La donna come dono
Essere donna, essere madre- Autore:
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Una premessa
L'8 marzo, bandiera della rivendicazione femminile, si è imposto all'attenzione di tutti, credenti e non credenti, conservatori e progressisti, grandi e piccoli, come giornata della donna. Questa festa, che ha perso oggi molto del suo aspetto polemico, è diventata occasione propizia per fermarsi e riflettere: Che senso ha riservare un giorno di festa alla donna?
La Genesi narra che l'uomo, apice della creazione, chiamato da Dio a manifestare la sua signoria sul creato dando il nome a cose e animali, scoprì a sera d'essere solo. Fu allora che Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo, gli farò un aiuto a lui uguale". Adamo fu colto dal sonno e al suo risveglio - trovandosi accanto Eva - proruppe in un grido di gioia e stupore: "Questa finalmente è ossa delle mie ossa e carne della mia carne! La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta" (Gn 2,23). La visione è beata! Solo con la donna l'uomo sperimenta la reciprocità, una reciprocità che viene messa in risalto dalla lingua ebraica, mentre scompare nelle lingue moderne, il testo sacro dice infatti: "La si chiamerà "iššah" (=donna), perché da iš (= uomo) è stata tolta." [Giovanni Paolo II nella sua lettera alle donne, Mulieris Dignitatem, propone, proprio a partire da questa particolarità della lingua ebraica, una riflessione sull'unità e la complementarietà dei due].
Creata per ultima da Dio, la donna rappresenta per l'uomo il legame con il soprannaturale, con il mistero del suo essere a immagine e somiglianza di Dio. Nella donna sono le sorgenti della vita. Se infatti, la vita è frutto esclusivo della coppia, dell'unità dei due (per usare la celebre espressione di Papa Giovanni Paolo II) è però nel grembo femminile che essa misteriosamente fiorisce e si sviluppa. L'attuale crisi della donna rispecchia una crisi più ampia, quella di una società che ha perso la capacità di vedere l'Invisibile. Sono nati così i drammi tipicamente moderni del divorzio, dell'aborto, dell'eutanasia, della pretesa di un nuovo concetto di famiglia e di coppia, legato all'istituzionalizzazione dell'omosessualità; drammi che coincidono con un distorto rapporto dell'uomo con la donna e quindi dell'uomo con la vita, con il mistero.
La maternità annoda la donna al mistero del Dio creatore. E' la maternità che la educa ad uscire da se stessa a fare spazio ad un altro il quale, pur essendo generato da lei si rivela pienamente autonomo, indipendente, "altro" appunto, segno e riflesso del "Totalmente Altro" che è Dio stesso.
Far memoria della donna in un giorno particolare, significa allora avere la possibilità di riflettere sul grande tesoro che ciascuna donna porta con sé: la maternità come ponte di comunione con l'Eterno.
Maternità
Maternità, una parola che dalla cronaca quotidiana esce forse bistrattata, usata a sproposito, malconcia. Eppure basterebbe fare un po' di silenzio, entrare nel profondo di noi stessi per accorgersi che essa ha ancora, forte, la capacità di muovere corde molto intime del nostro essere. Maternità, parola atavica, che immette ogni uomo nel mistero del suo esistere, nella magia della sua origine (Figura 1).
Cielo terra, roccia
Ci fu un artista contemporaneo, John Henry Moore, scultore inglese scomparso nel 1986, che fece dell'archetipo materno il leitmotiv della sua ricerca espressiva. Originario dello Yorkshire, egli rimase fortemente impressionato dai dolmen, enormi strutture di pietra che si ergono maestose e inquietanti tra l'azzurro del cielo e il verde smagliante dei prati nordici, e modulò la sua opera scultorea su questi stessi "toni": il cielo, la verde terra, la pietra. Attraverso questi elementi Henry Moore colloca la maternità nel suo alveolo naturale: il cielo perché essa riporta sempre a qualcosa di sacro, al miracolo della vita; la terra perché è il simbolo cosmico del grembo materno, della fecondità; la pietra perché la maternità ci radica, è la cava da cui ogni volto è tratto e prende vita.
In ebraico, lingua fortemente evocativa, troviamo ad esempio che la radicale 'mn da cui prendono origine le parole 'emunah = verità e 'amen = io credo, indica la sede del feto, l'utero materno in cui il feto appunto, si radica come in una cavità rocciosa, suggerendo così l'idea di stabilità, di sicurezza, di consapevolezza circa le proprie origini. La stessa radicata certezza che l'Amen del credente vuole esprimere.
Henry Moore elesse, specie nei primi anni della sua attività artistica, la pietra come materiale preferito per realizzare figure femminili e gruppi familiari. Ma cosa mai può dire questo artista sulla maternità spirituale?
Cavità: grembo o vuoto?
Moore ci offre un'icona interessante capace di esprimere con rara efficace il senso profondo dell'essere madre, madre nella carne, madre nello spirito. Pur avendo realizzato, in pietra e in bronzo, numerosi gruppi familiari, l'attenzione dell'artista fu spesso catturata dall'archetipo materno, il "grande femminino" o "la grande madre". (Figura 2)
Egli stesso affermò che "le idee della "figura sdraiata" e della "madre e figlio" sono state la sua "ossessione" profonda (Figura 3). Se l'uomo è sovente raffigurato da Moore in piedi, con una struttura massiccia, la donna invece è sdraiata o seduta, protesa verso il figlio che, a sua volta si stacca da lei dirigendosi verso il padre o, comunque, verso una sua autonomia.
Ma ciò che più colpisce e, anzi, inquieta, è l'enorme cavità che, in molte sculture, la madre (o semplicemente la donna) ha al posto del ventre. (Figura 4)
Il significato simbolico è semplice: l'uomo è vettore, è colui che dirige il figlio verso la vita, la donna è grembo, cavità. Ogni figlio che nasce lascia nella donna un vuoto che nessun altro figlio, nessun altro amore può riempire.
La maternità della donna si esprime allora entro queste due coordinate fondamentali: essere grembo, essere vuoto.
Non c'è donna, vergine o madre, che non sperimenti in sé queste due dinamiche. Lasciare che una delle due prenda il sopravvento sull'altra significa non portare a piena maturazione il proprio essere madre.
Il vuoto
Quando il senso di vuoto prevale la donna, ripiegata su se stessa, sperimenta forti crisi affettive e rischia di passare da un'esperienza d'amore all'altra senza mai sentirsi appagata. Se è sposata, verso marito e figli si dimostra possessiva oppure autoritaria, in un modo o nell'altro accentra su di sé l'affetto dei suoi cari; se la donna è consacrata vive condizioni di instabilità interiore, cade nel vittimismo o nell' integralismo esasperato, si circonda oltre misura di impegni ed interessi oppure colleziona malanni di ogni tipo a volte reali, a volte presunti.
Il grembo
Quando invece nella donna prevale la coscienza d'essere grembo, il senso materno invade tutti i campi a proposito e a sproposito. La donna diviene iperprottettiva verso i figli; verso il marito si comporta come una madre, soffocandolo di attenzioni, privandolo della sua libera scelta nelle piccole cose che riguardano la vita domestica. La consacrata guarda agli altri con l'atteggiamento di chi ha sempre qualcosa da insegnare, comprende sempre un po' di più di ciò che gli altri dicono, non sopporta che accada qualcosa senza che lei venga informata. É preveniente verso i bisogni del prossimo, ma rischia di invadere senza discrezione l'altrui libertà.
Grembo e vuoto, una danza d'amore
Le cavità femminee di Henry Moore conducono la donna ad interrogarsi circa il suo essere grembo o il suo essere vuoto. La maternità spirituale si colloca fra queste due dimensioni e si realizza pienamente quando esse trovano perfetto equilibrio nella persona. Madre nello spirito infatti, deve esserlo ogni donna, la sposata come la vergine. Se la vergine consacrata, per vocazione pone in risalto l'aspetto spirituale della maternità, la donna sposata dimostra come la maternità fisica, senza la dimensione spirituale, può ridursi a fatto biologico, naturale. Basterebbe guardare a cosa sia ridotta oggi, nella maggioranza dei casi, la maternità fisica: qualcosa alla quale porre rimedio; non un'esperienza meravigliosa di fecondità, ma un problema, un ostacolo alla propria realizzazione personale. Questa concezione della maternità fisica indica quanto poco la donna che si affaccia alla vita, sia preparata alla maternità spirituale.
Quando invece la donna matura nella maternità spirituale impegna il suo essere alla radice, osserva dentro di sé l'alternarsi di atteggiamenti quali possessività (grembo) e donazione (vuoto), ne coglie valenze e negatività, imparando a orientarli verso scelte autentiche di vita. Essere Madre nello spirito significa infatti generare vita attorno a sé indipendentemente dalla facoltà che si ha di procreare.
Viene così a realizzarsi una danza in cui la donna si farà grembo ogni qualvolta la convivenza con gli altri richiederà spirito di adattamento, accoglienza, obiettività di fronte alle situazioni. Si farà attenta ai bisogni altrui senza per questo sentirsi protagonista delle situazioni, come Maria a Cana che si accorse per prima della mancanza di vino nel banchetto nuziale, ma agì con discrezione, delegando a Gesù ogni possibile provvedimento. In questa danza la donna imparerà a vivere positivamente il senso di vuoto implicito nella maternità, diventando per gli altri un luogo di libertà, un'oasi dove potersi ristorare e trattenere senza per questo pagar tributi, o sentirsi obbligati. Accettare d'essere e rimanere vuota educa la donna alla gratuità, all'amare per amare, senza attendere risposta. La gratitudine, la reciprocità qualora fossero manifestate, saranno accolte come dono, non ricercate.
Tra pieno e vuoto, tra grembo e cavità, ogni donna vive il mistero della sua vocazione: essere collocata dallo stesso creatore alle sorgenti del mistero della vita. Come le sculture di pietra di Moore trovano il loro ambiente naturale tra cielo e terra, così la donna che vive pienamente la sua danza tra pieni e vuoti, diventa ponte di comunione tra cielo e terra. Partecipa all'eterno generare di Dio, fecondo e puro ad un tempo ed è per l'uomo, per ogni uomo e donna incontrati sul suo cammino occasione di grazia, di vita e di benedizione.
Maternità spirituale della donna consacrata
In questa vocazione, potremmo dire primordiale è situata la maternità spirituale della donna consacrata. L'icona biblica che, sotto altra forma, potrebbe ripresentare l'alternanza di cui sopra è il binomio Eva - Maria. Eva archetipo della maternità benedetta da Dio, Maria archetipo della verginità feconda nello spirito.
L'apostolo Paolo afferma che la donazione a Dio libera la donna dalle preoccupazioni del mondo unicamente per spingerla ad occuparsi delle cose del Signore. La donna consacrata non è dunque libera dagli affanni della vita familiare per realizzare pienamente se stessa, facendo di sé e di Dio il suo centro, ella è libera piuttosto per realizzare il progetto di Dio su di sé e sul mondo. Le cose del Signore che vengono ad occupare il suo spirito sono quelle che Dio stesso pone sotto il raggio della sua azione materna. Sul modello della Chiesa, sintesi del progetto che Dio ha avuto sulla donna manifestato nel binomio Eva-Maria, la donna consacrata genera figli a Dio. Il suo grembo resta sterile sul piano fisico per dilatarsi a una maternità universale. Naturalmente anche la donna sposata è chiamata ad aprirsi ad una più ampia maternità, tuttavia, marito e figli rappresentano per lei una priorità dalla quale non può prescindere.
La maternità solo spirituale invece rende evidente ciò che Giovanni Paolo scrisse a tutte le donne nella Mulieris Dignitatem: Alla donna, ad ogni donna, è stato affidato l'uomo, come unità dei due - uomo - donna
Il grido primordiale esploso nella prima donna, Eva, di fronte alla maternità: Ho acquistato un uomo dal Signore è per la donna consacrata fondamentale, ella infatti acquista sempre e soltanto dal Signore i suoi figli. E se tale acquisto, per così dire ad extra la risparmia da legami viscerali, la impegna però più a fondo nello sforzo dell'accoglienza del diverso, nella custodia gratuita di ciò che non ha scelto né cercato, ma che ha accolto divenendone così responsabile.
L'amore disinteressato e insieme avvolgente di Dio che risplende nella creazione è meta modello della madre nello spirito. Grembo e vuoto trovano in questo tipo di Amore la loro sintesi più efficace, rendendo la donna, roccia per ogni uomo, stele piantata nel deserto del mondo rigonfia della memoria di Dio. In essa cielo e terra si annodano, l'uomo trova le sue radici e si apre al dialogo fiducioso con l'Eterno.