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Veramente liberi e liberamente veri

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

A distanza di 40 anni dalla pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae, importante documento nel quale è affrontato uno degli aspetti essenziali della vocazione matrimoniale e dello specifico cammino di santità che ne consegue, è possibile oggi capire meglio quanto questa luce profetica sia decisiva per comprendere il grande “sì” che implica l’amore coniugale.
In questa luce, i figli non sono più l’obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti nella verità di un autentico essere dono del Donatore divino, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente di ogni vita umana unica e irripetibile. Questo grande “sì” alla bellezza dell’amore comporta certamente gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente ed è la consapevolezza del proprio e altrui essere dono del Donatore divino che rende liberi e responsabili.
A livello di praticabilità, è vero che nel cammino della coppia possono verificarsi circostanze gravi che rendono prudente distanziare le nascite dei figli o addirittura sospenderle. Ed è qui che la conoscenza dei ritmi naturali di fertilità della donna diventa importante per la vita dei coniugi. I metodi di osservazione, che permettono alla coppia di determinare i periodi di fertilità uniti sempre all’impegno o tensione di castità coniugale o autocontrollo delle pulsioni per una sempre più grande e gratuita tenerezza reciproca nelle relazioni, consentono di amministrare quanto il Creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana, senza turbare l’integro significato della donazione sessuale. “Se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere i limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato e sia rivestito di autorità, è lecito infrangere” (Humanae vitae, 17). E’ questo il nucleo essenziale dell’insegnamento che Paolo VI rivolse ai coniugi, che il Sinodo sulla famiglia ha fatto proprio e che il servo di Dio Giovanni Paolo II, a sua volta, ha ribadito in molte occasioni, illuminandone il fondamento antropologico e morale. Benedetto XVI, con il profondo magistero sull’agape e sul suo rapporto con l’eros già espresso nell’Enciclica Deus caritas est, lo approfondisce. In questo modo i coniugi, rispettando la piena verità del loro amore, potranno modularne l’espressione in conformità a questi ritmi, senza togliere nulla alla totalità del dono di sé che l’unione nella carne esprime. Ovviamente ciò richiede una maturità nell’amore, che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e singolare dominio dell’impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù fin da ragazzi.
La possibilità tecnica di separare la fertilità dall’esercizio della sessualità e quindi l’unità di biologia e relazionalità che definisce la natura, l’ethos della sessualità umana, fu chiaramente intuita da Paolo VI con una “svolta epocale” nel rapporto tra l’uomo e la tecnica: si veicola nella coscienza dell’uomo e della donna l’idea che il vero amore era quello che unisce le persone dei coniugi, facendo qualsiasi uso del proprio corpo a misura decisa dai due. Una misura d’uso che la tecnica poteva stabilire. Certo, la soluzione tecnica anche nelle grandi questioni umane appare spesso più facile e attraverso i mezzi della comunicazione la più condivisa, dominante, ma essa in realtà nasconde la questione di fondo che riguarda il senso della sessualità umana e la necessità di una padronanza responsabile, perché il suo esercizio possa diventare espressione di amore personale, senza umiliare e degradare la ragione a una mera ratio tecnica, facendo del piacere il criterio ultimo. E’ una delle grandi sfide che il pontificato di Benedetto XVI, in continuità con Paolo VI, Giovanni Paolo II e il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, sta lanciando al mondo: o si allargano gli spazi della ragione o l’uomo è in pericolo mortale. Nonostante, allora, che il mondo, e con esso molti cattolici, trovino tanta difficoltà non solo a praticare ma addirittura a comprendere il messaggio della Chiesa occorre il coraggio di dire che la tecnica non può sostituire la maturazione della libertà quando è in gioco l’amore. Anzi, come ben sappiamo, neppure la ragione basta: bisogna che sia il cuore a vedere poiché l’amore sponsale cristiano si conosce solo con il cuore. Solo gli occhi del cuore riescono a cogliere le esigenze proprie di un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell’essere umano. Per questo il servizio che la Chiesa offre nella sua pastorale matrimoniale e familiare, spesso squalificato nell’attuale emergenza educativa, non solo come non praticabile ma addirittura falso, punta a saper orientare le coppie a capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha scritto nel corpo umano, aiutandole ad accogliere come tensione quanto comporta un autentico cammino di maturazione, sapendo che la riuscita, la coerenza va invocata nella preghiera. Questi quarant’anni dall’Humanae vitae non sono certamente stati un deserto!

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