sulla fronte diviene un ricciolo di capelli. Nell'arte delle icone orientali il volto di Cristo è sempre connessa al "Mandylion", nella precisa e canonica fedeltà all'originale, così come si può osservare nell'icona detta "Acheiropoietos"- "Salvatore non fatto da mano d'uomo" (XII secolo) proveniente da Novgorod. Figura 4
Il centro della composizione- costruita su una serie di cerchi concentrici - è il volto del Signore, assorto e severo, ma anche infinitamente misericordioso; un volto in cui si esprime tutto l'amore doloroso ed appassionato per l'uomo, amore che lo porta a morire per ricondurre al Padre la creazione, affinché questa possa partecipare alla vita divina. Il più noto iconografo russo, il monaco Andrej Rubliov (1360ca.-1430), seguendo il modello canonico, dipinge l'icona del Pantocratore (1410-1420). Questo volto teso e pacato incarna l'immagine ideale di Cristo dei russi. I tratti fini e delicati ne sottolineano la bellezza e la giovane baldanza: il naso sottile, la bocca socchiusa nell'atto di soffiare lo Spirito, la cui presenza è evidenziata dall'innaturale collo rigonfio. Figura 5
L'arte medioevale occidentale
In Occidente l'arte percorre vie più libere, meno rigidamente aderenti agli archetipi del volto di Cristo.
L'arte romanica, nella sua ieraticità e sintesi, propone nell'affresco catalano di San Climent a Taull - ora nel Museo d'Arte catalana - la visione del Pantocratore (1123), un grandioso dipinto che occupa l'intero emisfero della piccola abside. A stento contenuto nella mandorla - l'ellisse iridata - circondata di perle, appare il Cristo Pantocratore assiso su una banda trasversale decorata da motivi vegetali. La monumentale figura si staglia sul fondo blu tra l'Alfa e l'Omega; la mano destra benedicente esce dalla cornice, così come i piedi nudi che poggiano su una forma emisferica; la mano sinistra regge il libro della vita su cui si legge: "Ego sum lux mundi". Figura 6
Le pieghe della tunica grigia e del mantello azzurro tradiscono la vitalità della figura che si manifesta con vigore nei dettagli dei piedi, delle mani e dalla testa fortemente stilizzata, in cui l'espressione è sottolineata dalle sopracciglia fortemente arcuate e dall'intensità degli occhi.
L'insieme suggerisce la maestà e la potenza di Cristo glorificato, di cui si sottolinea l'alterità e terribilità della natura divina, del creatore e giudice.
Più pacato e pacificante appare invece il Cristo della cornice della Creazione, nel portale centrale del transetto sud della cattedrale di Chartres (XII secolo).
Fin dalle origini della Chiesa ed ancora in epoca medioevale, l'iconografia cristiana non conosce nessuna rappresentazione del Padre da solo. In raffigurazioni della Genesi il Creatore ha il nimbo crucifero, infatti è Cristo, il Verbo poiché il Verbo è l'immagine del Padre (cfr. "Chi ha visto me ha visto il Padre" Gv. 14, 9) e il gesto di benedizione è segno dello Spirito; ci troviamo davanti ad una raffigurazione della Trinità così come era stata definita nel 1215 dal Simbolo Lateranense.
La creazione di Adamo - notiamo la commuovente somiglianza nelle fisionomie del Creatore e della creatura - emana una grande tenerezza: alla dolcezza dell'espressione del Creatore che modella il primo uomo fa riscontro la delicatezza del sorriso di Adamo, felice di riposa abbandonato nel grembo di Dio. Figura 7
Sulla scia di una sempre maggiore umanizzazione della figura del Cristo si situa l'anonimo Crocefisso (XIII secolo) venerato nella chiesetta di San Damiano in Assisi, quello che secondo la tradizione disse a Francesco: "Va' e ripara la mia casa!". Proprio nel contesto culturale e religioso che determinerà l'azione e la parola di san Francesco si diffonde, con gli esempi più noti di Cimabue e Giotto, questa particolare iconografia: il Cristo crocefisso è un emblema avulso dalle drammatiche vicende della Passione. La gloria del Redentore passa attraverso la croce e la sofferenza; il Cristo - un volto in cui con naturalezza sono raffigurati i capelli, la barba, lo sguardo - regna dalla croce e si propone all'uomo avendone condiviso ogni condizione fino alla morte. Nelle ricche e turbolenti città comunali Francesco propone ad ogni uomo la via della santità, in un'esperienza di fede che sottolinea l'umanità di Cristo. Figura 8