Ibrahim Rugova 7 - "E' morto abbracciando il Cristo"
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Abbiamo visto il pensiero, la vita e le opere di Ibrahim Rugova guida di un popolo.
La sua morte chiude nella luce il cerchio perfetto del suo cammino umano, politico e spirituale, che sfocia naturalmente nella consacrazione al suo grande maestro e ispiratore, il "Principe della pace": lo definisco con questa espressione perché tale era Cristo, e con quel nome lo onorano i Musulmani.
Per questo chiudo proponendo un articolo di Battistini sul "Corriere della sera", in morte di Rugova
Il confessore Don Gjergji e il segreto del battesimo «È morto abbracciando il Cristo»
Don Gjergji, adesso si può dire: Rugova s' era convertito al cristianesimo? «Non so se si può dire. È meglio se non lo scrivete. La metta così: era culturalmente e spiritualmente vicino alla fede cristiana». Ma è vero che, in segreto, s'era fatto battezzare? «Ormai, la sua mente e il suo cuore erano profondamente cristiani. Comunque, anche questa è una cosa che non si chiede e non si rivela: appartiene solo alla sua coscienza». Si è confessato? «Diciamo che ha offerto la sua sofferenza a Dio e a Madre Teresa». Ma perché non rendete ufficiale questa conversione? «Perché è un momento delicato, per il Kosovo. Non si dimentichi che era il nostro presidente. E che questa è una regione al 98 per cento albanese. E che molti albanesi si dichiarano musulmani». Con la sua sciarpetta blu e i suoi sogni d' indipendenza, Ibrahim Rugova si porta nella tomba il più inconfessabile, il più risaputo dei segreti kosovari: un battesimo. Un cammino di fede che l' aveva portato (cosa rara) ad abbandonare l' Islam e ad abbracciare il Cristo. A seguire lo stesso credo del nemico serbo. Don Lush Gjergji, 56 anni, studi a Roma, parroco d' una frazione di Pristina, autore di libri sulla kosovara Madre Teresa di Calcutta, è il sacerdote albanese che dal 1980 ha accompagnato il percorso spirituale e politico del Gandhi dei Balcani. Lo chiamano tutti «il confessore del presidente». Nella canonica di Vitina, è emozionato: «L' ultima volta, sono stato a trovarlo lunedì. Non voleva più vedere nessuno, non ce la faceva. Ma quando gli ho detto che era in visita a Pristina il cardinal Angelo Scola, ha voluto fare un' eccezione». Si sono incontrati? «Venti minuti. Una cosa emozionante. Rugova gli stava spiegando la situazione politica. Diceva che lo sforzo è di calmare le acque. Poi, di colpo ha tentato d' alzarsi: voleva inginocchiarsi davanti al cardinale, ma non ci riusciva. Allora gli ha baciato l' anello e ha detto: "Lo faccio in devozione a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e al vescovo del Kosovo che è morto pochi giorni fa"». (Il Patriarca di Venezia è rimasto colpito dal gesto: «È stata una grande esperienza personale, commovente - dice oggi Scola -. Era un grande uomo. Vorrei avere l'abilità di voi giornalisti, per scrivere di quel che ho provato»). Non viene seppellito entro un giorno, come prescrive il Corano: che funerale sarà? «Non un funerale musulmano, chiaro. Un funerale di Stato. Il suo testamento spirituale. Lui non aveva nemici, cercava di capire anche gli oppositori e i suoi carnefici: "Ogni tanto qualcuno scivola e bisogna recuperarlo", diceva». La tomba avrà una croce? «Non so. Da un mese è pronto un sepolcro, nel cimitero di Pristina. Ed è un cimitero per tutte le fedi». Rugova volle una cattedrale dedicata a Madre Teresa e chiese a Papa Wojtyla di venire a benedirla. Nei Balcani che si riempiono di moschee, ripeteva che la prima fede praticata qui è stata il cristianesimo, perché l' Islam è arrivato dopo. Qualche mese fa, gli hanno messo un' autobomba: aveva paura? «No. Il suo cammino di fede è cominciato molti anni fa, eppure è stato sempre eletto. Molti intellettuali albanesi stanno facendo la stessa riscoperta d' identità storica e spirituale: noi veniamo da Skanderbeg e da Madre Teresa. Se rinneghiamo questo, rinneghiamo noi stessi». Ma che pensava dell'Islam? «Non ha mai voluto esprimersi: né nel bene, né nel male». Esce di scena in un momento delicato. Dice Pacolli, uomo del Russiagate, che la sua malattia è stata un po' come quella di Sharon in Israele... «Sharon? Casomai Mosé! È morto appena prima di vedere la sua Terra Promessa, finalmente libera».
Francesco Battistini
(22 gennaio 2006)