Un esperimento intellettuale 4 – Appunti sul pensiero di Cristo
Si conclude la Prefazione di Giacomo B. Contri al libro di Fausto Capucciati "Tutto il pensiero al singolo", TEP edizioni, il primo lavoro che utilizza in modo organico il pensiero di Giacomo B. Contri in ambito Teologico. L'opera in due tomi è stata pubblicata nell'agosto 2009 ed è disponibile al Meeting di Rimini 2009 in Libreria Itaca.- Autore:
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Appunti: I
Lo scrivente ha … ragione di non nascondere la propria professione di fede cristiana anzi cattolica: trovando per questo ragione in quella base, fondamento o “roccia”, che è l’affidabilità, e san(t)ità, del pensiero di Cristo (il noùs Kristoù di S. Paolo che abbiamo, ékomen) in quanto affidabile ossia consistente e innocente: in cui allora posso avere fede anche riguardo a enunciati non alla mia portata, anzitutto l’esistenza individuale, o personale, del “Padre nostro”, dichiarato avere un erede e dei co-eredi di questo.
Perfino della terza Persona posso individuare una precisa e formale razionalità (diversamente dall’obiezione di Borges). Infatti se sono tre l’amore non ha più come modello il due ossia l’innamoramento, sia pure trasferito dalla terra al cielo, come credeva Dante e altri medioevali (Riccardo di San Vittore sulla “violenta carità”, incredibile!): essendo tre non è possibile che si guatino “iri da iri” come gli innamorati, salvo che siano comicamente strabici. Qui c’è innovazione sull’“amore” come proposta razionale.
Se l’intero cristianesimo fosse riconducibile alla denuncia dell’innamoramento come mentito amore, e all’apertura di una nuova stagione (“vangelo”) dell’amore, esso avrebbe risposto degnamente alla sua vocazione: non è stato così.
Faccio osservare da anni che Gesù ha ragione, in tutti i significati dell’espressione. Bisogna avere ragione per eventualmente sentirsi ritorcere di avere torto: è noto che “solo ai matti si dà sempre ragione”. Come dimenticare che i Vangeli documentano una disputa permanente su chi ha ragione? La disputatio medioevale è salottiera a paragone delle disputationes di Gesù (siamo proprio certi che egli disputava con dei puri ebrei?)
Nella disputatio di Gesù colloco la portata autenticamente filosofica o metafisica dell’asserzione che “l’albero si giudica dai frutti”: secondo la quale l’essere dell’ente dipende dal giudizio sul lavoro e sulla produttività di esso. Il fatto del frutto certifica l’ante-fatto dell’ente. La metafisica greca era assolutamente contraria, e intimamente schiavista (il lavoro è del servo).
Appunti: II
In questa prospettiva, nel disegno, mappa o ordinamento di “cieli nuovi = terra nuova”, non trova più posto, per il presente e il futuro, l’Idea visionaria di “Volto di Cristo”: se avesse un volto, questo potrebbe solo essere un dato di una percezione sensoriale, non una visione di una percezione extrasensoriale, magari gemellata con una motricità da telecinesi: l’una e l’altra significano morte del corpo, finzione di resurrezione, docetismo in excelsis, eterna finzione barocca.
Da anno sostengo e mostro che il “docetismo”, che riassumo nella formula “non è vero niente!” o “non c’è che sembianza” (il semblant lacaniano), non è quella vecchia eresia di tanti secoli fa, bensì è la Cultura oggi vincente e dominante, onnivora, cristiani o non cristiani. E a nulla vale l’appello mistico al “Mistero”. Rammento ancora con sentimentale simpatia gli strenui, e un po’ volontaristici, tentativi del cattolicesimo della mia prima giovinezza tesi ad affermare il realismo (perfino Lenin lo riconosceva senza accontentarsene). E’ stato l’ultimo debole argine al docetismo.
Riassumo le due sfide lacaniane: a. a riconoscere significato, o concetto, al significante “Padre”, b. a cogliere o formulare un discorso che non sia docetismo, “un discours qui ne serait pas du semblant”.
Appunti: III
Ancora un’osservazione che posso forse considerare una scoperta.
La sequenza incarnazione-resurrezione-ascensione prima che articolo di fede è un’asserzione razionale. Quale?
Insisto sulla discutibilità di una ragione da parte di un’altra, in questo caso quella di Platone e Buddha associati, e solo per prenderla alla lontana.
La suddetta sequenza asserisce, contro asserzioni opposte, la desiderabilità del corpo, del corpo come profitto. Ho scritto un saggio intitolato “Il profitto di Cristo”: il corpo come tale. Richiamo ancora il docetismo, prezioso se assunto razionalmente come obiezione metodologica (che è poi un’obiezione che abbiamo tutti).
Infatti, salvo assumere quella sequenza come finta-finzione-semblant ossia che “non è vero niente”, se il corpo non fosse un profitto come asserzione razionale dell’augusta Seconda persona, saremmo obbligati a concludere, con dispiacere e non per bestemmia, che è stato proprio un idiota a rimorchiarsi dietro questa faticosa e angosciosa carcassa, pura perdita o costo (siamo sinceri: quanti di noi non pensano la famosa “trasfigurazione” come cancellazione della motricità e della sensibilità, e in ultima analisi del pensiero?)
Basta spostarsi appena un po’ per accorgersi che la medesima asserzione razionale equivale a un’altra: che non ricomincerà tutto daccapo. Era già andata storta una volta (“peccato originale”), come poteva il suo pensiero saper concepire che non ricomincerà tutto daccapo?
Rifiuto di risolvere la questione con una variante della disonesta scommessa di Pascal. Come pure con un’astratta inferenza dal postulato dell’onnipotenza divina: saremo tutti precettati a una stupefatta bontà?, e sedati nell’angoscia?
Rinvio a ciò che ho detto del pensiero di Cristo come affidabile perché riscontrabile 1° consistente, 2° innocente.
Ciò significa anche considerarlo psichicamente sano. (1) Informo che considero questa coppia come il test universale di salute psichica. Ad Aristotele non avrebbe potuto neppure venire alla mente questo fine della (non-)contraddizione. Per la verità, neppure ai logici medioevali e moderni. Né agli psicologi.
Osservo anche, e facilmente, che non potrei ritenerlo affidabile se dovessi anche solo sospettarlo di essere una banderuola divina ossia di fatuità (ancora il docetismo), che non pensa né asserisce ora ciò che pensava-asseriva allora (a partire da “L’albero si giudica dai frutti”, ma ormai mi ripeto).
Appunti: IV
Per finire. Gesù è stato amico del corpo-amico del pensiero come lo è stato, tanti secoli dopo, Freud, un ebreo sputato anche lui. Certo la psicoanalisi - come applicazione particolare nella cura dell’amicizia per il corpo-pensiero - l’ha inventata Freud, ma d’altronde Gesù non aveva nessuna voglia di fare tutto lui: cosa visibile nel fatto che se l’è sbrigata abbastanza alla svelta. Del che San Paolo, e io con lui, è stato benevolmente invidioso (nel raro uso benefico della parola “invidia”): ho sotto mano i passi che lo dicono.
Confermo una delle mie battute: se Gesù siede alla destra del Padre, Freud siede alla sua sinistra.
Come pure un’eccellente battuta di J. Lacan: “Un giorno dovremo dimostrare l’esistenza di Freud”.
Ho così voluto dare due esempi, più alcuni appunti, di temi e questioni con cui l’esperimento intellettuale di Fausto Capucciati si è direttamente o indirettamente trovato alle prese.
Auguro buona fortuna a lui che ha scritto, a chi legga, a me stesso.
Giacomo B. Contri
NOTE
1. Pur nella brevità, informo che mi è stato dialetticamente utile il breve libro di A. Schweitzer, La valutazione psichiatrica di Gesù (Die psychiatrische Beurteilung Jesu), Mohr, Tübingen 1913. Reperibile tradotto in: www.edizionisic.it
Le conclusioni di Schweitzer non sono certo le mie, né quelle degli psicologi da lui esaminati: tuttavia ho trovato pertinente il quesito del titolo del libro.