Un primo approccio all'improvvisazione...
Il concetto di "improvvisazione", con un esempio: Kind Of Blue- Autore:
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Il concetto di "improvvisazione" viene spesso associato dal sentire comune a quell'idea di anarchia intellettuale che giustificherebbe l'artista come rinchiuso in un ermetico individualismo, inventore del proprio linguaggio e fautore di un'arte unica, cioè incomunicabile. In realtà vedremo come il musicista di jazz cammina costantemente in bilico tra ciò che liberamente sceglie di fare e ciò a cui costantemente deve obbedire.
Il jazz quindi è, nella sua evoluzione, espressione libera e come ogni dimensione dell'umano, obbedisce a regole, tiene anche conto di ciò che lo precede e segue un solco entro il quale costantemente si muove.
C'è un altro elemento essenziale quindi che va tenuto in considerazione: la tradizione (1). E come ogni forma d'arte che mantiene un rapporto sereno con la tradizione di cui è evoluzione, il jazz porta in sé un modo di concepire l'uomo che rompe gli schemi. Come tutte le forme d'arte autentiche schiude e rivela, provoca e mette in discussione, prima di tutto per chi ne è l'artefice. In questo senso la musica di grandi innovatori è stata spesso eloquente e talvolta alle note si sono aggiunte le parole di chi percepiva una straordinaria relazione tra la propria arte e l'esistenza.
…e un esempio
Bill Evans, uno dei pianisti più sensibili della musica afroamericana ebbe a dire: "Attraverso l'arte possono venire alla luce parti di te la cui esistenza ti era completamente sconosciuta. Questo è il vero scopo dell'arte: l'artista deve trovare ciò che di universale vi è in lui e saperlo tradurre in termini comunicabili agli altri". Il Bop e Debussy, Bach e la canzone americana; tutto questo entrava nel panismo di Evans e questo rappresentava per lui la tradizione. Quando incominciò a suonare nelle prime orchestre scolastiche aveva solo dodici anni ma era già in possesso di una tecnica notevole. Poteva eseguire i classici della letteratura pianistica ma non era mai uscito dai confini dello spartito. Poi una sera accadde qualcosa. "L'orchestra stava suonando Tuxedo Junction, un classico dello swing, quando ad Evans venne l'ispirazione di aggiungere a ciò che c'era scritto un paio di note dall'inflessione blues. Fu un brivido. Un nuovo mondo musicale gli si apriva davanti: la possibilità di fare in musica qualcosa di bello e piacevole che non era stato pensato da altri". (2)
Che cosa avviene nell'improvvisazione
La musica è l'unica forma d'arte in cui l'opera esiste sia in forma scritta che, potenzialmente, in forma "sonora". Dobbiamo quindi concludere che sia necessario distinguere due figure distinte ma complementari: creatore ed esecutore.
Nel jazz accade qualcosa di decisamente particolare: tali figure spesso coincidono per la presenza dell'aspetto improvvisativo (3). L'autore di un brano di jazz crea quello che in gergo viene chiamato "tema". E' di fatto una breve composizione e rappresenta il nucleo ispirativo di ogni brano, il canovaccio iniziale su cui costruire l'improvvisazione. I musicisti che si trovano a comunicare all'interno di un dato brano conoscono il tema nelle sue tre componenti essenziali: la melodia, l'armonia (cioè gli accordi sui quali la melodia si appoggia) e il ritmo. Suonare jazz significa essenzialmente improvvisare tenendo conto di queste tre dimensioni. Si capisce così l'importanza della relazione che esiste tra la tradizione (rappresentata anche dalla conoscenza dei temi, i cosiddetti standards) e la libertà che da essa deriva.
Ogni volta che ascoltiamo un brano di jazz siamo quindi di fronte a qualcosa di unico, irripetibile: un microcosmo legato alla concezione musicale dell'artista, che si esprime nell'attimo. In questo modo lo spettatore si trova ad essere testimone di un atto creativo in cui l'aspetto comunicativo diventa essenziale: l'intesa musicale tra i musicisti genera sempre del nuovo, anche agli occhi degli esecutori stessi.
Questa è la ragione per cui in molti dischi di jazz, soprattutto nelle ristampe, troviamo più versioni di uno stesso titolo (4). E questa è la ragione per cui vale la pena ascoltare differenti versioni di uno stesso tema suonate da musicisti diversi: le possibilità espressive sono pressoché infinite, ma il terreno comune spinge la creatività del musicista verso una dimensione di ricerca che innova senza scardinare, crea aprendo nuove strade percorribili.
Una storia di rapide mutazioni
…Il jazz esiste da meno di un secolo (5) e, dalla sua comparsa nelle prime piccole orchestre dixieland degli anni venti ad oggi, ha subito tante e tali mutazioni da trovare una corrispondenza solo in ciò che nella musica classica è avvenuto in quattrocento anni. Questa è la diretta conseguenza dello stretto rapporto che ogni musicista ha scelto di mantenere nei confronti di chi lo ha preceduto, quasi che la comune radice di linguaggio e forma abbia garantito un'evoluzione lineare, diretta, senza deviazioni anacronistiche. Quelle che nella musica colta europea vengono definite "ere", nel jazz si esauriscono in decenni e appaiono legate, almeno nel loro primo manifestarsi, alla genialità e all'ardire di musicisti che sanno guardare oltre più che ad un processo evolutivo costante.
Innovatori che hanno una visione della musica quale mezzo per potersi spingere dove nessuno avrebbe mai osato: Louis Armstrong, Duke Ellington, Charlie Parker, Thelonius Monk, Miles Davis, Bill Evans, John Coltrane, Ornette Coleman possono essere considerati alcuni dei pochi musicisti jazz che hanno vestito, più o meno consapevolmente, i panni del profeta.
Mi piace citare una frase della scrittrice Flannery O'Connor per riassumere quella dinamica creativa che in questi musicisti ha prodotto capolavori di straordinaria modernità: "Il romanziere scrive di quel che vede in superficie, ma la sua angolazione visiva è tale che comincia a vedere prima di arrivare alla superficie e continua a vedere dopo averla oltrepassata" (6).
Kind Of Blue
Il 2 Marzo e il 22 Aprile del 1959 Miles Davis entra in sala d'incisione con il suo sestetto (7) e registra i cinque brani che compongono uno degli album di jazz più importanti della storia di questa musica. Stiamo parlando di "Kind of Blue" (Columbia).
Il brano di apertura del disco s'intitola "So What". Inserite il cd nel lettore e subito sentirete il pianoforte di Bill Evans giocare con il contrabbasso di Paul Chambers in una breve introduzione di straordinaria forza espressiva. Tenete pure gli occhi aperti, tanto vedrete solo quello che questa musica sa comunicare. Ancora qualche nota del contrabbasso ed ecco il motivo, il primo nucleo melodico del tema, la domanda; poi due accordi al pianoforte, la risposta. Tutto qui. Il tema è la ripetizione di questa piccola cellula melodica. Soltanto la scala modale di riferimento varierà sedici battute dopo, alzandosi di mezzo tono, poi ancora le ultime otto battute. E' la forma AABA, una tra le più usate in quasi cento anni di musica afroamericana. Ascoltando il tema avete la netta sensazione di una composizione che esprime la formula della domanda-risposta e i soli di Davis, Coltrane e Adderley sono un viaggio a volte leggero, a volte inquietante. Ascoltate il solo di Davis (è il primo dopo l'esposizione del tema). Incomincia con due note (in realtà è la stessa ripetuta un'ottava sotto). Essenziale Miles. Le lunghe pause tra una frase e l'altra sono l'emblema del suo modo di concepire la musica come arte e ricerca del meno anziché del più.
Il secondo assolo è di Coltrane e bastano poche battute per renderti conto che sei da tutt'altra parte. E' una delle improvvisazioni più significative della storia del jazz e mette in evidenza la relazione tra due modi di concepire la musica che sono agli antipodi di uno stesso mondo. Fiumi di note, ricerca dell'espressività attraverso il suono, esasperata ricerca melodica, memore della propria origine. Lucida anticipazione di ciò che sarà pochi anni più tardi: un geniale visionario capace di esprimere le "vette e gli abissi dell'io" (8).
Note
1 "L'esperienza ci suggerisce, ed è solo apparentemente un paradosso, che noi troviamo la libertà in una rigorosa sottomissione all'oggetto". IGOR STRAVINSKIJ, Poetica della Musica, Ed. Curci-Milano.
2 ENRICO PIERANUNZI, "Bill Evans, ritratto di artista con pianoforte", Ed. Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri. Collana Jazz People.
3 Nel jazz non esiste il problema filologico legato alla prassi esecutiva dell'opera.
4 In gergo vengono definite "alternate takes".
5 "E' impossibile fissare l'esatta data di nascita del jazz come musica distinta, a sé stante. Alcuni storici utilizzano come ipotesi di lavoro il 1895; altri preferiscono il 1917, l'anno in cui la parola jazz pare sia entrata nell'uso corrente, e in cui la Original Dixieland Jazz Band effettuò quelle che di solito si considerano le prime incisioni di jazz". GUNTHER SCHULLER, Il Jazz. Il periodo classico. Le origini; Oliver, Morton, Armstrong, Edizioni di Torino. 1968.
5 FLANNERY O'CONNOR, "Nel territorio del Diavolo. Sul mistero di scrivere", Ed. Minimumfax.
7 Il sestetto era così composto: Miles Davis, tromba; Julian "Cannonball" Adderley, sax alto; John Coltrane, sax tenore; Bill Evans, piano; Wynton Kelly, piano (appare in un solo brano); Paul Chambers, contrabbasso; Jimmy Cobb, batteria.
8 MARCELLO PIRAS, "John Coltrane, un sax sulle vette e negli abissi dell'io", Ed. Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri. Collana Jazz People.