Scevri da servo encomio e da codardo oltraggio
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“Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all’ultimo piano, vicino al cielo, per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano”. “TI VOGLIO BENE DAVVERO TUO MARCO”. Post scriptum: “Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene”.
In queste ore di osanna a Marco Pannella, in cui sembra che tutti riconoscano in lui il campione della libertà, dimenticando ciò di cui lui è stato protagonista, battaglie che hanno reso l’Italia non più libera, ma più dolorosamente abbandonata alla tragedia del divorzio, dell’aborto (e non inganniamoci, non di libertà delle donne ma di milioni di bambini uccisi nel ventre della madre si tratta) e della eutanasia io non riesco ad unirmi a questo coro.
Mi ha colpito però la lettera che il 22 aprile ha scritto a Papa Francesco, per il suo drammatico finale: «Ho preso in mano LA CROCE CHE PORTAVA MONS. ROMERO, e non riesco a staccarmene».
In altri tempi si potrebbe intonare il «Vicisti, Galilaee» attribuito a Giuliano l’Apostata. Alla fine della vita diventa tutto chiaro, e anche forse l’ombra del pentimento per il male compiuto, e non solo quello inevitabile dei propri peccati, ma la dissoluzione della innocenza dell’uomo, la distruzione della vita e della famiglia, la corruzione dei costumi.
Ora mi preme sottolineare che questa ultima parola «Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene» non può che gettare una luce di pietà sull’uomo Pannella, inducendo tutti noi non a esaltare il male compiuto da lui ma chiedendo al Dio della misericordia quell’abbraccio che ogni uomo desidera.
Non delle parole di Renzi, o Mattarella, né tanto meno di p. Lombardi e Mons. Zuppi abbiamo bisogno, ma del cuore del grande Manzoni, capace di leggere nella storia l’impronta di Dio, «SCEVRI DA SERVO ENCOMIO E DA CODARDO OLTRAGGIO». Ma quando gli uomini di Chiesa sapranno testimoniare una misericordia unita alla verità? E perché poi il misericordioso Mons. Paglia non gliela ha lasciata quella croce, almeno a leggere le dichiarazioni di Famiglia Cristiana, che ricordano il suo «rimorso di essersela ripresa»? Certo è che, se «tra di noi non c’è mai stata una corsa alla conversione» (come lo stesso Paglia ha detto nell’intervista di Famiglia Cristiana) non c’era bisogno di lasciargli tra le mani il crocifisso che gli aveva toccato il cuore!