Piccoli presepi
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Piccoli presepi con il Bimbo sorridente erano esposti in una minuscola vetrina; non ho nemmeno cercato di resistere alla tentazione e, così, sono entrata in quel negozietto dove si parlava il dolce idioma parigino.
Mi trovavo a Betlemme e la sorpresa delle parole francesi si aggiungeva alla originalità del “sorriso”.
Si trattava del laboratorio di gentili suore francesi che lì, lavoravano la “terracotta”.
Comperai piccoli Gesù sorridenti per tutti coloro a cui avrei voluto portare un regalo; la statuina riproduceva un neonato col faccino grinzoso e la boccuccia all’insù, tutto fasciato come si fasciavano i neonati una volta.
Non sarei uscita così velocemente da quel piccolo antro se la nostra guida, giustamente frettolosa, non ci avesse richiamati; eravamo diretti alla chiesa della Natività di cui ricordo una porta troppo bassa e stretta, un’aria soffocante carica di profumi orientali, e una nenia incessante recitata da sacerdoti ortodossi.
Andammo altrove, alla ricerca delle sensazioni che salivano alla nostra consapevolezza sulla nascita da “uomo vero” da parte di qualcuno che è Dio stesso, nei prati dal terreno irregolare, dove si trovano ancora oggi delle grotte naturali.
Una di queste, viene segnalata come la grotta della Natività; lì, la storia e l’oggettivo non c’entrano; la suggestione, però, corrispondeva.
In quel momento il terreno era verde, ma quel giorno lontano, quella notte?
Una donna adagiata su un po’ di paglia, lì, avrebbe davvero potuto dare alla luce suo figlio, concepito per essere la luce del mondo e, per il quale, il tempo si era compiuto.
Come non sentire la lacerazione per tutte le vite per le quali il tempo si compie prematuramente e violentemente.
Avevo poco prima ammirato, con un senso di tenerezza nel cuore, il sorriso del bimbo di gesso e, ora, restavo dominata dall’impotenza di non riuscire a udire il grido di chi non sarebbe mai stato guardato.
E’ stato in quel momento che ho deciso che avrei posto un crocefisso nel presepio, il Natale successivo, altrimenti solo zuccherato dalle strenne, i teneri canti, gli auguri, spesso formali, la tavola imbandita.
Il piccolo delle suorine francesi, però, sorrideva ugualmente, pur sapendo tutto ciò!
Provai a sorridere anch’io e a lasciarmi un po’ andare; si affollarono, allora, i ricordi alla mente: una scatola di pennini, di tutte le forme in uso, per me bambina, appesa a un albero di Natale, e un disperato pianto di bimba di quattro anni, mia figlia, che dopo aver stretto tra le braccia la bambola tanto desiderata, non riusciva a spiegarsi perché Gesù Bambino fosse “cattivo” con i bambini poveri.
Sapeva che non potevano veder esauditi i loro desideri, nemmeno avendo scritto la più bella letterina e aver fatto le più importanti promesse, e ciò le sembrava profondamente ingiusto.
Asciugai quelle lacrime prendendola sulle ginocchia, ripromettendomi di non strumentalizzare mai più, per creare la dolce atmosfera, la serietà con cui i bambini vivono le cose importanti.
Celebrammo una Messa in quella grotta e le preghiere dolci si sprecarono.
Dov’era la durezza del nascere, la fatica dell’essersi sentiti rifiutati, la solitudine di una madre che non può offrire al figlio ciò che desidererebbe per lui?
L’oleografia con cui spesso viene accompagnato l’evento della nascita, mi sembrava inadeguata a Betlemme, “casa del pane” nella lingua dell’antico popolo, e ho provato a svuotare il mio cuore da tutti gli orpelli, per offrirtelo come culla, Bambino!