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“Adamo dove sei?”

Fonte:
CulturaCattolica.it

Una corona di fiori bianchi e gialli in memoria e in rispettoso omaggio ai 20.000 immigrati naufraghi nelle acque del canale di Sicilia. Un numero sconcertante. Il tonfo dei fiori in mare risuona nel silenzio. Un silenzio ben diverso dall'indifferenza di cui parlerà poco dopo papa Francesco. “Una spina nel cuore che porta sofferenza, dice, dovevo venire qui a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perchè ciò che è accaduto non si ripeta”. Lungo la traversata verso l'isola, don Stefano -parroco di Lampedusa- racconta al Papa cosa succede di fronte alle coste di quella terra bellissima. Ha invitato Papa Francesco, con una lettera in cui gli scrive: “Le lacrime dei migranti che attraversano questa terra, impastate alle nostre, mi rimandano ad altre lacrime, quelle custodite tra le mura della stanza che, prima tra tutte, ha conosciuto il volto del nuovo Vescovo di Roma. Mi piace pensare che le lacrime dei suoi occhi, sgorgate nel momento dell’ “elezione”, incrocino le lacrime di ogni uomo e di ogni donna che si trascina negli angoli della terra, tra le miserie della storia e la fatica di ogni giorno”. E il Papa si è recato a Lampedusa. Il silenzio di fronte all'azzurro del mare, alle case dei pescatori, si è fatto carico della presenza di Dio che interroga l'uomo: “Adamo, dove sei?”, “Caino, dov'è tuo fratello?” È tutto semplice in questa giornata, essenziale: i gesti, gli sguardi carichi di un'affettuosa accoglienza, le parole profonde e misurate nella loro drammatica denuncia, gli arredi liturgici e la croce papale realizzati con il legno delle barche. Più volte il papa ringrazia gli isolani per la solidarietà dimostrata e per la testimoniamo resa di fronte al mondo, in primis di fronte a un'Europa sorda agli appelli. Nelle richieste dei giovani immigrati riecheggiano le domande bibliche. “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle!?, chiede il Papa. “Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro … Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov'è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?” Oggi nel mondo nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”. ..” siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza e ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro”. È una spersonalizzazione, un ritrovarsi senza nome e senza volto, “innominati”, che disorienta e che rende estranei alla realtà, anche a quella che ci è prossima. L'individualismo, conseguente alla cultura del benessere, prende il sopravvento sulla solidarietà, “ci rende insensibili, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio”. Il Papa ammonisce che l'aridità della vita, l'insoddisfazione che consegue all'inevitabile scomporsi delle bolle di sapone, ha come prima causa la trascuratezza di sé. L'uomo si dimentica della propria origine e del proprio destino, dimentica di avere una coscienza, luogo della legge naturale, dell'originario orientamento al bene e al giusto. Ma anche il cuore più duro può trasformarsi in un cuore di carne ed è Gesù che opera questa trasformazione. “Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti. Tutti noi abbiamo il dovere di fare il bene. E questo comandamento, di fare il bene tutti, credo che sia una bella strada verso la pace. Se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo facendo il bene e, lentamente, facciamo quella cultura dell’incontro: ne abbiamo tanto bisogno. Incontrarsi facendo il bene. Il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo”. Lui è la vittoria su ogni indifferenza e su ogni male.

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