Non sempre «De mortuis nihil nisi bonum»
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De mortuis nihil nisi bonum. Dei morti bisognerebbe sempre parlare bene, e quando ciò non è possibile, bisognerebbe tacere.
Questo saggio principio dovrebbe valere anche per la recente scomparsa di Marco Pannella. Chiedo scusa ma, purtroppo, nel caso del guru radicale mi è difficile stare in silenzio. Anzi, impossibile dopo aver ascoltato i lamenti e i pianti delle ipocrite prefiche per la dipartita di questo personaggio, che lo stesso Premier fiorentino ha definito un “leone della libertà”.
La pietas christiana impone rispetto per l’uomo ma non per il leader politico Marco Pannella.
Oramai abbiamo perso le speranze di comprendere quale sia davvero il concetto di libertà che il nostro scout Matteo abbia in mente. Svanito da tempo il suo cattolicesimo dell’adolescenza, ora l’ex chierichetto di Pontassieve si è perso nelle nebbie. La sua bussola valoriale sembra impazzita come quella che spaventò Cristoforo Colombo attraversando il Mar dei Sargassi. Non si sa più dove per lui sia il nord ed il sud.
Ma Matteo crede davvero che il divorzio – introdotto grazie all’opera mefistofelica di Pannella – causa drammatica dell’attuale crisi della famiglia nel nostro Paese, possa definirsi libertà?
Matteo crede davvero che l’aborto – altro velenoso frutto dell’azione demoniaca di Pannella – ritenuto espressamente un «crimen nefandum» (delitto abominevole) nel punto 51 del documento conciliare Gaudium et Spes, possa definirsi libertà?
Matteo crede davvero che la legalizzazione delle droghe – cavallo di battaglia del suo “leone” – che induce i giovani ad una deleteria dipendenza, possa definirsi libertà?
Matteo, crede davvero che la depenalizzazione dell’incesto – per cui i radicali di Pannella hanno depositato il disegno di legge S.1155 in Commissione giustizia del Senato – possa definirsi libertà?
Matteo crede davvero che l’eutanasia – altra storica campagna ideologica del guru radicale – quella che San Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae (punto 66) chiamò «preoccupante “perversione” della pietà», possa definirsi libertà?
No, caro Matteo. Tu puoi anche aver rinunciato a tuoi principi cristiani – e questo è triste ma legittimo – però non puoi venirci a raccontare, oggi, che l’azione culturale e politica devastatrice di Pannella e i suoi seguaci possa definirsi libertà. Ma dove vivi? Non ti sei accorto che la nostra società è ormai distrutta e disgregata grazie proprio a quella diabolica azione devastatrice? Non ti sei accorto che il veleno inoculato nel corpo sano della società italiana agli inizi degli anni settanta del secolo scorso dai pannelliani, oggi è ormai entrato in circolo al punto da rivelarsi letale? Non ti sei accorto che stiamo vivendo l’apice di quella rivoluzione antropologica innescata proprio dal tuo leone della libertà? Non ci stiamo facendo mancare proprio nulla dei falsi miti del progresso: matrimonio e adozioni gay, poliamore, utero in affitto, incesto legalizzato. Caro Matteo, tu non eri ancora nato quando il 26 aprile 1974 a Caltanissetta, durante un comizio, l’aretino Amintore Fanfani denunciò profeticamente i rischi della rivoluzione pannelliana, con queste parole: «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Mi dirai che erano altri tempi. E, in effetti, in questo un po’ hai ragione. Una volta da Arezzo venivano a Roma politici del calibro di Amintore Fanfani, oggi dobbiamo accontentarci di Maria Elena Boschi. Sì, tempi e calibri sono cambiati ma non in meglio, purtroppo.
Pietà per il peccatore Marco Pannella, che ora si trova «τῷ βήματι τοῦ θεοῦ», davanti a quello che San Paolo chiamava il Tribunale di Dio (Rm. 14,10), luogo dove non si può né mentire né barare. Ma nessuna pietà per l’opera terribilmente rovinosa del leader politico Marco Pannella, che attraverso l’introduzione di falsi “diritti” ha inferto una gravissima ferita alla vita, alla dignità umana e alla famiglia. No, grazie. Nessuna pelosa ipocrisia potrà impedirci di denunciare quanto sia stata esiziale l’influenza nefasta e malefica della cultura radicale nella civiltà del nostro Paese, di quanto sia stato velenoso e mefitico il pensiero pannelliano, che è arrivato ad invadere persino i confini della Chiesa.
Sì, perché con buona pace di tutti gli alti prelati che ora commemorano commossi la grande figura di Pannella, un sacerdote “cattolico” di Palermo, tale don Fabrizio Fiorentino, cappellano della Polizia di Stato, sul suo profilo personale di Facebook ha lasciato questo commento: «Così va il mondo: invece del cardinale Bagnasco, muore Marco Pannella. A lui sì avrei affidato la guida dei Vescovi italiani». Siamo sicuri che nessuno dirà e farà nulla contro don Fabrizio. Troppo rischioso oggi, davanti agli occhi del mondo, provare a redarguire chi osanna la memoria del Grande Marco. Speriamo almeno che il Presidente della C.E.I. si sia concesso il consueto gesto scaramantico che si è soliti fare in questi casi.