24 Aprile - IL GENOCIDIO ARMENO: una delle tragedie più dimenticate della storia europea e mondiale.

Oggi 24 Aprile ricordiamo nel 1915 a Istanbul, la data simbolo dell'inizio del Genocidio Armeno ad opera dei turchi.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Utilizziamo l'articolo di Vittorio Messori, Europa senza Armeni, in: "Jesus" - Anno XXIV - Dicembre 2002 - n. 10

"….Strana organizzazione davvero, questa Unione europea che discute seriamente sulla richiesta della Turchia di entrare a farne parte e che, pure, nel 1999, ha riconosciuto ufficialmente come "genocidio" la soppressione, tra il 1915 e il 1917, di almeno un milione e mezzo di cristiani armeni proprio per mano dei Turchi. Mentre altre centinaia di migliaia erano stati massacrati negli anni precedenti. Il riconoscimento di quella spaventosa tragedia da parte dell’Europa, e di alcuni Stati nazionali, è stato tardivo ed è contestato aspramente dai governi ottomani che si sono succeduti sino ad oggi.
Gli Stati Uniti non vogliono tuttora sentire parlare di "genocidio armeno" (il presidente Clinton stesso è intervenuto per bloccare un’iniziativa del Senato) perché contano sulla Turchia come alleato fedele nel Medio Oriente. Ma anche perché, negli Usa, è intervenuta la potente lobby ebraica che difende aspramente il monopolio della parola "genocidio" che, si sostiene, deve essere riservata solo alla persecuzione nazista degli ebrei. La Shoah, come la chiamano, deve essere considerata unica, tutte le altre persecuzioni non hanno lo stesso significato incommensurabile e la stessa intensità di patimento. [....]

Basti pensare che nel gigantesco Holocaust Memorial di Washington, finanziato e gestito dal Governo Federale, si è praticamente eliminato ogni riferimento agli armeni, così come agli zingari che pure, con oltre mezzo milione di vittime per mano nazista, ebbero in proporzione perdite più alte degli israeliti. ...

In un recente, informatissimo e pacato studio della Civiltà Cattolica proprio sulle resistenze che trova ancora oggi lo sforzo per non perdere la memoria della terribile strage perpetrata dai Turchi, ci si dice «molto colpiti» perché il ministro israeliano Shimon Peres, in una visita ad Ankara, «ha definito "senza senso" le richieste degli armeni, che pretendono l’uso dei termini olocausto e genocidio anche per il loro milione e mezzo di morti su una popolazione totale, presente allora in Turchia, di due milioni e centomila persone».

Peres, in un’intervista, ha ribadito:
«Quella del popolo armeno è stata una tragedia non un genocidio». Non si dimentichi che, almeno sino ad ora (ma le recenti elezioni, con la vittoria del partito islamico, mandano messaggi inquietanti) la Turchia è stata per Israele il solo alleato nel mondo musulmano e il fornitore di molto di ciò che serve a mantenere il suo agguerritissimo esercito.

In realtà, poiché, secondo la stessa definizione delle Nazioni Unite, «genocidio è lo sterminio di un gruppo nazionale, etnico o religioso», poche volte il termine è adeguato come nel caso dell’Armenia. Lo riconobbe anche Giovanni Paolo II nella sua visita, alla fine del 2001, dove non esitò a parlare di un popolo martire per la sua fede.

L’obiettivo cui si mirò (raggiungendolo: non ci sono più armeni nelle province turche dov’erano o maggioranza o minoranza particolarmente numerosa) fu la soppressione totale, con una strage di massa che cancellasse sino il ricordo della più che bimillenaria presenza armena in quel territorio che divenne dei Turchi ottomani, arrivati come intrusi e invasori, soltanto a partire dal XIV secolo.
Quello che i Turchi si proposero prima durante la Grande Guerra fu proprio, ed esplicitamente, una "soluzione finale".

Per un credente, il popolo armeno non è uno come tanti altri: qui nacque - nel 301, dunque ancor prima delle leggi di tolleranza costantiniane - il primo regno cristiano della storia. Qui, in terre tormentate e di confine (scosse, tra l’altro da continui terremoti) questa gente seppe restare fedele sotto le aggressioni e le dominazioni brutali di innumerevoli altre culture e religioni.
In particolare, continuò paziente a persistere nella sua fede, a stringersi nella sua Chiesa (che per molti armeni fu quella cattolica) anche nei secoli in cui al Turchi ottomani dovette pagare il pesante tributo di dhimmi, sottomessi, e accettare l’inferiorità e le umiliazioni consuete per tutti i battezzati sotto il giogo islamico. Dai Sultani d’Istanbul ottenne addirittura il titolo di "comunità più fedele": in effetti, pur di essere lasciata in pace a vivere da cristiana, dava a quel Cesare con turbante quel che pretendeva, senza troppo lagnarsi e senza cercare di ribellarsi.

Il "Grande Male" (come gli armeni chiamano il loro Olocausto) cominciò con la crisi dell’Impero ottomano e il sorgere, per compensazione, del nazionalismo turco, cui da parte cristiana si cercò di reagire. Alcuni partiti, di ispirazione socialista e condannati dalla Chiesa, ricorsero anche al terrorismo. Così, tra 1894 e 1896, una serie di massacri ordinati da Istanbul portò a una prima strage di 300 mila armeni e a migliaia di conversioni forzate all’Islam.

Ma il genocidio vero e proprio sarà consumato dai "Giovani Turchi", il partito nazionalista e razzista che intendeva procedere a una vera e propria "pulizia etnica".
Nel 1909, si fece un’atroce "prova generale", con lo sterminio di 30 mila armeni della Cilicia, sotto l’occhio indifferente delle Potenze sedicenti cristiane, impegnate in un gioco politico tra Turchia e Russia.

Come già in precedenza, la Chiesa cattolica fu la sola a levare la voce per denunciare e per protestare, con documenti, passi diplomatici e articoli ufficiosi sulla Civiltà Cattolica. Allo scoppio della guerra. nel 1914, la Turchia, alleata di Tedeschi e Austro-Ungarici, subisce una disfatta sul fronte caucasico, dove gli armeni sono da sempre a casa loro, in assoluta maggioranza.

L’occasione è propizia per liberarsi finalmente del problema. Mentre i soldati armeni nell’esercito ottomano sono tutti disarmati, usati come bestie da soma sino a esaurimento delle forze e poi fucilati, per il milione e duecentomila di altri armeni sul Caucaso giunge da Istanbul l’ordine di deportazione nel remoto deserto asiatico. Ne seguono eventi spaventosi: chi non è ucciso dalle baionette, dalla fatica o dalle percosse, troverà la morte per fame, sete, prostrazione giunto al "punto d’arrivo", dove in realtà non c’è nulla se non la sabbia.

Alla fine della guerra, non ci sono più armeni sul Caucaso: lo sterminio, lì, è terminato, con più di un milione di morti, i pochi superstiti sono fuggiti verso la Russia o sono andati a ingrossare la già cospicua diaspora. Ne restano però, nelle zone occidentali della penisola anatolica: ad essi provvederà Kemal, l’eroe nazionale, detto Ataturk, cioè "Padre dei turchi", con nuove stragi e con la cancellazione della sentenza dell’immediato dopoguerra, con cui lo Stato ottomano, riconoscendo la terribile strage, aveva condannato a morte i politici che ne erano stati responsabili.

Da allora, parlare di "genocidio armeno" è ufficialmente vietato in Turchia: una negazione contro ogni evidenza che, come abbiamo visto, conta ancora su potenti appoggi anche all’estero. Intanto, gli Eurocrati …..."

Per approfondire vedi:
- Vedi anche: LA STRAGE DEGLI ARMENI di Giovanni Sale S.I. In: Quaderno N°3636 del 15/12/2001 - (Civ. Catt. IV 531-668)

- Il sito della comunità armena di Roma

- Scheda a cura di GARIWO