Anima della mal-ora o mal-tempo
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Trovo opportuno scrivere qualcosa per i “perplessi” o “smarriti”, mi riferisco all’espressione nota “le pecore smarrite della casa di Israele” che nulla ha a che vedere con la cura d’anime debolucce. (1)
Mi riferisco al discorso di un Tizio, Caio o Sempronio, che chiamo Gesù (Giosuè) non solo perché così vogliono testo e tradizione, ma per l’indubbio ceppo ebraico del discorso stesso:
al momento non ho neppure bisogno di presupporne la storicità, nonché la divinità, basta il discorso o la ragione che gli è propria.
L’interesse di Tizio-Gesù sta nel fatto che prende una iniziativa non necessitata:
è come uomo (notabene: sensibilità-motricità-pensiero, altrimenti non significa niente) che dichiara di volere restare immortale (narrativamente l’“ascensione”) mentre nulla impediva che lasciasse lì i suoi resti mortali (è l’aspetto corretto dell’obiezione docetista).
Questa presa di posizione equivale all’asserzione che restare uomo è soddisfacente e desiderabile, e che non ricomincerà tutto da capo:
non per automatismo miracoloso-divino ma per possibilità logica.
Infatti nell’ascensione l’accento non è sul miracolo cioè sulla potenza divina (questa riguarda la sola resurrezione), bensì 1° sul desiderio di restare uomo in quanto tale, 2° sorretto sul sapere che l’uomo include la virtus o facoltà della soddisfazione.
Iniziativa, desiderio, sapere nulla hanno a che vedere con la necessità intrinseca all’anima platonica, automatismo.
Non si era mai dato in precedenza il caso di un uomo capace di un tale desiderio e sapere, meno che altri Budda che li esclude formalmente nel suo “Nirvana”, proprio perché l’umanità è indesiderabile.
La “salvezza” è l’offerta insita in tali iniziativa-desiderio-sapere, non il miracolo stupe-facente (stuporosità-stupidità) di un dono dall’alto:
altrimenti timeo deos et dona ferentes.
Solo uno stupido in proprio avrebbe desiderato di restare eternamente uomo senza la saputa certezza della soddisfazione nella successione temporale (liberazione del tempo dall’angoscia e dalla noia).
Nei riguardi dell’iniziativa nonché offerta di Gesù, l’anima platonica è stata solo una grave turbativa, spostando tutto sulla necessità more geometrico:
ricordo la geometrica Trinità di Dante, con lì in giro la parvenza docetista di Gesù;
ricordo anche che i Sadducei non erano poi tanto stupidi a non fare conto sull’eternità automatica dell’anima.
Con un tocco di teologia (di cui non sento la … necessità), osservo:
I. che l’essere Dio non obbligava affatto Gesù a restare uomo (cioè a restare Tizio-Gesù);
II. che senza quel desiderio e quel sapere, l’essere Dio sarebbe servito a Gesù solo per sopportare eternamente l’insoddisfazione della condizione umana, bell’affare!:
vero che le risorse divine sono infinite, ma resta che sarebbe una spesa eterna, per non dire uno spreco, come se un povero potesse attingere eternamente a un inesauribile bancomat eterno.
Da tempo dico che il pensiero (senza anima alcuna) di Gesù ha ragione, una ragione, non la ragione platonica, né parmenidea:
non c’è dubbio che Gesù abbia studiato (il Talmud anzitutto ma non solo, il greco per esempio), ma certo non si è iscritto alla Scuola di Atene.
Freud ha sempre lavorato per la pensabilità della soddisfazione e dell’esperienza temporale esente da angoscia e noia, e la pensabilità dell’amore impensato.
Milano, sabato 26 febbraio 2011
NOTE
1. Mi riferisco alla perplessità manifestata da qualcuno in seguito a tre articoli del mio Blog Think!: Zardoz o l’eutanasia degli immortali, lunedì 7 febbraio u.s., Titoli-spazzatura o l’anima al diavolo, mercoledì 23 u.s., La Multinazionale delle Idee, giovedì 24 u.s., www.giacomocontri.it