Perché non deve essere vita umana?
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(E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato)

Spesso il male di vivere ho incontrato. Anch’io come Montale, anch’io come tutti.
Se il male di vivere è, per il poeta ligure, il rivo strozzato che gorgoglia, l’incartocciarsi della foglia riarsa – eppure il rivo non «sente», eppure la foglia non ha la percezione del doloroso suo incartocciarsi – che dire delle migliaia di vite interrotte dall’aborto? Che dire della fine riservata a quei corpicini appena abbozzati? Non «sentono», si dirà. Non hanno coscienza.
Come il rivo? Come la foglia?
Come il cavallo stramazzato, almeno. Non ha coscienza, non sa dare nome al suo dolore, ma il dolore c’è. Chi potrebbe negarlo?
Spesso il male di vivere ho incontrato.
Il destino riservato a quegli embrioni, quei feti, quei figli non voluti è il loro – e ancor più – il nostro male di vivere. Di noi donne che, padrone del nostro corpo, ci arroghiamo il diritto di dire sì o no alla vita – altra da noi – che cresce dentro di noi. Di noi che abbiamo lottato per la libertà e ci ritroviamo schiave del desiderio, che è tiranno insaziabile. Di noi postmoderni, che non riconosciamo più la differenza tra un animale e un piccolo d’uomo.
Oggi è la giornata dei «bambini non nati».
Ho letto un tweet, ieri. Ironico. «March 25th is the International Day of the Unborn Child #prolife #nochoice #nonsense». Poi il link al manifesto, che è l’immagine nettissima di un figlio nel grembo di sua madre, come lo vedi con l’ecografia 3D. Non un «grumo di cellule»: inconfondibilmente un bambino.
No, non è «nonsense» che il 25 marzo, nel mondo, si ricordino tutti i figli non nati. Il 25 marzo è giorno in cui l’Angelo annunciò a Maria che sarebbe diventata Madre. Il suo «fiat» libero di donna (e poi dicono che il Cristianesimo è misogino!) ha dato inizio alla storia della nostra salvezza. Nel suo ventre, Dio ha deciso di farsi come noi: embrione, feto, bambino.
Non è «nonsense» ricordare, oggi, il sì della Madonna e riflettere sul nostro «sì» o il nostro «no» alla vita! Non sono chiacchiere, proclami, astrazioni. La Parola si è fatta Carne, e quella Carne che da adulta girava per le strade della Galilea, e predicava, e compiva miracoli, prima era neonato in una mangiatoia. Feto, embrione nel ventre di Sua Madre. Come quelli che oggi vogliamo ricordare e che però non hanno visto la luce: non gliel’abbiamo permesso.
«Nonsense» sarebbe l’omissione, la rimozione per non riaprire ferite. «Non sono nati, dunque non sono mai esistiti». Non è vero. C’erano, e non sono più.
Oggi, 25 marzo, pensiamoli, questi bimbi non nati. Guardiamolo in faccia, il nostro male di vivere: scopriremo che ha radici profonde. Perché l’assassinio di un figlio altre ragioni non ha, se non la dimenticanza. Dimenticanza del nostro essere figli, e cioè dell’origine. Dimenticanza di essere stati voluti, e dunque del compito, di un destino.
Quei bimbi rifiutati parlano a noi, alla nostra vita. Raccontano la nostra inettitudine, e quel senso della vita, che abbiamo perduto. E allora è dentro di noi che dobbiamo guardare. Al cuore. Perché non si può dare ad un figlio il senso dell’esser voluto, se non sappiamo comunicargli la gioia di un destino. E ragioni per cui valga la pena.